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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del giorno – 26 Gennaio 2025

Domenica 26 Gennaio 2025 - III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 1,1-4;4,14-21

Gesù, il Vangelo di Dio – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO o della Parola di Dio (ANNO C) – LECTIO DIVINA

Dal libro di Neemìa Ne 8,2-4.5-6.8-10

Leggevano il libro della legge e ne spiegavano il senso.

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.

Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.

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Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.

I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.

Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.

Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

La catechesi rimedio all’ignorante tristezza

È gente provata quella che fa ritorno nella propria patria dopo l’esilio. L’opera del governatore Neemia consiste nel coordinare le opere di ricostruzione ma anche di ricucitura del tessuto sociale lacerato. Le lacrime del popolo esprimono il senso di profonda prostrazione e sconforto delle persone che sono consapevoli del fatto che il passato luminoso e glorioso sarà solamente un ricordo sempre più lontano. In questo contesto s’inserisce la funzione dello scriba Esdra che ha il compito di «attualizzare» la Parola di Dio. Lo scriba è colui che, insieme alla classe sacerdotale, hanno custodita la Parola di Dio mettendo per iscritto ciò che si tramandava solo oralmente. La parola di Dio poteva risultare lontana e dal contenuto riservato ai pochi conoscitori della lingua materna, ormai quasi del tutto sconosciuta.

Gli scribi, aiutati dai leviti, non solo fanno risuonare la parola di Dio nella lingua natia, ma cercano di incarnarla nel contesto attuale affinché la tristezza di ciò che è ormai perduto lasci il posto alla gioia di aver ritrovato lo spazio e il tempo per incontrare il Signore e lasciarsi nutrire dalla sua Parola. Ci troviamo davanti ad una prima forma di Liturgia della Parola nella quale la catechesi diventa il rimedio alla ignoranza che alimenta la tristezza e lo sconforto. La fede necessita di essere costantemente purificata e coltivata con la catechesi permanente affinché in ogni momento della vita, soprattutto nella crisi e nella prova, si possa fare un saggio discernimento sulle scelte importanti da compiere.

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Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 12,12-30

Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?

Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

Il corpo di Cristo

Paolo tratta la questione del buon uso dei carismi, cioè dei doni dello Spirito, concessi alla comunità quale segno visibile della presenza del Signore nella Chiesa. La comunità di Corinto aveva una mentalità ancora molto impregnata di paganesimo, infatti sono tentati di apprezzare soprattutto i doni più spettacolari e di utilizzarli in maniera autoreferenziale, diventando motivo di rivalità. L’apostolo chiarisce che la finalità dei doni è per il bene comune e non per l’esaltazione del singolo che si sente investito di un privilegio e un’autorità sugli altri.

Paolo utilizza l’apologo classico col quale si rappresenta la società come un organismo vivente che, pur formato da molte membra costituisce un unico corpo. Il corpo umano fornisce una perfetta immagine di una diversità radicata nell’unità. Mediante il battesimo e l’eucaristia lo Spirito inserisce ogni cristiano nella Chiesa, che è il corpo di Cristo, facendo di lui un suo membro. L’appartenenza al corpo non è una condizione statica ma dinamica. Lo Spirito unisce il credente a Cristo e contestualmente ai fratelli che, come lui, sono membra di Cristo. La Chiesa è la presenza fisica di Cristo nel mondo nella misura in cui prolunga il suo ministero. In Cristo, crocifisso nella carne ma reso vivo nello Spirito, si realizza la riconciliazione di tutti gli uomini con Dio. Questo ministero di comunione, mediante lo Spirito, passa al battezzato che diventa ministro della riconciliazione mettendo la propria vita a servizio dell’unità dell’umanità. I credenti, accomunati dalla stessa origine e dalla medesima vocazione, si differenziano per i doni ricevuti affinché la Chiesa risulti una sinfonia armoniosa di carismi e ministeri.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,1-4; 4,14-21

Oggi si è compiuta questa Scrittura.

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l’unzione

e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,

a proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

a rimettere in libertà gli oppressi

e proclamare l’anno di grazia del Signore».

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

LECTIO

Contesto

Dopo il proemio (1, 1-4) e la sezione narrativa incentrata sul confronto tra Giovanni battista e Gesù (1,5-4,13), il racconto di Luca descrive la sua attività in Galilea (4,13-9,50). La chiave di lettura dell’intera sezione è l’episodio di Nazaret (4,16-30) in cui Gesù rivela l’autocoscienza di essere il Cristo, l’unto di Dio, inviato dal Padre. Il suo messianismo è nuovo perché differente dalle attese della gente.

Testo

La pericope liturgica mette insieme due brani distinti: il proemio (vv. 1-4) e l’insegnamento di Gesù nella sinagoga di Nazaret (4, 14-21).

Quella che la tradizione attribuisce a Luca è un’opera che consta di due parti, la pima delle quali è chiamata vangelo e la seconda Atti degli apostoli. Nella formulazione del canone del Nuovo Testamento le due sezioni dell’opera letteraria sono state separate inserendo la prima tra gli altri scritti evangelici e la seconda dopo i quattro vangeli attribuendo agli atti degli apostoli un genere letterario proprio dei libri storici. Il proemio è da considerare l’introduzione a tutta l’opera della quale si espone la circostanza, il contenuto, le fonti, il metodo, la dedica e lo scopo. L’evangelista offre al lettore, rappresentato da Teofilo, un patto di lettura finalizzato a fargli riconoscere la fondatezza della fede a cui è stato già introdotto.

Il soggetto materiale della tradizione, nella quale s’inserisce l’opera letteraria, non è la singola persona ma la comunità. Essa è quella delle origini, dalle quali il tempo s’incarica di far prendere le distanze, composta di testimoni oculari e che sono diventati «operai (ministri) della Parola». I testimoni oculari sono coloro che hanno visto Gesù e lo hanno conosciuto direttamente; alcuni di essi sono diventati suoi annunciatori. La loro predicazione non è consistita semplicemente nel riportare la cronaca degli eventi ma nel servizio della testimonianza di Gesù e della sua pasqua.

L’opera di Luca è eco e continuazione della tradizione che inizia con l’evento della Pasqua e che risuona nella vita di coloro che accolgono l’annuncio. Luca, insieme agli altri ministri della Parola, attesta l’affidabilità della propria narrazione, perché è fondata su dati storici comprovati, ma soprattutto perché è la testimonianza resa a Cristo nel quale la Chiesa tutta crede. Gli eventi pasquali sono la prima attestazione del fatto che la salvezza di Dio si è pienamente compiuta in essi.

In definitiva, la narrazione si assume il compito di far giungere a tutti l’annuncio pasquale il cui primo profeta è Gesù.

Quello di Luca non è un resoconto di cronaca. Marco, infatti, colloca la visita di Gesù a Nazaret solo dopo l’avvio della missione. Il tempo della narrazione è in disarmonia con quello dei fatti perché il Kronos non coincide con il Kairos, il tempo dell’uomo non combacia con il tempo di Dio. Luca opera una forzatura nei tempi della narrazione volendo significare che Dio viene a modificare l’ordine delle cose stabilito secondo criteri umani per superarlo e orientarlo verso un altro fine. Gesù viene a compiere la volontà di Dio superando schemi e tradizioni ormai sclerotizzate. La missione di Gesù consiste nel far uscire l’uomo dalla presa del Kronos (che mangia i suoi figli. Cf. Crono nella Teogonia di Esiodo) nell’introdurre l’uomo Kairos il tempo e il tempio di Dio.

I vv. 14-15 sono un sommario che riporta in poche parole un periodo relativamente lungo della storia. In continuità con l’evento del battesimo (3,22) e delle tentazioni (4,1) appare determinante il ruolo dello Spirito Santo, quale principale agente motivante dell’attività missionaria di Gesù che è l’insegnamento. Luca non specifica il contenuto dell’insegnamento perché a lui preme sottolineare il fatto che la sua missione è innanzitutto fondata sulla relazione e la comunicazione. L’ambiente è quello della sinagoga. Essa era un’istituzione nata all’epoca dell’esilio in Babilonia all’indomani della distruzione del tempio e la cessazione dei sacrifici. Quell’evento drammatico segnò l’inizio della diaspora. La sinagoga ha costituito per Israele un segno di speranza perché mediante i sacerdoti la Parola di Dio, prima costudita nel tempio, ha lasciato la sua dimora sul monte Sion per condividere con i deportati il dramma dell’esilio che ha rappresentato per Israele la fine di tanti sogni di gloria. Il profeta Ezechiele è il più alto testimone di come Dio non ha abbandonato il popolo ribelle al suo destino ma lo ha seguito fino «agli inferi» per ri-crearlo e ri-condurlo all’unità verso la sua casa. I sacerdoti hanno permesso che la Parola si frammentasse e si moltiplicasse tante quante erano le comunità disperse, pur conservando l’unità dell’origine e del contenuto. L’unità e la comunione sono il fine dell’azione di Dio e della vita degli uomini. I sacerdoti sono stati garanti dell’integrità della Parola di Dio anche quando questa è passata dalla tradizione orale alla forma scritta. Lo Spirito Santo ha ispirato i sacerdoti a tramandare fedelmente la Parola di Dio, consegnandola di generazione in generazione. Sempre loro hanno anche avuto il compito di aiutare a tradurre parola di Dio nella vita la attraverso il magistero, o tradizione orale.  Ezechiele e Geremia sono due profeti appartenenti alla classe sacerdotale che interpretano il loro sacerdozio in chiave profetica. Non sono gli organizzatori di riti ma animatori di comunità in cui è ricollocato al centro Dio che, parlando, comunica e si comunica all’uomo. Il profeta è la bocca di Dio che si apre verso e non contro i suoi figli, non per divorarli ma per nutrirli con la sua parola. Dt 18 afferma che il vero profeta si distingue dal falso profeta se la parola che pronuncia si avvera. Il profeta è colui che accoglie la parola di Dio, anche se scomoda, e la mette in pratica permettendo che essa si compia in sé. Il profeta è colei o colui che si apre alla parola di Dio e alla sua azione. Prima della docilità viene la docibilità, ovvero la capacità di lasciarsi istruire e formare nella coscienza.

I vv. 16-21 descrivono la funzione liturgica e profetica di Gesù. Il cuore della seconda parte della pericope liturgica è il brano tratto dagli oracoli del profeta Isaia proclamato da Gesù (vv. 18-19) incorniciato nei vv. 16-17.20-21 nei quali l’evangelista offre l’ambientazione e descrive i suoi gesti che accompagnano la proclamazione del testo sacro e la sua spiegazione.

L’evangelista, dopo aver riassunto l’inizio del ministero di Gesù, caratterizzato dall’insegnamento animato dall’azione carismatica dello Spirito, lo presenta come un pio Israelita comune che frequenta la sinagoga del suo villaggio. Egli non è solo un partecipante al culto sabbatico ma ne è anche il protagonista. Ai verbi «alzarsi», «gli fu dato», «aprire il rotolo» dei vv. 16-17 corrispondono in senso inverso i verbi «riavvolgere il rotolo», «restituire» e «sedere». Sono gesti che appartengono al rituale della sinagoga dove il popolo si raduna in assemblea attorno alla parola di Dio. Anche l’evangelista Marco colloca in una sinagoga, quella di Cafarnao, l’inizio del ministero di Gesù. Viene inaugurato con un esorcismo che lascia stupefatti i presenti, i quali s’interrogano sul suo insegnamento che riconoscono nuovo e fatto con autorità. Chi lo ascolta gli riconosce un’autorità che gli scribi, conoscitori della sacra Scrittura, non hanno. L’episodio dell’uomo liberato dal demonio conferma che la sua parola è potente perché quello che dice si realizza (cf. Mc 1, 21-27).

Nel racconto che fa Luca (vv. 18-19) è posto in primo piano la parola della Scrittura, nello specifico l’oracolo di Isaia. Il testo profetico proclamato da Gesù è Is 61,1-2, anche se con qualche cambiamento rispetto all’originale della versione greca della Settanta. Infatti, l’evangelista accorcia l’oracolo della consolazione (61,1-9) limitandosi alle dichiarazioni iniziali ed evitando il riferimento all’ira divina; da una parte omette le espressioni «fasciare quelli dal cuore spezzato» e «un giorno di vendetta da parte del nostro Dio», dall’altra inserisce una frase proveniente da Is 58,6 («rimandare in libertà gli oppressi») che allude ad un altro contesto. Il soggetto parlante dell’oracolo è il profeta che parla di sé, quale consacrato di Dio. Emerge l’autocoscienza di essere destinatario dell’azione di Dio che mediante lo Spirito lo ha consacrato, cioè l’ha riservato per una missione specifica: essere segno dell’amore di Dio per i poveri. Il primo compito, nel quale sono contenute le altre funzioni di seguito declinate, è evangelizzare. Il poema di Is 61,1-9 fa eco ai canti del servo che caratterizzano la seconda parte del libro di Isaia, chiamato libro della consolazione (Is cc. 40-59). In 42,1.7 e 49,9 l’oggetto del discorso fatto da Dio è il servo sul quale scende lo Spirito che lo abilita alla missione; in 50,4-11 il soggetto parlante è il servo che riconosce nelle sue sofferenze la realizzazione del piano salvifico operato da Dio. Luca ha presentato gli angeli come evangelizzatori, in particolare quelli che annunciano ai pastori la nascita del Salvatore, Cristo Signore. In questo annuncio c’è l’eco di Is 40,9-11 («Sali su un alto monte tu che annunci liete notizie a Sion!… annuncia: Ecco il vostro Dio!… »). Is 50,4-11 e Is 61,1-9 sono accomunati dal fatto che è il servo-profeta a raccontarsi e a manifestare l’autocoscienza della sua missione la cui origine è nella parola che riceve da Dio. Dunque, Luca vuole mettere in evidenza innanzitutto il fatto che Gesù non solamente è l’evangelizzatore che annuncia la Parola di Dio e la sua azione salvifica, ma anche che, mediante l’azione dello Spirito, la medesima Parola proclamata si realizza in lui e attraverso di lui. Nel mentre Gesù proclama la Parola egli confessa pubblicamente di assumerla come sua regola e programma di vita. I destinatari della Parola sono i poveri, ovvero quelli che non solo mancano del necessario, ma sono pure incapaci di procurarselo da sé stessi. La libertà promessa è emancipazione da ogni forma di dipendenza, in particolare da quella che inibisce le facoltà interiori dell’intelligenza e della volontà. La missione del Cristo (Unto dallo Spirito) consiste nell’offrire a tutti un’opportunità (anno di grazia) per accogliere la Parola che, in quanto «Luce per illuminare i popoli», è capace di motivare e sostenere la scelta libera di mettersi a servizio della volontà di Dio.

L’apertura e la chiusura del rotolo definiscono i tempi della lettura della Scrittura la cui parola può essere ascoltata. La liturgia non finisce con il termine della proclamazione della Parola. Infatti, Gesù, dopo aver assunto la postura dell’araldo che proclama, assume quella del maestro e inizia a parlare. Gli occhi di tutti sono fissi su di lui, capaci di vedere e attenti a cogliere ciò che sta per accadere. Il lettore sa che lo Spirito Santo è sceso su Gesù dopo il battesimo nell’acqua del Giordano ed è stato riconosciuto Figlio di Dio. Gli occhi del lettore riconoscono che Gesù è quel personaggio misterioso di cui parla l’oracolo di Isaia proclamato dal Nazareno nella sinagoga del suo paese d’origine. Il profeta è l’evangelizzatore, che non semplicemente annuncia un fatto futuro, ma che proclama la Parola, la quale si realizza a partire dal momento in cui viene enunciata. Quante volte quella Scrittura è stata proclamata nelle sinagoghe; tuttavia, nel momento in cui Gesù la legge, la Parola inizia a diventare evento a vantaggio dei poveri. La promessa di salvezza diventa fatto compiuto. L’insegnamento di Gesù afferma che la Scrittura non è solo più ciò che «è stato scritto» sul rotolo e che si sente nella proclamazione liturgica, ma è evento che richiede la capacità di vedere e di riconoscere in esso l’azione di Dio e il compimento delle sue promesse. Il profeta-servo di Dio non presta solo la sua voce alla Parola, ma offre tutta intera la sua esistenza perché prenda corpo la volontà divina.

Le parole di Gesù che annunciano il compimento della Scrittura rivelano che essa s’identifica con Lui. Infatti, egli è la Parola che Dio scrive perché con Gesù Dio redige l’atto mediante il quale s’impegna ad amare il suo popolo e a fare di esso la sua sposa. La dichiarazione di Gesù è da leggere come il suo atto di fede e, perciò la sua adesione alla volontà di Dio. Tutta la pericope può essere letta alla luce del brano della Lettera agli Ebrei (10, 5-7): «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà». «Oggi si è compiuta la Scrittura che avete udito» suona come una confessione di fede nella quale Gesù si riconosce nella vocazione del profeta e aderisce alla Parola della Scrittura facendo sua la missione del Servo di Dio.

MEDITATIO

Gesù, il Vangelo di Dio

Nel Battesimo al fiume Giordano Gesù viene manifestato dalla voce del Padre che lo chiama «Figlio mio, l’amato» e a Cana di Galilea, mediante il segno del vino, inizia a manifestare la sua gloria rivelando il fatto che è giunto lo Sposo d’Israele. Dalla casa di Cana, in cui si festeggiavano le nozze di una giovane coppia, si passa alla sinagoga del suo paese d’origine in cui l’assemblea è radunata di sabato per ascoltare la Parola di Dio. Gesù, che aveva già mosso i primi passi della sua missione evangelizzatrice in Galilea guidato dallo Spirito Santo, si alza a leggere in virtù del fatto che è un membro della comunità. Da una parte, come tutti gli altri anche lui si mette in ascolto, dall’altra, la sua voce diventa strumento perché la Parola di Dio raggiunga le orecchie e il cuore di chi la riceve. Dio comunica con le parole degli uomini e si comunica attraverso Gesù Cristo che apre il rotolo di Isaia nel punto in cui il profeta parla di sé, dell’unzione dello Spirito Santo e della sua vocazione. Nel momento in cui Gesù legge quelle parole egli stesso le ascolta assumendole come la chiave di lettura della sua identità e della sua missione. Dio parla della mia vita e alla mia vita. Lo Spirito Santo che Gesù ha ricevuto nel Battesimo lo ha costituito Messia per portare il Vangelo ai poveri. Essi non sono solamente coloro che mancano dei beni di prima necessità, ma anche chi brancola nel buio della disperazione, chi è privo della luce della speranza e non vede orizzonti davanti a sé ma solo muri e barriere che lo bloccano. Ci sono i poveri di fede perché delusi dalla vita che non vedono realizzate le loro aspettative e quelli che sono mancanti di misericordia perché le ferite delle umiliazioni e delle ingiustizie hanno indurito loro il cuore. Il vangelo non è un attestato di benemerenza, ma rivela che l’amore di Dio, superando le logiche umane, viene per consolare, guarire, liberare e restituire dignità a chi l’ha perduta. Il Vangelo assume il volto e il nome di Gesù. Anche i nostri occhi siano fissi su di lui come a voler ancorare la nostra vita alla sua parola di salvezza. Ognuno di noi ha delle sofferenze, dei problemi che l’affliggono, delle preoccupazioni che lo turbano. Forte è la tentazione di chiudersi nel proprio dolore; ma è proprio in questi frangenti che Dio viene a visitarci e chiede di essere ascoltato aprendogli il cuore con umiltà e fiducia. Come il popolo d’Israele anche noi, benedicendo Dio, Gli confessiamo la nostra povertà e il bisogno che abbiamo di essere nutriti della sua Parola. Quando l’assemblea si riunisce condivide il Pane che viene dal Cielo ricevendolo dalla bocca di Dio. Se abbiamo l’impressione che le vicende della vita ci relegano a spettatori rassegnati della storia, Dio ci offre la possibilità di diventarne nuovamente protagonisti partecipando con Lui alla realizzazione del Vangelo che contiene in sé una vera forza rivoluzionaria. Più che a cambiare la nostra sorte il Vangelo ci permette di realizzare il nostro destino di salvezza, quello che Dio ha preparato da sempre per noi. Toccati e illuminati dalla Parola di Dio, non possiamo essere solo osservatori distaccati perché, se ci fermassimo ad assistere ai fatti e ad analizzarli senza lasciarci coinvolgere nel dinamismo della libertà, rimarremmo semplici testimoni oculari. Non ci si può accontentare di stare alla finestra a giudicare. Gesù ci chiede di diventare ministri della sua Parola, operai del Vangelo, artigiani di umanità. L’assemblea che ascolta la Parola di Dio fa esperienza di essere non semplicemente un insieme d’individui, ma un corpo che è tale perché le diverse membra operano le une per le altre. La Chiesa, assemblea convocata da Dio, è corpo di Cristo. Ogni cristiano rende visibile la sua appartenenza a Cristo contribuendo con il suo servizio a rendere sempre tenera la carne del Suo corpo. Ogni membro si lasci irrorare dallo Spirto Santo e, docile alla sua azione, permetta che fluisca in tutto il corpo. Dovunque giunge la Parola di Dio, viene comunicato lo Spirito Santo e chiunque è battezzato in Lui diventa Figlio di Dio.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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