don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 9 Luglio 2023

346

La sapienza dei “piccoli”

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Dal libro del profeta Zaccarìa Zc 9,9-10

Ecco, a te viene il tuo re umile.

Così dice il Signore:

«Esulta grandemente, figlia di Sion,

- Pubblicità -

giubila, figlia di Gerusalemme!

Ecco, a te viene il tuo re.

Egli è giusto e vittorioso,

- Pubblicità -

umile, cavalca un asino,

un puledro figlio d’asina.

Farà sparire il carro da guerra da Èfraim

e il cavallo da Gerusalemme,

l’arco di guerra sarà spezzato,

annuncerà la pace alle nazioni,

il suo dominio sarà da mare a mare

e dal Fiume fino ai confini della terra».

Lo scettro della mitezza

L’oracolo del profeta Zaccaria annuncia la visita di Dio che non viene con fare minaccioso e con intenti punitivi ma con mitezza e con la volontà di portare la pace al suo popolo. Infatti, la sua cavalcatura non è quella che si usa per combattere o assaltare una città, ma per andare a coltivare la terra o portare i frutti del proprio lavoro. Per questo Zaccaria invita Israele a non aver paura ma a gioire perché il Signore sta mettendo in pratica il suo programma di governo che prevede l’annientamento delle armi di guerra e la promozione della giustizia.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 8,9.11-13

Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.

Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.

Dalla schiavitù del peccato al servizio alla giustizia

Il Crocifisso risorto è effuso su tutti lo Spirito Santo, grazie al quale Dio Padre lo ha liberato dalla morte e lo ha risuscitato per non più morire. Il Risorto non solo ha in sé la vita eterna ma ha ricevuto il potere di darla. Chi accoglie nella fede questo dono di grazia accetta di passare dal dominio della carne a quello dello Spirito. Non si è più schiavi delle passioni ingannatrici ma si diventa servi della pace, della giustizia e dell’amore. Lo Spirito di Dio spinge l’uomo libero fuori di sé per andare incontro al fratello, come Gesù, uscito dal Padre, si è fatto nostro fratello per essere adottati da Lui come figli e suoi eredi. Il fuoco dello Spirito distrugge l’egoismo, l’avidità, l’orgoglio per far rinascere dalle loro ceneri l’uomo nuovo, creato per vivere amando.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 11,25-30

Io sono mite e umile di cuore.

In quel tempo Gesù disse:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Lectio

Contesto

Mt 11,1 è l’anello di congiunzione tra il discorso missionario e la ripresa della narrazione che si estende ai capitoli 11 e 12. Questa sezione mette in luce il fatto che le opere compiute da Gesù rivelano la sapienza di cui è portatore. Egli, infatti, rivela il volto di Dio misericordioso che si attende misericordia, e non giudizio, dal suo popolo. Gesù non fonda una scuola di pensiero nella cui sede riunisce i suoi discepoli, ma abita i luoghi profani e sacri nei quali incontra l’umanità così come è. La personalità di Gesù appare difforme dalle attese della gente, soprattutto dei capi; allo scandalo si arriva quando, chiudendosi alla novità di Dio, si da scandalo impedendo ai più deboli di godere l’amore di Dio. La missione di Gesù non viene immediatamente compresa, così come la volontà di Dio richiede di essere continuamente ricercata per averne una conoscenza sempre più intelligente in modo da conformare ad essa il proprio modo di vivere. All’inizio e alla fine della sezione sono presentate le figure di Giovanni Battista e la madre con i fratelli di Gesù che cercano di dialogare con lui. Il maestro non attira su di sé l’attenzione ma la orienta verso Dio perché il suo intento è quello di condurre alla conoscenza del Padre. Da qui l’invito alla conversione, intesa come imitazione della sua umiltà e mitezza, condizione necessaria per diventare discepoli del Regno di Dio. La piccolezza, prima che essere una condizione sociale ed economica, è la disposizione del cuore che, mai pago di sé, cerca in Dio la sapienza, ovvero il senso della vita. Gesù, preceduto dai discepoli che con la loro azione profetica preparano i cuori della gente ad accogliere la Parola, apre la via che conduce alla salvezza sulla quale lo seguono e lo imitano i missionari del Vangelo. La conversione è un fatto serio perché da essa dipende il successo o il fallimento della vita. Lo stolto è chi pensa che Gesù sia un folle visionario proiettando su di lui la malizia che invece pervade il suo cuore. Beato è colui che, in povertà di spirito e purezza di cuore, riconosce in Gesù l’opportunità che viene offerta da Dio per salvi, cioè persone vive e vivificanti, amate e capaci di amare. La missione di Gesù è di fare di ogni uomo il discepolo del regno di Dio. La storia dice che quelli che non antepongono se stessi e le loro attese, o pretese, alla volontà di Dio diventano veri missionari della misericordia.

Struttura

Il brano può essere suddiviso in tre parti:

vv. 25-26 – La rivelazione ai piccoli

v. 27 – La relazione di reciproca conoscenza tra il Padre e il Figlio

vv. 28-30 – Invito al discepolato

vv. 25-26: « In quel tempo Gesù prendendo la parola disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”».

Il tempo a cui si fa riferimento è quello della crisi. Si accenna a quella del profeta Giovanni che invia i suoi discepoli a Gesù per chiarire se è veramente lui il Cristo delle cui opere aveva sentito parlare. I discepoli del Battista, che Gesù riconosce quale angelo-messaggero mandato da Dio a preparare la via del Messia, sono inviati a loro volta come messaggeri del vangelo, testimoni degli eventi di cui fanno esperienza diretta. Essi non sono solo spettatori ma fruitori della grazia di Dio che in sovrabbondanza viene elargita. Non sappiamo se effettivamente l’esperienza con Gesù li ha resi missionari. Certo è che anche Gesù attraversa una crisi quando affronta i “lamentatori” seriali che criticavano sia lui che il Battista. Erano persone diverse tra loro per temperamento e anche per missione, ma erano accomunati, da una parte, dalla demonizzazione ad opera dei sedicenti saggi e dei maestri del pensiero, e dall’altra, dall’obbedienza alla volontà di Dio. Il Battista, aiutato dai discepoli missionari, è chiamato ad essere sapiente nel riconoscere la presenza di Dio attraverso le opere. Il vero sapiente non è colui che giudica, ma l’acuto osservatore che non si ferma alla superficie ma va in profondità.

Il pericolo dell’invidia è sempre in agguato; per cui è più facile notare le cose negative e assolutizzarle piuttosto che riconoscere, anche tra le difficoltà, l’azione di Dio. In quel “kairos”, ovvero in quel tempo dai tratti critici, Gesù coglie l’opportunità che il Padre offre agli uomini per convertirsi. Gesù è il kairos di Dio e riconosce che tra le mormorazioni di una minoranza rumorosa si nasconde un popolo di “piccoli” che riescono a vedere e a godere di ciò che invece è precluso a chi ha il cuore indurito dal male.

Gesù è il sapiente non solo perché «sa fare» ma soprattutto perché conosce Dio e lo loda. La confessione di lode è il vertice dell’opera del sapiente perché coniuga in mirabile sintesi il sapere e il saper fare. Quando il sapiente contempla l’opera di Dio, che si realizza attraverso le vicende della storia, distrae lo sguardo da sé per rivolgerlo verso di Lui. Questa «conversione» porta alla lode. Gesù avrebbe auto argomenti per lamentarsi contro i sedicenti sapienti e dotti, esperti nella critica, ma, dopo aver parlato chiaro verso di loro, senza umiliarli, si rivolge al Padre con espressioni di lode. È Lui che distrugge la sapienza dei sapienti e annulla l’intelligenza degli intelligenti, secondo quanto afferma anche Is 29, 14 citato da Paolo in 1Cor 1,19. Vana è quella sapienza che non cerca la gloria di Dio, ma la propria, mentre è grande la piccolezza di chi con umiltà accoglie la parola di Dio come nutrimento vitale. I piccoli sono coloro che partecipano alla beatitudine di Dio perché vivono la condizione spirituale della povertà, soprattutto nelle persecuzioni di cui sono vittima. La beatitudine è la volontà di bene che si realizza nella vita dei «piccoli» e mediante la loro opera Dio si rivela. L’arroganza e la presunzione dei dotti e dei sapienti «nasconde» la gloria di Dio, mentre la mitezza e l’umiltà dei «piccoli» la rivela. La confessione di lode è la rivelazione dell’amore di Dio che predilige i piccoli rendendoli preziosi collaboratori della sua opera di salvezza.

v. 27 – «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Dopo la confessione di lode nella quale Gesù riconosce che la benevolenza di Dio si rivela nei «piccoli» e attraverso di loro, rivela che egli si colloca tra di essi perché si riconosce Figlio del Padre. In quanto tale, afferma la sua condizione di povertà e di dipendenza totale da Dio dal quale tutto riceve gratuitamente. Tra il Figlio e il Padre c’è una relazione di reciproco riconoscimento che non si riduce ad un fatto intellettuale ma coinvolge anche il mondo della volontà e degli affetti. Si tratta di un rapporto di amore originale e originante: originale perché ha in sé il suo principio, originante in quanto è una relazione generativa. L’amore del Padre verso il Figlio, e viceversa, non ha eguali in nessun altro. Tuttavia, afferma Gesù, questo rapporto pur essendo esclusivo, non è escludente. La benevolenza del Padre, che riversa il suo amore nel Figlio, è assimilata da lui con l’obbedienza; per cui Gesù, in quanto «Figlio» e «piccolo», con la stessa benevolenza del Padre si fa mediatore del suo progetto di salvezza.

La sapienza è all’opera allorquando Dio agisce in favore degli uomini per manifestare loro lo stesso amore riconosciuto da Gesù. Tale opera diventa efficace nella misura in cui, come Gesù, si ricerca e si accoglie la volontà di Dio mettendola in pratica attraverso concreti gesti di amore che libera e guarisce.

vv. 28-29 – «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

La confessione di lode ha messo in luce l’ “abbassamento di Dio” verso i piccoli, destinatari della sua benevolenza, e, per verso contrario, l’umiliazione della categoria dei sapienti e dei dotti di questo mondo, i quali rimangono arroccati nella loro presuntuosa arroganza. Il detto di rivelazione, posto in posizione centrale in questa pericope, specifica il fatto che solo mediante il Figlio si può avere accesso al Padre e diventare suoi familiari.

Dopo essersi rivolto al Padre nella preghiera di lode, Gesù parla a quei «piccoli» ai quali è riservata la rivelazione che Dio fa di sé. Lo sguardo compassionevole di Gesù si posa su coloro che gli appaiono «stanchi e oppressi». L’invito è rivolto alla folla di gente che è «stanca e sfinita come pecore che non hanno pastore» (Mt 9, 36). Secondo l’insegnamento dato agli apostoli, Gesù si rivolge innanzitutto «alle pecore perdute della casa d’Israele » (Mt 10,6).

I «piccoli», destinatari del dono della Sapienza fatta dal Figlio, sono i discepoli che partecipano alla «passione» di Gesù subita da parte dei violenti che vorrebbero impadronirsi del regno dei Cieli con la forza (delle parole e dei gesti). I «piccoli» sono ancora quei discepoli che vengono accolti perché riconosciuti come giusti e profeti di Dio e che ricevono la provvidenza dalle mani di gente generosa. In tal modo «il più piccolo nel regno dei Cieli è più grande di Giovanni Battista». Gesù, che si fa il più piccolo nel regno dei Cieli è più grande del profeta Giovanni. Similmente i discepoli di Gesù sono chiamati a conformarsi a lui e a leggere nella logica del vangelo la loro vita, soprattutto quando è segnata da sofferenze che stancano e opprimono. Il ristoro promesso è la beatitudine assicurata ai poveri in spirito.

Come Gesù, anche i suoi discepoli, nella misura in cui si fanno piccoli, riescono a cogliere nelle umiliazioni della vita e ad accogliere nel cuore la grazia di Dio. Questa è la logica della croce. Il giogo è il patibolo della croce che il discepolo è chiamato a prendere su di sé camminando verso Gesù e dietro a lui.

Gesù è il maestro di vita che insegna a vivere l’apostolato con mitezza e umiltà di cuore. Le prove della vita purificano il cuore e lo rendono pronto e aperto ad accogliere la Parola per metterla in pratica e annunciarla con mitezza e misericordia.

Gesù accompagna e introduce i suoi discepoli all’incontro con il Padre la cui gloria non schiaccia ma rende leggeri e liberi. Il Padre è buono e dolce perché consola, conforta e dona la gioia. 

Meditatio

Il regno dei cieli è tutto un altro mondo

Dopo il discorso sulla missione rivolto ai suoi discepoli, Gesù stesso parte per insegnare e predicare nelle città. Giovanni Battista, per mezzo dei suoi discepoli, domanda a Gesù se è lui il missionario di Dio, l’Inviato, il Messia. Gesù rimanda a dati di fatto, a esperienze udibili e visibili: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11, 5). Nelle parole di Gesù, che riecheggiano quelle dei profeti, sono indicati i destinatari della sua missione. Dio viene a salvare ogni uomo e tutto l’uomo e lo fa con la sua Parola, che non è come quella degli altri uomini, anche se hanno la statura morale come quella del Battista; infatti «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11, 11). Comprendiamo che «i piccoli», destinatari della rivelazione del Padre, sono quelli che il mondo non considera, quelli che non rientrano negli standard di vita imposti dalla società dei consumi, quelli che vengono ignorati dai programmi di sviluppo ispirati a regole di mercato spietate e disumane. Quelli che sono ai margini Dio li porta al centro della sua attenzione, quelli che sono ignorati Dio li considera l’oggetto principale di cura, quelli che non hanno nome Dio li chiama figli.

I poveri, a cui è annunciato il Vangelo, non si contrappongono ai ricchi, così come il contrario dei dotti e i sapienti, esclusi dalla rivelazione di Dio, non sono gli ignoranti, ma i piccoli. Questo significa che il punto di vista di Gesù non è solamente sociologico. I piccoli sono coloro che si fanno poveri, cioè mancanti, desiderosi e pronti ad accogliere Dio e la sua Parola che sana, fa crescere e arricchire in umanità. I dotti e i sapienti sono quelli che, pur non avendo ricchezze o titoli o competenze particolari, sono pieni di sé. Nella categoria dei dotti e dei sapienti di questo mondo si collocano coloro che, come il fariseo al tempio, si vanta davanti a Dio delle sue opere, oppure quelli come l’uomo arricchito che pensa a raccogliere tutti i suoi beni e a godersi la vita, oppure coloro che compiono le opere per essere ammirati dagli uomini. I dotti e i sapienti di questo mondo sanno tutto di tutti, ma non conoscono l’amore di Dio, sono presenti in ogni circostanza ufficiale e festosa ma assenti al capezzale di un ammalato, nella solitudine di chi è afflitto da qualche problema, nel bisogno del conoscente di essere ascoltati, accolti e contenuti, nella necessità dei più giovani di essere guidati, accompagnati e indirizzati, nel desiderio degli anziani di essere consolati e incoraggiati. I dotti e i sapienti sono attenti a curare nei particolari i loro interessi e capaci di sostenere fatiche intense per raggiungere i propri obbiettivi, ma distratti nella relazione che richiede rinuncia e sacrificio per gli altri.

Al contrario i piccoli sono coloro che, dopo aver fatto un servizio, dicono: «siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare» e sono pronti a ricominciare, perché non sono paghi di ciò che hanno fatto ma coscienti e desiderosi di fare di più e meglio. I piccoli sono coloro che vogliono crescere non davanti agli uomini ma davanti a Dio, non si arrendono ma vogliono esplorare, non si chiudono in difesa ma allargano i loro orizzonti, non costruiscono barrire difensive ma guardano sempre oltre, più in alto, più lontano; i piccoli bramano di crescere nell’amore a Dio e ai fratelli, è il povero in Spirito e il più piccolo nel regno dei cieli che però è addirittura più grande del Battista.

A questi piccoli Gesù, come il Padre, si rivolge quando, allargando le braccia invita gli affaticati e gli oppressi a trovare ristoro presso di lui. Coloro che conoscono la fatica del servizio, soprattutto quello non riconosciuto o disprezzato, la stanchezza del corpo e dello spirito nell’essere sempre in prima linea in famiglia, nella scuola, nella società civile, nella chiesa, quelli che sono gravati di responsabilità, che spesso pesa perché richiede di prendere decisioni e di fare scelte impopolari, a tutti questi Gesù offre il suo abbraccio perché assaporino la consolazione, gustino la stima di Dio, siano rincuorati e rimotivati, ritrovino l’entusiasmo, riacquistino la speranza.

«Imparate da me che sono mite e umile di cuore»: come la conoscenza, di cui Gesù aveva parlato poco prima, non è comprensione di un concetto o acquisizione di una nozione, ma è esperienza di una relazione intima e profonda che unisce le persone che si amano, così imparare significa lasciarsi formare nel cuore secondo «lo stampo» di quello di Dio.

La mitezza e l’umiltà, tratti distintivi della missione di Gesù, sono le due caratteristiche principali del cuore di Dio. Gesù presenta sé stesso come «il più piccolo nel regno dei cieli». Il regno dei cieli è lo spazio nel quale l’uomo e Dio s’incontrano e si amano. Gesù insegna l’arte di amare, non quella del sedurre e avere successo. L’amore che Gesù insegna, cioè che segna nel cuore di chi l’accoglie, è mite e umile.

Gesù è mite perché nell’incontro con il Padre e i fratelli non si arma per rivendicare i suoi diritti, né si corazza in qualche modo per respingere eventuali attacchi, ma si disarma, si spoglia, si “svuota”, per mostrarsi al Padre e ai fratelli come bisognoso dell’altro. Il cuore di Gesù è umile perché desideroso dell’altro come la terra assetata che si ammanta di bellezza quando l’acqua la feconda.

Alla scuola di Cristo Gesù, la cui cattedra è la croce, impariamo che il segreto della vita sta nella relazione d’amore che unisce il Padre e il Figlio. Gesù non spiega chi è Dio come se volesse dimostrare un teorema matematico, ma lo racconta mentre gli occhi gli brillano per la commozione e le parole gli escono dalla bocca come un canto di lode. Gesù parlandoci del Padre ce ne fa innamorare e lasciandoci istruire e guarire da Lui nasce anche in noi il desiderio di essere suoi figli.

Il giogo è il simbolo della legge a cui sottomettersi. Il giogo di Gesù non è fatto di prescrizioni e precetti pesanti che gli ipocriti impongono sugli altri, ma che essi si scaricano di dosso trovando giustificazioni e scuse di ogni forma. La legge del regno dei cieli, a cui Gesù stesso si piega, è quella che lo Spirito scrive nel cuore dell’uomo. Si tratta veramente di una legge di libertà perché fa uscire dalla schiavitù dell’egoismo per metterci nel cuore il desiderio insopprimibile di dare senso alla vita facendone un dono gioioso e gratuito per i fratelli.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna