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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del giorno – 18 Febbraio 2025

Commento al brano del Vangelo di: Mc 8,14-21

I segni dell’amore di Dio sono segnali di speranza – Martedì della VI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Dal libro della Gènesi Gen 6,5-8; 7,1-5.10

Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato.

Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.

Il Signore disse: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.

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Il Signore disse a Noè: «Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione. Di ogni animale puro prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono puri un paio, il maschio e la sua femmina. Anche degli uccelli del cielo, sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza su tutta la terra. Perché tra sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti; cancellerò dalla terra ogni essere che ho fatto». Noè fece quanto il Signore gli aveva comandato.

Dopo sette giorni, le acque del diluvio furono sopra la terra.

L’obbedienza della fede argine al male distruttivo dell’uomo

Il tema di un diluvio è presente in tutte le culture, ma quelli della Mesopotamia hanno dei collegamenti più stretti con il racconto biblico. L’autore sacro utilizza una tradizione narrativa preesistente caricando il racconto di un insegnamento eterno e valido universalmente sulla giustizia e sulla misericordia di Dio, sulla malizia dell’uomo e sulla salvezza accordata al giusto.

L’autore della Lettera agli Ebrei in 11,7, parlando della fede dei giusti, accenna a quella di Noè destinatario di una rivelazione e di una missione. Il patriarca da una parte si distingue dalla massa dannata per la sua obbedienza, ovvero per la sua capacità di ascoltare la voce di Dio e di seguire il suo insegnamento, dall’altra, viene separato da essa per essere lo strumento di salvezza di un mondo ormai corrotto che s’incammina verso l’autodistruzione. Il peccato è il principio dell’anticreazione.

Il pentimento di Dio nell’aver creato il mondo rivela un sentimento di rigetto, non tanto della creatura ma della sua ingrata ribellione. L’ira di Dio non si trasforma in giudizio di condanna ma si esprime in lamento. La tristezza e la rabbia non accecano Dio, che invece cerca con perseveranza senza arrendersi. La sua misericordia lo porta a cercare almeno un uomo giusto e finalmente lo trova in Noè. In cosa consista la sua giustizia appare chiaro nella sua obbedienza cieca alla parola di Dio.

Noè sperimenta la gloria di Dio che, coinvolgendo l’uomo nel suo progetto redentivo, lo rende oggetto e co-soggetto della salvezza. La giustizia di Noè diventa argine al male che tutto distrugge. Il Patriarca è prefigurazione di Gesù che, imparando l’obbedienza dal male che ha patito per mano umana, è stato principio della nuova umanità.

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+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 8,14-21

Perché questa generaziGuardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode.

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane.

Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».

Anche la terza traversata del mare di Galilea è caratterizzata da una crisi che questa volta è interna al gruppo dei discepoli. Essi discutono tra loro del fatto che si ritrovano sulla barca con un solo pane perché hanno dimenticato di prenderli. Tutto questo mentre Gesù li mette in guardia dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode. I farisei ed Erode, ciascuno con le sue caratteristiche, sono l’emblema della incredulità. L’orgoglio porta ad ottenebrare la mente e ad indurire il cuore. I gesti e le parole di Gesù cadono nel dimenticatoio e scivolano via come acqua sulla pietra non lasciando traccia. Il formalismo dei farisei e l’ambizione di Erode sono virus presenti nel cuore dei discepoli che, trovandosi in difficoltà, reagiscono in maniera disperata e aggressiva perché manca loro la memoria del cuore che alimenta la speranza.

Ogni avvenimento della nostra storia porta con sé un valore e un insegnamento da custodire nel cuore e che torna utile per affrontare i lunghi viaggi della vita, soprattutto nei suoi passaggi cruciali. Quando viene a mancare la salute e la malattia ci porta via le forze fisiche e psicologiche, la morte di una persona importante crea un vuoto profondo nel cuore, la precarietà del lavoro non permette di vedere con serenità il futuro, possiamo trovarci anche noi nella stessa condizione dei discepoli in mezzo al mare con Gesù. Egli è con noi sempre, anche quando abbiamo il dubbio che non gli importi nulla del nostro destino oppure quando, traumatizzati da qualche disgrazia, gridiamo contro di lui come se fosse la causa di tutto il dolore che ci affligge.

Gesù ci chiede di non arrenderci nel cercare e trovare con lui e in lui il senso della povertà, della sofferenza e della morte. Nelle situazioni che appaiono vicoli ciechi siamo naturalmente portati o a condurre estenuanti discussioni per trovare i colpevoli o a rassegnarci abbandonando fatalisticamente ognuno al proprio destino. Gesù ci indica una terza via. Ricordare significa guardare il passato con gratitudine per coglierne nel presente i segni che l’amore ha lasciato. Dio lascia sempre dei segni del suo passaggio nella nostra vita che sono intelligibili solo alla luce della fede. Essi diventano segnali di speranza perché possiamo andare avanti.

Non conta quanto abbiamo o ci è rimasto, ma quanto di bene possiamo fare a partire dal poco che abbiamo. Se i drammi sono un duro colpo alla staticità della vita e della fede, ricordiamo quelle volte in cui la solidarietà e la condivisione sono state la via di fuga di situazioni che apparivano senza soluzione. Con Gesù siamo chiamati noi stessi ad essere se non pane intero, anche semplici briciole, messe nelle mani di Dio perché tutti possano saziarsi.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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