La morte delle aspettative e la nascita del desiderio
Santi Gioacchino e Anna
I discepoli domandano a Gesù il motivo per il quale alla folla parla in parabole ed egli risponde che la differenza tra la folla e i discepoli consiste nel modo con il quale si accoglie la Parola di Dio. Dio infatti parla a tutti e in diversi modi, si fa prossimo all’uomo e in tante maniere. La folla è il simbolo di coloro che hanno con Gesù un contatto occasionale e strumentale per cui quello che vedono e sentono non cambia loro il cuore perché si fermano al bisogno da soddisfare piuttosto che al desiderio di essere salvati.
La relazione che s’instaura tra Gesù e i molti della folla sembra essere molto superficiale al punto che il beneficio che si ottiene è passeggero. Per molti Dio è Colui che è buono quando risolve i problemi e poi è come una scopa che viene riposta dietro la porta in attesa di usarla di nuovo all’occorrenza. Questo modo di fare si riverbera anche nei rapporti con gli altri. I discepoli sono condotti da Gesù a comprendere e assimilare gli eventi nei quali si manifesta la potenza di Gesù affinché lo stesso Spirito, che fa compiere a lui molti prodigi e lo porta fino alla croce per il dono totale di sé, possa agire anche in loro.
Il frutto di cui parla Gesù non è un’opera buona che facciamo ogni tanto per lavarci la coscienza, ma è quello che permettiamo di fare in noi allo Spirito Santo. Il frutto è l’opera dello Spirito Santo in noi e attraverso di noi. Senza lo Spirito Santo non potremmo mai comprendere quello che Dio sta operando in noi e per noi. Nella parabola sono visualizzati concretamente gli ostacoli che l’uomo, anche il sedicente credente, pone affinché lo Spirito Santo agisca.
Sono sottolineati tre atteggiamenti che ci rendono refrattari alla grazia di Dio: il primo è il formalismo, cioè compiere azioni religiose ma senza fede, il secondo è l’emozionalismo, in altri termini si tratta di scelte di vita fatta sull’onda dell’emozione senza il supporto del ragionamento, il terzo consiste nell’attivismo che è la forma più comune del narcisismo che mette al centro il proprio io. Ci si trova a volte nella condizione di essere aborti di credenti, cioè persone che non giungono alla maturità di fede perché vinti dalla delusione in quanto non accettano la morte delle loro aspettative che nutrono su Dio e sugli altri.
L’uomo che porta frutto è Colui che con l’aiuto dello Spirito Santo accoglie il seme che prima deve morire per germogliare e diventare frutto. Solo attraversando la morte delle nostre aspettative può nascere e svilupparsi il desiderio e la volontà di amare l’altro fino alla fine!
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
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Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13, 18-23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Parola del Signore.