Ormai lo conoscevano proprio tutti. Tanti lo avevano cercato, molti lo avevano guardato da vicino, alcuni da lontano, altri lo avevano osservato solo di nascosto. Ognuno si era portato via un’immagine: il guaritore, il predicatore, il maestro, il mangione e beone, il santone, l’amico delle prostitute e dei pubblicani, il folle, e chi più ne ha più ne metta. Ne era perfettamente consapevole Gesù, tanto che un giorno, a metà tra l’incuriosito e il perplesso, domandò ai suoi discepoli: «la gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Le risposte furono le più varie: la reincarnazione del Battista o di Elia, un grande profeta, e chissà cos’altro venne fuori… Sul momento se la cavò meglio Pietro; ma dopo poco si scoprirà che anche lui aveva idee piuttosto confuse.
Ora ci risiamo, gli chiedono di “posare per l’ennesima fotografia”. Alcuni stranieri si rivolgono a Filippo e avanzano una richiesta: «vogliamo vedere Gesù». Beh, stavolta non è il caso di lasciarsi sfuggire l’occasione. Niente immagini sfocate, né volti tagliati. Bisogna scegliere la luce giusta e “la migliore inquadratura”, perché lo scatto venga bene e non lasci più dubbi.
Ecco che Gesù mette a fuoco l’obiettivo e ci propone un’immagine inequivocabile: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Lui è quel chicco di grano, pronto a disintegrarsi per sprigionare tutta la sua energia vitale.
Non si tratta semplicemente di cadere a terra, quello accade, non lo scegli. Per quanto tu possa crederti un vincente, per quanto tu possa cercare di parare tutti i colpi e schivare tutte le buche, non potrai evitarlo. Quello che fa la differenza è scoprire che in quello schianto c’è molto altro.
Quante volte siamo caduti e abbiamo fatto di tutto per nasconderlo, per evitare che lo sguardo degli altri ci cogliesse in fallo, per non dover subire l’onta di sentirci giudicati, derisi o addirittura compatiti. Quante cadute dissimulate segnano le nostre giornate; quante scuse campate in aria pur di trovare una ragione plausibile e non ammettere la realtà.
Perché la tentazione di tutti è proprio quella di rialzarsi subito, scuotersi la polvere di dosso e aggrapparsi a quel poco che ancora resta in piedi. Quando, invece, la salvezza sarebbe riconoscere che proprio quando tutto sembra perduto, quando hai speso tutte le tue energie e non ti rimane più un briciolo di forza perché hai amato con tutto te stesso, proprio allora può rinascere la vita, può iniziare una storia nuova. «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna».
La vita vera e la creatività autentica fioriscono in chi ha il coraggio di spogliarsi di tutto, di ripartire dalla propria nudità. La forza e l’energia del chicco di grano hanno bisogno di un passaggio doloroso ma necessario, della morte, per sprigionarsi in pienezza. Non c’è immagine più eloquente per chi vuole “vedere” Gesù: “Io sono tutto l’amore che ho dato, tutto l’amore incondizionato”.
Il desiderio dei greci si realizzerà pienamente proprio nell’attimo in cui gli occhi sarebbero tentati di voltarsi altrove, quando ci verrebbe voglia di coprirci la faccia per non vedere uno spettacolo che «non ha né apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 53,1). Sulla croce si compirà la parabola del “chicco-Gesù”, è quello il suo profilo migliore. Lì, finalmente, lo vedremo senza filtri. Ma quell’immagine non è per tutti; qualcuno si rifiuterà di accoglierla. E io cosa ne farò di quell’istantanea: “ce la incorniciamo? O la butto via?”.
AUTORE: don Umberto Guerriero
FONTE: #Vangeloasquarciagola (canale Telegram) – Sito