L’imperfezione è appello alla perseveranza nel bene
Sabato della XVI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
La folla Gesù a cui si rivolge è l’immagine di quelle persone, battezzate o no, credenti o scettici che muovo una critica osservando “da fuori” la Chiesa che Gesù chiama il Regno di Dio. La domanda che viene rivolta ai credenti riguarda la presenza del male in essa, cioè il fatto che manifesti in se stessa tante imperfezioni e limiti. Dalla Chiesa ci si aspetta “la perfezione” come se l’esempio, che pure deve dare, consistesse nel non sbagliare mai.
Eppure quotidianamente notiamo in noi stessi, negli ambienti che frequentiamo e nelle persone che incontriamo che nulla è perfetto, ma tutto manifesta dei limiti. Spetta a noi scegliere come affrontarli, se vederli come marchi d’infamia da eliminare o come spazi di miglioramento. La parabola pone a confronto non tanto l’uomo che ha seminato il buon grano e il suo nemico che ha sparso la zizzania, ma l’uomo e i suoi servi nell’atto di valutare quale atteggiamento avere davanti alla constatazione che nel campo c’è sia il grano che la zizzania.
L’uomo che ha seminato il grano ha più a cuore che esso cresca e fruttifichi e questo può avvenire anche in presenza del male che forse rende più difficoltosa la crescita ma non la impedisce. I servi vorrebbero invece eliminare subito la zizzania col rischio di sradicare il buon grano.
Il punto di vista di Dio è naturalmente quello di chi ha seminato il grano e ha pazienza perché il bene e il male facciano il loro corso, si manifestino per quello che sono, sapendo che l’atto finale sarà il giudizio che definitivamente sancirà non la fine ma il compimento del fine proprio sia del bene che del male. Il male per sua natura è passeggero ed è destinato ad essere distrutto, il bene invece rimane per sempre ed è garanzia di una nuova semina. I servi devono fare una separazione, ma al momento opportuno.
Questo significa che è inutile farsi guidare dal pregiudizio, fare i processi alle intenzioni col rischio di compiere scelte distruttive. La giustizia di Dio, a cui ispirare anche la nostra, punta più sul bene ed è animato dalla speranza che possa crescere e fruttificare pur tra le difficoltà. Il servizio che i servi devono compiere deve concentrarsi sul potenziamento di quei fattori di resistenza al male che permettono di fronteggiare i problemi per uscirne vittoriosi, conseguendo il fine buono prefissato.
Non basta denunciare il male, perché esso può diventare un facile alibi per giustificare la rinuncia ad impegnarsi per il bene. È necessario coniugare alla denuncia del male anche un impegno concreto perché la carità diventi stile ordinario di comportamento che sterilizzi i germi di male.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
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Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13, 24-30
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
Parola del Signore.