Enzo Bianchi – Commento al Vangelo del 18 Settembre 2022

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Perdonare per essere perdonati

Ci sono parabole di Gesù ben costruite e con un messaggio evidente, altre invece più contorte, meno lineari, il cui messaggio va cercato con cura e intelligenza. In questo capitolo 16 del vangelo secondo Luca ci troviamo di fronte a due parabole riguardanti gli atteggiamenti verso il denaro e la ricchezza, parabole proclamate una in questa domenica e una nella prossima (Lc 16,19-31).

Certamente la parabola odierna, quella dell’economo ingiusto, disonesto, che non agisce con rettitudine, può sembrare scandalosa, per il lettore superficiale può addirittura risultare immorale, ma occorre fare attenzione e discernere il vertice teologico presente nel racconto: allora lo si capirà in fedeltà all’intenzione di Gesù. Cerchiamo dunque con umiltà di faticare, di esercitare l’intelligenza per arrivare a comprendere anche questo brano in modo evangelico, cogliendo in esso la “buona notizia”.

Un uomo ricco ha un economo che ne gestisce gli affari, ma tutt’a un tratto quest’ultimo risulta essere un dissipatore dei suoi beni. Allora il padrone lo chiama e gli chiede: “Che cosa sento dire di te? Rendimi conto della tua amministrazione, perché non potrai più essere mio economo!”. È qualcosa che accade abbastanza spesso, perché la tentazione dell’ingiustizia, del pensare a se stessi e del non essere responsabili di una proprietà altrui è facile e ricorrente. Ma come reagire quando si viene scoperti? Qui l’economo, di fronte alla minaccia del padrone e alla prospettiva di perdere il lavoro, si mette a ragionare, a pensare al suo futuro. Egli medita tra sé: “Che cosa farò? Lavorare la terra? Non so farlo, non ne ho più la forza. Mendicare? Mi vergogno”.

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Ed ecco che nel suo dialogo interiore giunge a una soluzione: farsi amici alcuni debitori del suo padrone, per poter contare su di loro. Ma deve fare tutto prestissimo, per questo convoca subito i debitori. Al primo domanda: “Quanto devi al mio padrone?”. Quello risponde: “Cento barili d’olio”. Ed egli replica dimezzandogli il debito: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. A un altro, che deve cento sacchi di grano, l’economo ne condona venti. Ecco una vera frode, una condonare i debiti senza l’autorizzazione del padrone, una palese ingiustizia! Eppure il padrone, venuto a conoscenza dell’inganno operato ai suoi danni, si congratula con l’economo disonesto, che secondo Gesù è figlio di questo mondo delle tenebre, dunque è un figlio di Satana, colui che combatte i figli della luce che vivono nella giustizia.

Allora perché l’elogio, le congratulazioni? Per l’azione ingiusta? No, ma per la capacità di farsi degli amici, donando e condividendo proprio quella ricchezza ingiusta. Così quell’economo ingiusto non dissipa più i beni di cui è amministratore, ma li onora, condividendoli con quanti non hanno nulla. Ecco dove sta la buona notizia, il vangelo: ciò che è urgente, l’azione buona, è distribuire il denaro di ingiustizia ai poveri, non conservarlo gelosamente per sé. Proprio queste parole di Gesù vogliono essere buona notizia per i ricchi, perché ora sanno come devono amministrare i beni non loro: distribuendoli a tutti. L’esemplarità di questo economo ingiusto non va dunque individuata nel suo agire disonesto, ma nella sua capacità di discernimento della situazione in cui si trova, di adesione alla sua realtà segnata da molti limiti e di agire conseguentemente con intelligenza.

Attenzione, in questo racconto e nel successivo commento di Gesù compare per ben cinque volte il termine ingiustizia/ingiusto (adikía/ádikos) per definire l’economo e la ricchezza, Mammona. L’ingiustizia è dunque denunciata e condannata: non c’è altra via di giustizia se non quella di donare la ricchezza condividendola con i poveri, quelli che sono beati e ai quali è promesso il regno di Dio (cf. Lc 6,20). Il denaro resta “Mammona (da ’aman, che significa “credere”!) di ingiustizia”, definizione presente anche negli scritti di Qumran, che ne proclama l’iniquità radicale. Lo sappiamo bene: il denaro cattura la fede, incanta, seduce, dà falsa sicurezza, ruba il cuore, inganna e diventa il tesoro prezioso, l’idolo nel quale si confida (cf. Lc 12,34; 1Tm 6,17). È vero che il denaro è solo uno strumento, ma siccome chiede di avere fede-fiducia in lui, occorre vigilare per non essere da lui dominati e, al contrario, occorre donarlo, distribuirlo, condividerlo. Se infatti lo si accumula e lo si trattiene per sé, finisce per essere alienante: non è più posseduto, ma è lui a possedere chi lo ha nelle proprie mani!

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Proprio per questo nel vangelo secondo Luca c’è una grande rivelazione fatta dal demonio stesso a Gesù al momento delle tentazioni nel deserto: “A me è stata data tutta questa ricchezza” – data da Dio, potremmo dire – “e io la do a chi voglio” (cf. Lc 4,6). Sì, chi accumula ricchezze è un amministratore di Satana, lo sappia o meno; per questo nella nostra parabola l’uomo ricco che dà in gestione all’economo molti beni può essere figura del demonio. L’unico modo per sfuggire alla schiavitù satanica è distribuire, donare il denaro, i beni, condonare i debiti: il denaro accumulato è sempre sporco, per ripulirlo basta condividerlo!

Il cristiano sa dunque che c’è un Mammona con la maiuscola, un idolo forte e seducente che può diventare un Kýrios, un Signore, rendendo servo e schiavo chi ne è amministratore. Il discepolo di Gesù – come ricorda chiaramente Gesù stesso – non può servire due padroni, ma è posto di fronte a una scelta:

o amare e servire uno, o amare è servire l’altro;
o ripudiare uno, o ripudiare l’altro,
perché i due padroni sono antitetici, sono concorrenti nel richiedere fede-fiducia.

Come discepoli di Gesù, possiamo guardare all’orizzonte del Regno, dove ci attende la grande comunione degli amici del Signore nella vita eterna. Ci accoglieranno con amicizia tra loro proprio i poveri, quelli che ci siamo fatti amici qui sulla terra giorno dopo giorno con la danza del dono e l’esercizio della condivisione. Non saremo soli, ma saremo una comunione di amici, se nell’amicizia ci siamo esercitati qui e ora, donando e accettando i doni.

Ma in questa parabola e nelle parole con cui Gesù la commenta c’è solo un’esemplarità legata alla condivisione dei beni con i poveri? Non c’è forse anche un invito rivolto da Gesù ai discepoli, ai “figli della luce”, affinché siano capaci di esercitare intelligenza, creatività e audacia, come sanno fare purtroppo i “figli di questo mondo”? C’è infatti quasi un rammarico in questa constatazione di Gesù riguardante i suoi seguaci: non sanno essere phrónimoi, capaci di intelligenza, di discernimento e di vigilanza!

Soprattutto oggi, in un mondo indifferente all’annuncio di Dio, perché i cristiani non sanno far comprendere che il Vangelo è una buona notizia? Perché il discorso cristiano continua a essere così ingombrato e offuscato da tante parole e tanti rivestimenti umani e mondani? Perché non sappiamo dire che il cristianesimo è l’incontro con una persona, Gesù Cristo, il Signore vivente, senza affogare l’annuncio in moralismi colpevolizzanti che gli uomini e le donne di oggi non riescono ad accogliere come salvezza? Perché all’indifferenza dominante nella società non sappiamo opporre la “differenza cristiana”, manifestata in vite umane segnate da bontà, bellezza e beatitudine?

Sì, ancora oggi Gesù continua rammaricarsi di come i figli di questo mondo siano più intelligenti e svegli dei figli della luce!

Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi