Commento alla Parola della domenica a cura di don Vanio Garbujo. Visita il suo sito www.igiornidelrischio.com
Siamo entrati nel quarto tempo di preparazione alla Pasqua e, in questo nostro tempo così pesante, Dio semina nel nostro grembo una parola eccessiva, sovrabbondante, impegnativa. CI sono tre parole che hanno risuonato con una certa forza: imitare, beffeggiare e schernire. Tre parole usate nella prima lettura per descrivere come il popolo di Israele stava abbandonando la via di Dio. Rifiutava i suoi insegnamenti e ne accoglieva altri, quella della cultura pagana, dove erano immersi e cacciando chi Lui mandava, i suoi profeti che avevano la missione di spronarli a riprendere il cammino della gioia. Queste tre parole dovrebbero essere macigni nei nostri cuori. I credenti di quel tempo, i fedeli al Dio di Israele, imitano i culti pagani, beffeggiano e scherniscono gli inviati di Dio. Dovrebbero pesare nelle nostre vite, nel nostro modo di pensare e scegliere secondo il vangelo o meno.
Approfondiamo queste tre parole.
Imitare. Si legge nel libro delle Cronache: Imitando in tutto gli abomini degli altri popoli.
Questo è un fatto molto grave. Il popolo di Israele comincia a imitare la vita dei pagani, il culto, la loro mondanità. Questa parola imitare racchiude in sé un’altra parola: immagine. Presenta, infatti, nella parola latina la stessa radice “imitari” corradicale di imago -gĭnis, ossia immagine, riproduzione”. Gli israeliti, imitando il popolo pagano, non solo compiono un peccato di infedeltà e ingratitudine verso Dio, ma in realtà tradiscono sé stessi che sono creati a immagine e somiglianza di Dio. In questa imitazione dei culti pagani, l’immagine stessa del popolo, di ogni credente, è messa in gioco e tradita. Gli israeliti si allontanano dalla propria verità di figli creati e amati dall’unico Dio e scimmiottando la loro vita, perdono la propria identità. Chiediamoci: quanto la nostra vita, le nostre scelte, il nostro modo di pensare rischiano di essere a immagine e somiglianza di un mondo che sta perdendo la fede, il confronto con la Dio, la bellezza della comunione?
La seconda parola: Beffeggiare. “Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio”.
La parola beffeggiare a vari significati, ne raccolgo uno che mi sembra molto esplicativo: (ab)baiare. Gli israeliti, alle raccomandazioni dei profeti, segno tangibile dell’amore e della sua cura premurosa, abbaiano contro di loro e abbaiano contro Dio. Un uomo che abbaia è simbolo dell’uomo che ha perso la parola, usando il linguaggio animale. Compromettendo la propria immagine di figli di Dio, che cosa può rimanere? L’animalità dell’uomo: Israele abbaia, si lamenta, guaisce. A volte, rischiamo di renderci inabili nell’annunciare la parola di Dio per il troppo abbaiare contro tutto e tutti, rinunciando alla grande missione che tutti siamo chiamati realizzare: essere testimoni dell’Amore di Dio.
Infine: schernire. “Schernirono i suoi profeti”.
Alcuni riconducono il suo significato più tagliente alla parola scarnire, ossia ferire, graffiare, togliere la carne, strappare la carne. È come se il popolo d’Israele, alla vista dei profeti di Dio e all’ascolto delle loro parole, attraverso il disprezzo e la beffa, avesse tolto la carne ai profeti. Li ha ridotti all’osso, se non fisicamente, almeno nella loro parola e, di conseguenza, alla morte, al silenzio. Ecco il rischio al quale possiamo incorrere: se ci allontaniamo dalla nostra identità di figli, se ci facciamo i soli padroni e giudici della nostra vita e del nostro agire e di quello degli altri, come cani che abbaiano inutilmente, riduciamo al Silenzio la parola di Dio.
Davanti a questa trasformazione del popolo d’Israele in un popolo che abbaia, che non fa altro che attaccare, schernire, scarnificare i profeti, Dio interviene non per distruggere, ma per investire nuovamente attraverso la costruzione di un nuovo tempio, per un popolo che abbia il coraggio di salire, di alzare nuovamente la testa e di rimettersi coraggiosamente in cammino.
Ecco l’altra parola che Dio semina, oggi, nel terreno della nostra vita: salire, o con la parola del Vangelo, innalzare. Il figlio dell’uomo deve essere innalzato, messo tra terra e cielo, perché considerato indegno e del cielo e della terra, ma quando Giovanni evangelista parla d’innalzamento in realtà si riferisce alla Gloria di Dio. Cristo sulla croce è chiamato a essere innalzato alla gloria, come per la trasfigurazione, o meglio a essere rivestito di Gloria.
Anche noi, siamo chiamati a innalzarci – alzare la testa – e a rivestirci di luce, a tessere su di noi la verità del vangelo, per non cadere nello sterile abbaiare di chi si lamenta sempre e senza speranza.
Perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio
Il Vangelo ci ricorda che deve apparire che le nostre opere sono fatte in Dio. Siamo chiamati a prendere posizione, come ci ricordava il Vangelo domenica scorsa, e diventare emanazione di quella luce che è tipica del risorto, che nasce dalla sua gloria, che già si scorge nel buio della croce. Il discepolo di Gesù è chi lascia traccia del suo passaggio, sperando sia un segno luminoso di verità, dialogo e comunione.