Solo gli imperfetti amano – Mercoledì della VII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Dalla lettera di san Giacomo apostolo Giac 4,13-17
Non sapete quale sarà domani la vostra vita. Dovreste dire invece: «Se il Signore vorrà».
Ora [mi rivolgo] a voi, che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.
Dovreste dire invece: «Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello». Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo.
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Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato.
L’uomo propone e Dio dispone
L’arroganza, che alimenta la vanagloria, è un altro atteggiamento che l’apostolo Giacomo stigmatizza con forza. La vanagloria è l’illusorio tentativo di esaltare sé stessi, assolutizzando il proprio io e relativizzando Dio.
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È saggio programmare la propria attività, ma è ancora più saggio verificare a quale volontà si ispira la progettazione. La fede è atto di sottomissione e obbedienza alla volontà di Dio. Solo essa è infallibile ed è buona. L’espressione se Dio vuole non è indice di rassegnazione ma di umile affidamento a Dio che è sorgente e compitore della nostra fede.
L’arrogante pretende che Dio si adatti alla sua volontà, mentre il credente aderisce al disegno divino anche quando esso richiede di rinunciare ai propri progetti. Concentrati sui nostri interessi, facciamo coincidere il bene con la nostra volontà, perdendo di vista ciò che invece è il vero volere di Dio.
In tal modo, il bene comune passa in second’ordine o viene subordinato a quello individuale. Il peccato di omissione è propriamente il sostituire il comando di Dio che detta la regola di vita con le proprie necessità o convinzioni che spesso creano fratture e contrasti.
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,38-40)
Chi non è contro di noi è per noi.
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Solo gli imperfetti amano
Giovanni riferisce a Gesù di aver assistito ad un tentativo di esorcismo da parte di una persona estranea al loro gruppo. Quella scena ha suscitato nei discepoli una certa preoccupazione fino al punto di pensare di impedirglielo perché era a loro evidente l’abuso di potere: come si permetteva quel tale di agire in nome di Gesù senza appartenere alla comunità dei suoi discepoli.
L’apostolo ricorda che i suoi compagni qualche giorno prima non erano riusciti a scacciare un demonio, pur avendo ricevuto da Gesù tale potere, e questo tale chi crede di essere? Forse ancora brucia quella esperienza e suscita invidia il fatto che un altro riesca a fare ciò in cui loro hanno fallito.
Emerge una mentalità monopolizzatrice del potere, anche quello finalizzato al bene. Il fatto che nelle parole dell’apostolo il noi è ripetuto tre volte fa capire quale peso abbia il ruolo nella valutazione dei fatti e nel giudizio sulla persona. Loro stessi si auto-eleggono termine di paragone sul quale misurare, valutare e giudicare.
Nel ragionamento di Giovanni s’intravede la critica che spesso serpeggia nelle nostre comunità. Non è forse vero che spesso ci permettiamo di dare o revocare patenti di dignità nel compiere un ministero e questo a partire dai nostri criteri di giudizio? La risposta di Gesù spiazza Giovanni perché non asseconda la loro intenzione, ma invita a vedere le cose dal suo punto di vista.
È Gesù il termine di paragone perché è lui il vero criterio di discernimento delle situazioni! Da qui ne consegue che chiunque faccia del bene, lo compie sempre attraverso di Lui, che misteriosamente lo abita, anche se non è pienamente appartenente alla comunità cristiana. In altri termini diremmo che il bene che facciamo possiamo compierlo solo attraverso lo Spirito Santo che Gesù dalla croce dà a tutti.
Il modo con cui Gesù vede quell’uomo e valuta il suo comportamento, giudicato male dagli apostoli, è il modo con cui Dio vede e valuta ciascuno di noi. Quello che Gesù apprezza non è la forma, ma il bene che possiamo fare anche se siamo imperfetti. Corriamo il rischio di ricercare la perfezione formale, la correttezza dei modi, e non cogliamo l’essenziale, cioè il bene che Dio opera in noi e attraverso di noi.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“