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don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del giorno – 1 Ottobre 2024

Commento al brano del Vangelo di: Lc 9,51-56

Puntare in alto … verso la vetta dell’Amore – Martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Santa Teresa di Gesù Bambino

Dal libro di Giobbe Gb 3,1-3.11-17.20-23

Perché dare la luce a un infelice?

Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire:

«Perisca il giorno in cui nacqui

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e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.

Perché non sono morto fin dal seno di mia madre

e non spirai appena uscito dal grembo?

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Perché due ginocchia mi hanno accolto,

e due mammelle mi allattarono?

Così, ora giacerei e avrei pace,

dormirei e troverei riposo

con i re e i governanti della terra,

che ricostruiscono per sé le rovine,

e con i prìncipi, che posseggono oro

e riempiono le case d’argento.

Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,

o come i bambini che non hanno visto la luce.

Là i malvagi cessano di agitarsi,

e chi è sfinito trova riposo.

Perché dare la luce a un infelice

e la vita a chi ha amarezza nel cuore,

a quelli che aspettano la morte e non viene,

che la cercano più di un tesoro,

che godono fino a esultare

e gioiscono quando trovano una tomba,

a un uomo, la cui via è nascosta

e che Dio ha sbarrato da ogni parte?».

La lamentazione è preghiera anche quando rasenta la bestemmia

Dopo i primi due capitoli narrativi, il terzo inaugura il secondo livello dell’opera che è costituito dal grande dialogo tra Giobbe e gli amici (I atto) e tra Giobbe e Dio (II atto). I capitoli 3-27 vedono il confronto tra il grande sofferente e gli amici teologi, i quali vogliono in maniera semplicistica risolvere i problemi laceranti che Giobbe scaglia davanti a loro. Il dibattito si articola in nove interventi di Giobbe a cui rispondono sistematicamente i tre amici. Ci si trova di fronte alla denunzia del fallimento della spiritualità puramente consolatoria.

I tre amici incarnano tre modelli teologici diversi: Elifaz rappresenta i profeti professionali, Bildad riferisce gli asserti del diritto sacro dell’alleanza, mentre Zofar sembra riflettere la sapienza ufficiale ortodossa. Gli amici sapienti, sacerdoti e profeti ribadiscono in maniera sistematica la tesi fondamentale per la spiritualità tradizionale, quella della retribuzione: se tu soffri è perché hai peccato; delitto e castigo, e il suo equivalente positivo, giustizia e premio sono un binomio intoccabile garantito da Dio all’interno della storia e quindi fonte di pace e di fiducia per il giusto. Questa tesi è applicata rigidamente a Giobbe dai suoi amici.

Egli è nel dolore perché Dio sta giustamente colpendo la sua fragilità peccatrice radicale (Elifaz), inconsapevole (Bildad) e consapevole (Zofar). A questa spiritualità minima e giuridica Giobbe oppone una ricerca autentica e libera in cui né Dio né l’uomo siano umiliati in schematismi semplificatori. La sua ricerca si muove lungo due direttrici: protesta del male di vivere e il confronto con Dio. La prima reazione di Giobbe si esprime del soliloquio del c. 3, imitazione libera della lamentazione di Ger 20, ed è scandito dal «Perché?», tipico anche delle suppliche del Salterio. La straziante maledizione della vita e ritmato dal doppio simbolismo giorno-vita e notte-morte.

La notte gioiosa dei suoi genitori ha portato alla luce del giorno e della vita di Giobbe; se invece quella notte fosse stata realmente ciò che essa rappresenta (morte e tenebre), allora il grembo della notte e della madre non sarebbe stato un grembo di vita ma un sepolcro che avrebbe cancellato ogni possibilità di vita unificando in sé i due estremi dell’esistenza, nascita e morte. Giobbe oppone il suo dolore innocente alla teologia rigida e razionalistica degli amici che non tiene conto dello scandalo del mistero della vita umiliata dal dolore.

L’angoscia porta Giobbe a vedere in Dio, amici, la vita stessa come forze avversarie che costringono l’innocente sofferente ad una continua lotta e difesa. La richiesta dell’orante è di essere lasciato in pace, tregua, silenzio. La vita, ormai maledetta, è un male da cui si può guarire solo attraverso la morte.

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+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,51-56

Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.

Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.

Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Puntare in alto … verso la vetta dell’Amore

L’evangelista Luca ha una concezione teologica del tempo per la quale i giorni non sono disposti su una linea retta ma come punti di una parabola che tende verso l’alto. L’elevazione a cui accenna il narratore è la gloria che si manifesterà sulla croce e con la risurrezione. Il punto più alto che raggiunge il cammino di Gesù e dei suoi discepoli è il perdono dei peccati che egli ottiene per noi dal Padre salendo in croce sulla quale offre la sua vita.

Gesù decide di intraprendere il pellegrinaggio verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, non come si attendevano i suoi apostoli ma come il Padre gli aveva chiesto. Il cammino della croce inizia già da questo momento nel quale il rifiuto dei Samaritani rivela in anticipo quello di chi, dopo averlo accolto come re, lo caccia dalla città perché ritenuto degno di essere crocifisso come i malfattori.

I messaggeri sono inviati a preparare il suo passaggio dicendo chiaramente la direzione del viaggio. Ancora oggi Gesù chiede a noi di essere suoi messaggeri e preparare l’incontro con lui. Essi non devono offrire un messaggio che renda Gesù accettabile perché rispondente alle proprie idee. Il coraggio di andare controcorrente sostiene la missione dei messaggeri il cui fine è propriamente quello di dire la verità: Dio ama l’uomo anche se lo rifiuta.

Non si tratta di un temerario perché Gesù non impone con la forza il vangelo e il suo amore ma lo propone esponendosi anche al pericolo di essere rifiutato ma determinato a rispettare la libertà dell’uomo ed esercitare fino in fondo la sua. Egli, infatti, liberamente si consegna nelle mani di Dio e in quelle degli uomini perché per Gesù l’amore oblativo e il perdono è la forma più alta di libertà.

È sempre in nome della libertà di amare, che non crea legami di dipendenza ma di responsabilità, che Gesù rimprovera coloro che reagiscono all’ingiustizia con l’aggressività perché essa è l’arma più forte che distrugge la libertà e sradica ogni germoglio di giustizia. 

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

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