Partire è un po’ morire. Vale per chi va via, ma anche per chi rimane. Il distacco spesso è tutt’altro che indolore e lascia un segno indelebile nel cuore.
Ma era stato proprio il Maestro a teorizzare la fecondità della morte, quando aveva parlato ai suoi amici del chicco di grano. Un lasciare che significa ritrovarsi in modo più autentico, un morire che è passaggio verso una vita pienamente compiuta.
Solo in questa prospettiva cominciano ad avere senso le parole di Gesù: “è bene per voi che io me ne vada”; parole che altrimenti non potrebbero che suonare assurde alle orecchie di chi le ascolta.
Ma durante quel discorso d’addio i discepoli forse non erano lucidi abbastanza per ricordarsene, la tristezza aveva tutto d’un tratto riempito il loro cuore.
Gesù si accorge che nessuno di loro gli chiede: “dove vai?” e si rende conto che i suoi amici stanno pensando ad una separazione definitiva. Egli invece non annuncia una rottura, al contrario pepara una più intima comunione, possibile soltanto se prima si sperimenta l’assenza.
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Quando sentiamo in noi il vuoto possiamo provare a riempirlo in tanti modi, rischiando di accontentarci di squallidi surrogati, oppure possiamo provare a dare senso a quella mancanza.
Gesù torna al Padre e lascia nel cuore dei discepoli una profonda e sana “nostalgia di Dio”. Il dono del Paralitico, poi, li aiuterà a ricordare ogni cosa, a comprendere ciò che ancora non era chiaro, a trovare gioia e forza per rendere testimonianza attraverso una vita donata per amore.
Dove vai… dove vai…
Vattene piano lasciami un segno così
DOVE VAI – MANGO
AUTORE: don Umberto Guerriero
FONTE: #Vangeloasquarciagola (canale Telegram) – Sito