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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del giorno – 26 Settembre 2024

Commento al brano del Vangelo di: Lc 9,7-9

La speranza dell’uomo è Gesù Cristo – Giovedì della XXV settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Ss. Cosma e Damiano

Dal libro del Qoèlet Qo 1,2-11

Non c’è niente di nuovo sotto il sole.

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

vanità delle vanità: tutto è vanità.

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Quale guadagno viene all’uomo

per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?

Una generazione se ne va e un’altra arriva,

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ma la terra resta sempre la stessa.

Il sole sorge, il sole tramonta

e si affretta a tornare là dove rinasce.

Il vento va verso sud e piega verso nord.

Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.

Tutti i fiumi scorrono verso il mare,

eppure il mare non è mai pieno:

al luogo dove i fiumi scorrono,

continuano a scorrere.

Tutte le parole si esauriscono

e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.

Non si sazia l’occhio di guardare

né l’orecchio è mai sazio di udire.

Quel che è stato sarà

e quel che si è fatto si rifarà;

non c’è niente di nuovo sotto il sole.

C’è forse qualcosa di cui si possa dire:

«Ecco, questa è una novità»?

Proprio questa è già avvenuta

nei secoli che ci hanno preceduto.

Nessun ricordo resta degli antichi,

ma neppure di coloro che saranno

si conserverà memoria

presso quelli che verranno in seguito.

Il sapiente pessimismo

Tra i libri sapienziali il canone ebraico annovera quello di Qoèlet che si presenta come «figlio di Davide, re di Gerusalemme». L’identificazione con Salomone è una finzione letteraria per attribuire la paternità di questo testo a colui che rappresenta per eccellenza la figura del sapiente. Tuttavia, il termine Qoèlet o Ecclesiaste potrebbe significare l’uomo dell’assemblea, ovvero sia il maestro o l’oratore, sia il rappresentante dell’assemblea, il pubblico personificato che prende la parola per criticare l’insegnamento classico.

L’apertura del libro è un componimento poetico nel quale si rivela il pessimismo di fondo dell’autore che è fondato su un realismo autoreferenziale. Il sapiente parte sempre dalla constatazione della realtà, ma in questo caso coglie nel determinismo ripetitivo e ciclico della natura un limite alla capacità dell’uomo di dare un senso alle cose. La «vanità» di ogni cosa risiede nella inconsistenza e non durabilità delle cose e della vita stessa dell’uomo. Infatti, anche la sua esistenza è sottomessa alla legge della provvisorietà. Ogni cosa che è conoscibile con i sensi, i quali colgono il qui e l’ora.

La verità non può risiedere nella realtà conoscibile con i sensi perché essa è continuamente mutevole. Per Qoélet la verità, intesa come una realtà stabile, immutabile e, perciò, affidabile non appartiene al mondo conoscibile e sperimentabile. Ma il sapiente può parlare solo di quello che conosce e quindi di una verità che è un principio stabile nella mutevolezza della realtà: tutto è passeggero e precario e nulla è stabile e affidabile. L’esistenza umana, con la sua fatica e le sue gioie, è effimera, ovvero non può trovare in sé stessa il suo fine.

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+ Dal Vangelo secondo Lc 9,7-9

Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?

In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».

Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

La speranza dell’uomo è Gesù Cristo

Gesù, dopo aver costituito la comunità dei Dodici, consegnando loro il dono dello Spirito, li invia in missione per evangelizzare, cacciare i demoni e guarire gli infermi. La Chiesa, sul modello degli apostoli, ancora oggi viaggia per le strade del mondo per compiere, accompagnata dal Cristo, la parola profetica che Gesù il Nazareno aveva proclamato nella sinagoga di Nazareth: «Lo Spirito del Signore è su di me. Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha inviato a portare il lieto annunzio ai poveri».

In quella circostanza, come avviene ancora oggi, Gesù si è scontrato con i suoi paesani che, sentendo parlare dei miracoli compiuti nella vicina Cafarnao, avevano coltivato la speranza di vedere operati anche nella sua patria qualcuno dei suoi prodigi. Il sentir parlare di Gesù ha come effetto quello di attivare o risvegliare le attese della gente che però hanno il limite di essere chiuse nel piccolo orizzonte umano. Infatti, è facile confondere il bisogno o il desiderio con la speranza.

Se si pretende che l’altro soddisfi i propri bisogni o realizzi i propri desideri operiamo ciò che ha fatto Erode in maniera più drammatica e cruenta con Giovanni Battista, cioè ingabbiamo gli altri nei nostri schemi fino al punto di uccidere la relazione con loro. Le opinioni su Gesù sono la proiezione delle proprie speranze mondane legate alla nostalgia di un passato, considerato illusoriamente migliore del presente.

Se è vero che la fede è ricerca è pur vero che essa non significa voler trovare ciò che corrisponde alle proprie attese, ma vuol dire camminare incontro a Colui che viene a guarire il cuore dell’uomo e, facendolo crescere nell’amore, a realizzare la vocazione personale, ossia, l’opera che Dio sta compiendo in ciascuno dei suoi figli. Lo spirito mondano acceca e confonde mentre lo Spirito di Dio, che guarisce, illumina la mente perché possiamo riconoscere l’avvento del Regno di Dio e aderirvi con fede consapevole e gioiosa.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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