Ho spesso fatto fatica a commentare questa pagina del vangelo del lebbroso, al di là di ogni moralismo, di giudizi avventati, di interpretazioni spiritualistiche, è molto attualissima, ed entrando in empatia, immagino la condizione di esclusione sociale e religiosa in cui viveva il lebbroso: lo scarto degli scarti, il rifiuto di tutti.
La mia fatica? Oggi la lebbra è stata debellata, ma ci sono altri tipi di lebbra, davanti ad uomo o ad una donna sfigurati, quale sarebbe stata la nostra reazione?
Avete mai sperimentato situazioni di malattia o di esclusione che portano a gridare aiuto? Oppure abbiamo ascoltano qualcuno bisognoso che grida aiuto e per paura o codardia di essere contagiati o compromessi, abbiamo scelto di voltare la faccia dall’altra parte?
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“Siamo una società che continua a produrre lebbrosi e, molto spesso, i sacerdoti che decretano l’impurità degli altri sono quelli che sulla piazza proclamano accoglienza e parità” (g. p.).
Penso che occorre coraggio chiedere aiuto: mi ascolteranno? Ci sarà qualcuno disposto a prendere sul serio il grido del lebbroso?
“Quando mi chiedono qual è la cosa più coraggiosa che abbia fatto nella mia vita, rispondo senza esitazione: quando ho chiesto aiuto. Credo che l’atto di coraggio più grande che ciascuno di noi può fare è chiedere aiuto quando ne abbiamo davvero bisogno” (f. f.).
Non solo occorre coraggio per capire il bisogno di chi chiede aiuto, è necessario ascoltarlo, prendersi cura, avere com-passione, la migliore medicina.
Il lebbroso di questo vangelo mi piace, perché va di corsa incontro a Gesù e gli dice: se vuoi io so che puoi guarirmi, e la parola più bella che sa dire è lo voglio, guarisci!
Meraviglioso Dio, meraviglioso l’uomo che ascolta il grido dell’uomo.
Tese la mano, il gesto più divino che io conosca, il gesto più bello, Gesù l’afferra per costruire ponti, tocca la vita, si sporca, diventa impuro, s’interessa delle ferite del mondo, non si mette l’amuchina, non ha paura di contagiarsi, di perdere tempo con il malato.
Non faccio più fatica a commentare questa icona evangelica, l’amore non è un’idea ma concretezza, è una scelta, e subito la lebbra scomparve, Gesù lo inserisce nella vita, lo salva.
Se l’uomo non coglie il grido del lebbroso, la lebbra non è in chi è malato, e se nessuno lo ascolterà, Dio è rifugio e libera dall’angoscia.
Voglio essere guarito Signore dall’indifferenza e dall’individualismo. Voglio riconoscere l’altro che soffre. Voglio tendere la mano, interessarmi delle solitudini dell’umanità. Voglio il coraggio di gridare aiuto e di dare aiuto. Voglio guarire dalla mia lebbra. Voglio Signore, uscire dalla fortezza e uscire per condividere il grido di ogni sofferente. Voglio gridare assieme al lebbroso, Signore, se vuoi puoi guarirmi.
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Per gentile concessione di don Vincenzo Leonardo Manuli
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Don Vincenzo è nato il 7 giugno 1973 a Taurianova. Dopo la laurea in Economia Bancaria Finanziaria ed Assicurativa nell’Università Statale di Messina conseguita nel 1999, ha frequentato il Collegio Capranica a Roma dal 2001 al 2006. Ha studiato filosofia e teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma dal 2001 al 2006 retta dai padri gesuiti della Compagnia di Gesù. […]