Vinta la cecità dell’orgoglio diventiamo discepoli-testimoni della luce
San Giovanni Crisostomo
“Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”; San Paolo VI ricordava che: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Con questa chiave di lettura comprendiamo che ciò che unisce Gesù e i discepoli non sono concetti o capacità pratiche, ma il fatto di essere testimoni dell’amore di Dio.
Solo un autentico discepolo–testimone diviene un vero maestro-testimone. Come tale il testimone racconta quello che ha visto, ma la verità del racconto dipende dalla profondità dello sguardo con cui vede le cose. Un cieco o ipovedente osserverà la realtà fermandosi al suo aspetto più esteriore, così come una persona giudica un’altra solo dall’apparenza e traducendo in affermazioni ciò che sono impressioni soggettive.
Il discepolo-testimone si lascia illuminare dalla parola di Gesù che getta una luce sulla realtà la quale appare com’è agli occhi di Dio. La luce di Dio è la benevolenza, la fedeltà, la misericordia. Il testimone si lascia abitare da questa luce che lo trasforma interiormente.
La testimonianza diventa condivisione dell’esperienza della illuminazione, altro nome per dire la propria fede. Valgono per il discepolo di Cristo le parole del quarto evangelista riguardo al Battista: “Non era lui la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce”.
Il discepolo-testimone ha il compito non di sostituirsi al maestro ma di tendere, insieme con gli altri fratelli, al modello unico e insostituibile del Maestro. Il discepolo che insegue le proprie ambizioni velleitarie si fa abbagliare dal potere e non si accorge che sta calpestando la dignità delle persone delle quali si serve per raggiungere i suoi obbiettivi. Una persona cieca, prima di proporsi come guida o correttore del fratello deve prima avere l’umiltà di lasciarsi curare.
Come Saulo sulla via di Damasco, anche i cristiani, incontrando il Signore, cadono a terra e sperimentano il buio della cecità. La falsa luce della presunzione di salvarsi con le proprie opere rivela prima o poi il suo aspetto tenebroso. La cecità di Paolo ha una funzione educativa perché gli permette di vedere la trave che era nel suo occhio. Allorquando Paolo si lascia curare dalla parola della Chiesa, per opera del suo ministro Anania, riacquista la vista per continuare il suo cammino di fede e di servizio fino al martirio.
Solo alla luce di Cristo possiamo vedere la luce ed essere veri testimoni della Luce!
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
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Può forse un cieco guidare un altro cieco?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6, 39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Parola del Signore