Ancora oggi l’Apocalisse fa discutere, anche per le figure e i simboli femminili che vi si incontrano, spesso raccolti nella grande prostituta, donna/città. Si presentano qui le principali linee di ricerca, riportandone al centro gli appelli e sottolineando gli studi di alcune bibliste, in chiave trasformativa e inclusiva, dunque femminista.
Dalla periferia del canone biblico il libro dell’Apocalisse ha nel tempo esercitato il suo inesauribile fascino su generazioni di credenti, sostenendo la speranza dei perseguitati con il suo messaggio sovversivo. Ma non solo: poeti, artisti e visionari si sono lasciati ispirare da quelle immagini potenti che ancora oggi attraggono, a volte turbano e costantemente interrogano.
Tra i molti personaggi dell’Apocalisse, le donne sembrano incarnarne tutta la forza dirompente, tanto nel bene quanto nel male. Questo saggio, attraverso una prospettiva esegetica e teologica di genere, ripercorre l’immaginario androcentrico e patriarcale delle tradizionali rappresentazioni femminili del libro, con un’attenzione particolare per quelle che riguardano Babilonia, “la prostituta”.
Confrontandosi con gli studi offerti da alcune bibliste e riportando al centro i loro appelli in chiave trasformativa e inclusiva, l’autrice accompagna in un percorso che permetterà a ognuna e ognuno di riconoscersi parte vitale della profezia dell’Apocalisse.
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DALLA PREFAZIONE
Hic sunt dracones: l’avvertimento scritto sull’antico mappa- mondo1 sembra più che mai adatto anche al libro dell’Apocalisse, e non soltanto perché tra le sue più suggestive figure letterarie si impone il mostruoso ed «enorme drago rosso», con le sue sette teste cornute (Ap 12,3). Altri incontri – non meno destabilizzanti – sono possibili se ci si avventura oltre i confini delle interpretazioni più comuni e diffuse. Nascosti in piena luce, infatti, e ben mimetizzati nel fantasmagorico panorama simbolico del profeta Giovanni, si annidano ambigui orli d’ombra e le creature paradossalmente più esposte rivelano a un occhio attento aspetti meno trasparenti di un libro altrimenti noto per il suo messaggio sovversivo di liberazione.
Tra i personaggi più in vista nel libro, spiccano le coppie di figure femminili che incarnano rispettivamente il male e il bene: da una parte, la falsa profetessa di Tiatira (Ap 2,18-29) e Babilonia, la grande prostituta (Ap 17-19); dall’altra, la donna vestita di sole (Ap 12,1-6) e Gerusalemme, la città splendente di luce divina (Ap 21-22). Attraverso queste immagini opposte e pola- rizzate l’Autore costruisce due mondi in conflitto: quello di Dio, destinato alla gloria futura, e quello dei suoi nemici, che sarà rovinosamente sconfitto. Ma se la contrapposizione tra donne buone e cattive contribuisce a rafforzare in modo estremamente plastico il messaggio della vittoria divina, allo stesso tempo questo stereotipato dualismo solleva questioni sul modo in cui il protagonismo femminile viene rappresentato. Mentre critica e ribalta gli schemi di potere, l’Apocalisse rischia, infatti, di riprodurre e perpetuare sulle donne altri sistemi di controllo e dominio.
Quello delle donne, pur non essendo certamente l’unico aspetto problematico del libro che chiude il canone delle Scritture cristiane, mettendo in scena il violentissimo giudizio universale e lo sterminio totale dei nemici di Cristo, è tuttavia uno snodo fondamentale ben messo a fuoco dall’enorme e autorevole produzione bibliografica internazionale. La questione “di genere”, sollevata in primo luogo dalle interpreti femministe, interroga tutti i lettori e le lettrici dell’Apocalisse che si muovono tra le sue forme estremizzate di femminilità sconcertante, nociva e fuori controllo, e i suoi modelli di donne più docili, rassicuranti e conformi alle aspettative religiose e sociali.
La discussione sul carattere più o meno misogino dell’Apocalisse è articolata, comprende posizioni variegate e giunge a conclusioni anche distanti. Per alcuni interpreti, pur concordando sulle controverse immagini femminili, prevale il messaggio positivo di incoraggiamento e fiducia del libro, rivolto a tutti i marginali della storia. Per altri, invece, non si può sottovalutare la valenza simbolica e la forza retorica delle metafore di violenza sessualizzata con cui viene descritto il senso di giustizia dell’Apocalisse; per costoro resta più complicato separare la forma dal contenuto. I linguaggi biblici, infatti, non rimangono dentro i confini dei loro “mondi”, né sono isolati o incomprensibili, ma si mesco- lano e integrano con gli altri, influenzando la formazione delle culture, contribuendo a plasmare le nostre identità, definendo le
basi delle nostre relazioni con Dio e con gli altri, delineando i ruoli sociali e le modalità con cui vengono esercitate autorità e potere. Le metafore, comprese quelle bibliche, hanno in effetti un potente effetto modellante ed esercitano una grande influenza sulla mente; «lungi dall’essere solo una questione di parole, la metafora è una questione di pensiero»2, «parte del modo in cui i membri di una cultura concettualizzano la loro esperienza»3.
Per chi continua a pensare che la Bibbia e le sue storie possano offrire enormi risorse per la costruzione di un mondo più giusto resta, perciò, l’impegno di affrontare con trasparenza i passaggi complessi e di evidenziarne correttamente i limiti, perché «se i testi biblici sono serviti non soltanto per cause nobili, ma anche a legittimare la guerra, ad alimentare l’antigiudaismo e la misoginia, a giustificare lo sfruttamento della schiavitù e a promuovere la disumanizzazione del colonialismo, allora la ricerca biblica deve assumersi la responsabilità non solo di interpretare i testi biblici nei loro contesti, ma anche di valutare la costruzione dei loro mondi storici e dei loro universi simbolici […]. Se la Bibbia è diventata un classico della cultura occidentale grazie alla sua normatività, allora il compito dello studioso non può limitarsi a dare “ai lettori del nostro tempo un chiaro accesso alle intenzioni originali” degli scrittori, ma deve includere anche la ricerca delle conseguenze etiche e delle funzioni politiche dei testi biblici nei loro contesti storici e sociopolitici contemporanei»4.
Con il presente contributo, Silvia Cussotto aggiunge un piccolo, ma importante tassello in un contesto accademico italiano che, ancora oggi, fatica a riconoscere appieno la complessità del simbolismo femminile nel libro dell’Apocalisse e si inserisce nel più ampio dibattito che aiuta a riflettere su come la narrazione apocalittica abbia contribuito a conservare e trasmettere determinati pregiudizi di genere. Il suo lavoro si colloca in quel filone di studi che, pur consapevole del profondo impianto patriarcale di molti testi biblici, ne tenta il recupero nella convinzione che proprio l’esposizione onesta delle criticità e dei chiaroscuri di cui sono portatori, possa aiutare le comunità credenti a purificarsi e a promuovere un approccio più critico e inclusivo della Bibbia, capace di continuare a parlare al mondo contemporaneo.
Confrontandosi con le donne dell’Apocalisse e, in particolare, con Babilonia “la prostituta”, Silvia Cussotto ha scelto di oltrepassare i confini più conosciuti per esplorare il difficile “territorio dei draghi”.
Silvia Zanconato*
* Silvia Zanconato, biblista e membro del Consiglio di Presidenza del Coordinamento Teologhe Italiane. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Cambiare prospettiva, in L. Vartiri ~ S. Zarcorato, Educazione. Parole per capire, ascoltare, capirsi, In Dialogo, Milano 2022, pp. 7-30; Lo sposo di Maria. Giuseppe nei Vangeli, in A. Autizro ~ M. Pzrrori (edd.), Maschilità in questione. Sguardi sulla figura di San Giuseppe, Giornale di Teologia 435, Queriniana, Brescia 2021, pp. 109-125; Jungfräulichkeit und Apostolat am Beispiel des Paulus, in U. PoPlutz ~ K. ZawFir (Hrsg.), Neutestamentliche Briefe. Die Bibel und die Frauen: Eine exegetisch-kulturgeschichtliche Enzyklopädie, Neues Testament 2.2, Kohlhammer, Stuttgart 2023, pp. 239-253.
1 Il Globo di Hunt-Lenox è un piccolo mappamondo di bronzo, datato intorno al 1510, un periodo significativo perché coincide con l’era delle esplorazioni europee. Il globo è noto per una particolarità unica: la presenza dell’in- cisione hic sunt dracones («qui ci sono draghi»). Questa frase è scritta nella zona corrispondente all’Asia orientale e suggerisce l’idea di terre sconosciute e pericolose, popolate da creature mitologiche come i draghi.
2 G. LaloFF e M. Turrzr, More than Cool Reason: A Field guide to Poetic Metaphor, Chicago University Press, Chicago 1989, p. XI.
3 Ivi, p. 9.
4 E. Schüsslzr Fiorzrza, The Ethics of Biblical Interpretation, in «Journal of Biblical Literature», vol. 107, n. I (1988), p. 15.