“E chi è mio prossimo?”
Viviamo in una società dove uno sconosciuto può diventare molto intimo e i più vicini dei perfetti estranei. L’anelito del cuore umano di relazionarsi con gli altri come membri della stessa famiglia umana, lo abbiamo ridotto ad una questione tecnologica di vicinanza digitale, di contatto mediatico, di distanze che possono essere accorciate e tempi che possono essere abbreviati.
L’uomo del vangelo sembra quasi ridestarsi da questa narcotizzazione dei legami e domandarsi qual è il senso vero della prossimità, del desiderio di relazione con gli altri che ci abita dentro. La risposta di Gesù non si fa attendere e mette in crisi questa prossimità artificiosa e a volte affidata addirittura ad algoritmi e ad elaborazioni informatiche che ci uniscono solo sulla base dei dati raccolti sui nostri profili.
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Gesù evoca una prossimità capace di fasciare le ferite, di farsi carico dell’altro quando si trova nella condizione di non poterci ricambiare in nulla. E il criterio per vivere questa prossimità è molto semplice: non passare oltre. È un criterio profondamente umano, ma di una saggezza divina.
Oggi non andare oltre lo sguardo triste del tuo coniuge, o il tempo che devi dedicare ai tuoi figli, o alle tante sfuggevoli occasioni per dare quel qualcosa in più che in genere lasci perdere.
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