L’attesa compiuta
È nel tempio di Gerusalemme che ha inizio l’evangelo di Gesù Cristo secondo Luca con l’annuncio a Zaccaria. È al tempio che Gesù pronuncerà le sue prime parole, e sarà al tempio che il Vangelo secondo Luca si conclude con i discepoli di Gesù che pieni di gioia lodano Dio. È al tempio che oggi Gesù incontra Israele in una radicale obbedienza alla Legge del Signore.
Il tempio luogo della Schekina, della presenza in Dio in mezzo al suo popolo, è per Luca il luogo dell’incontro di Gesù con il suo popolo; è veramente il luogo dell’Emmanuel, del Dio-con-noi. Il Vangelo afferma che si tratta di un compimento, di una pienezza di giorni che vede la consolazione d’Israele estendersi alle genti. È una pienezza che porta la salvezza del Dio d’Israele di fronte a tutti i popoli, che fa della gloria d’Israele una luce che illumina i pagani.
Se alla nascita di Gesù non c’era per Giuseppe e Maria il posto nell’alloggio, quaranta giorni dopo, al compimento dei giorni, Gesù è accolto dove Dio stesso dimora, al cuore del suo popolo e di fronte a tutti i popoli della terra. Gesù è portato nel luogo dove lui tornerà dodici anni dopo per manifestarsi figlio del comandamento. Potremmo dire che per l’evangelista Luca Gesù è davvero a casa sua nel tempio di Gerusalemme che lui chiamerà “casa del Padre mio”. Quel luogo dove lui ascolterà e interrogherà i maestri d’Israele, dove trascorrerà gli ultimi giorni della sua vita ad insegnare.
- Pubblicità -
È in questo luogo che Gesù incontra Simeone, quest’uomo di Gerusalemme, giusto e credente. In lui Gesù incontrerà la personificazione, il simbolo dell’attesa della consolazione d’Israele. Simeone “mosso dallo Spirito” viene al tempio, vede con i suoi occhi e accoglie tra le sue braccia “il Cristo del Signore”. È portato dallo Spirito prima di portare il Figlio, perché nessuno può sostenere la carne di Dio che non è sorretto dallo Spirito di Dio.
Ma c’è anche il venire di Gesù al tempio portato da Giuseppe e Maria per l’obbedienza alla legge di Mosè che incontra l’attesa d’Israele. Lui che è l’esaudimento di questa attesa, come era stato portato nel grembo di sua madre verso l’incontro con Giovanni Battista nel seno di Elisabetta. Di Simone niente è detto se non che “aspettava la consolazione d’Israele”: è tutto proteso nell’attesa, è il prosdekòmenos si legge nel testo greco, ossia l’aspettante la consolazione d’Israele.
L’evangelista non dice neppure che Simone fosse anziano. Della profetessa Anna, quasi per contrasto, si annota non solo che “era molto avanzata in età”, ma precisa l’età esatta: “aveva ottantaquattro anni”. Simeone invece non ha età, quasi a dire che l’attesa è non ha età, la promessa non conosce tempo. Nell’iconografia Simeone, il senza età, si incurva per accogliere l’infinitamente basso che ci parla dell’Altissimo, si china per vedere la luce che rivela Dio alle genti e la gloria del popolo d’Israele in questo figlio di povera gente.
- Pubblicità -
Sì, Simeone non ha età, non ha storia perché lui è la storia del popolo d’Israele, di tutte le genti e di ciascuno di noi. La sua età è di essere contemporaneo di Gesù, ha vissuto per arrivare a questo momento e la sua storia è tutta racchiusa nell’istante dell’incontro tra l’attesa e l’Atteso. Tra l’attesa che si fa gesto di accoglimento e l’Atteso che si lascia accogliere tra le braccia. Comprendiamo allora che Simeone può cantare nella pace la fine dei suoi giorni: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola”.
Il Nunc dimittis è il canto di un’attesa compiuta, di un’intera vita che raggiunge il suo thèlos, il suo fine. Non è la fine dei giorni ma un compimento. È l’esaudimento di una attesa che colma i suoi e i nostri giorni.
A cura di Goffredo Boselli.
Per gentile concessione dal blog di Enzo Bianchi