È ormai cronaca (purtroppo) che molti cristiani, in varie parti del mondo, sono emarginati, incarcerati, perseguitati e uccisi in quanto cristiani. Il contrasto all’annuncio di Gesù è già presente nelle prime vicende della sua vita pubblica e culmina nel suo arresto e condanna a morte. Già nell’episodio della sinagoga di Nazaret il rifiuto del suo messaggio porta al tentativo di linciaggio. È un preannuncio del destino di Gesù. Tuttavia Gesù, stretto d’assedio da coloro che lo vogliono uccidere, quasi fisicamente sommerso, inaspettatamente, visto il volgere degli eventi, riesce a sfuggire alla volontà omicida. Frange la folla ed esce dall’accerchiamento.
Se l’episodio è preannuncio della passione, della volontà di morte nei suoi confronti, è anche preannuncio della risurrezione: il suo uscire dall’accerchiamento mortifero.
Diverse forme di ostilità al Vangelo
La vicenda di Gesù si ripete in ogni suo discepolo che affronti nella sua vita le ostilità al Vangelo. Bisogna però anche riconoscere le differenze. In alcune parti del mondo i cristiani sono violentemente perseguitati e spesso giungono al martirio di sangue. Nel nostro continente, e in Italia, il cristianesimo vive una diversa sorte. Quando c’è ostilità alla fede, essa si veste, prevalentemente, di forme più miti. Il cristianesimo può essere osteggiato affermando che i credenti sono portatori di una razionalità inferiore, prescientifica. Oppure dicendo che la visione del mondo dei credenti appartiene ad un passato che oggi è improponibile e superato. O ancora sostenendo che chi crede è psicologicamente insicuro o immaturo per cui ha bisogno di un dio per affrontare le tragedie della vita. Oppure affermando che la proposta di vita avanzata dal cristianesimo conduce alla castrazione dell’umanità libera e realizzata.
Dall’atra parte, ma con effetti non diversi rispetto all’aperta ostilità, si tributa al cristianesimo e alla Chiesa un eccessivo e suadente omaggio, soprattutto per la sua azione di solidarietà sociale. Basta che non ardisca motivare questa prassi con ragioni che affondano nella fede. Un cristianesimo funzionale e perciò fagocitato. In quest’ultima tentazione le comunità cristiane hanno spesso incautamente scarrocciato, dimenticando la propria missione profetica.
In definitiva, dunque, se il martirio è testimonianza della fede fino al sacrificio di sé, si può parlare di un martirio di sangue e di un martirio di annichilimento. Se la causa del martirio è l’opposizione al Vangelo, per entrambe le forme di martirio, seppur con intensità diverse, gravide di effetti diversi, la dinamica è sempre la stessa, ed è immanente all’annuncio del Vangelo. La Parola suscita sempre reazioni di accoglienza e rifiuto.
Il rifiuto della Parola
Nel vangelo di Luca questa dinamica è già in atto ed evidente. Il tratto odierno è l’immediata continuazione di quello letto domenica scorsa (cf Lc 4,14-21). Udendo il commento di Gesù al brano di Isaia (cf Lc 4,21), in un primo tempo le sue parole sono accolte con apertura d’animo e meraviglia. Tuttavia, subito dopo, l’assemblea cambia atteggiamento: sorge il movimento che porta all’ostilità, fino alla volontà omicida.
All’affermazione di Gesù su di sé che richiede di andare oltre l’immediato visibile, i presenti reagiscono presumendo della loro conoscenza: «Non è costui il Figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22). Arrogano diritti in ragione del fatto di essere concittadini; chiedono segni. Pregiudizio e interesse creano le condizioni per l’indisponibilità ad accogliere il messaggio di Gesù e la sua persona.
A questo atteggiamento Gesù replica in modo nient’affatto distensivo. Citando i profeti Elia ed Eliseo, e gli episodi biblici cui fa riferimento, annuncia la volontà salvifica universale di Dio. Ma anche questo è inaccettabile agli uditori. La coscienza di essere popolo di Dio può essere vissuta come servizio per la salvezza di tutti, oppure con orgoglio, come privilegio. Il particolarismo dei Nazaretani non accetta di farsi servizio. La predicazione di Gesù, che richiede fede disinteressata e disponibile, è irricevibile per chi è arroccato nei propri pregiudizi e nei propri privilegi.
Questo genera il conflitto, come accadde nella vicenda del profeta Geremia, il profeta che più immediatamente nella sua vita anticipa le vicende di Gesù. Il profeta, però, riceve una promessa: «Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti» (Ger 1,19).
In questo sta la nostra fiducia. L’annuncio della Parola suscita sempre reazioni. Di accoglienza o di rifiuto. Tuttavia, in caso di conflitto l’annunciatore è sorretto dalla benevolenza del Signore. Ciò non significa garanzia di successo. Però significa, e questo basta, vicinanza e protezione salvifica.
Per gentile concessione di ElleDiCi