Riprendere il cammino della fede tenendo fisso lo sguardo su Gesù
XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Dopo l’evento della moltiplicazione dei pani e dei pesci che ha sfamato una folla numerosa, Gesù e gli apostoli non rimangono lì con la gente ma ognuno riprende il suo cammino. Dopo un tempo d’incontro nel quale si è fatta esperienza di guarigione e di cura, Gesù lascia andare gli apostoli che devono precederlo all’altra riva e la folla che ritorna a casa. Lui, invece, sale sul monte e lì rimane da solo per pregare. In questa apparente dispersione si rivela la missione di ciascuno. Tutti devono continuare il proprio cammino vocazionale: verso casa per continuare nel proprio ambiente domestico il miracolo della condivisione, verso l’altra riva perché si è spinti ad andare sempre verso l’altro e oltre le proprie idee, verso l’alto in un continuo contatto di preghiera col Padre.
Le guarigioni e il miracolo eucaristico da una parte hanno la funzione di creare comunione, dall’altra, spingono ad uscire per andare verso gli altri. La missione nasce dalla comunione. Tuttavia, la missione è messa a dura prova quando a lungo andare la comunione fraterna si riduce ad una semplice organizzazione perdendo l’intimità e la condivisione proprie del contatto personale.
L’attenzione del narratore si concentra sulla barca che prosegue il suo cammino mentre è agitata dalle onde a causa del vento contrario. L’immagine evoca la Chiesa che nella sua storia è chiamata sempre a solcare i mari per andare dove il Signore la invia. Nel vento contrario leggiamo tutte le resistenze che la comunità cristiana incontra nel suo cammino e nella sua missione. La Chiesa, come il suo Capo, subisce persecuzioni, incontra ostacoli, si scontra con i pregiudizi e le invidie. Il vento contrario sembra neutralizzare gli sforzi degli uomini e tutto ciò che si è fatto con tanti sacrifici sembra andare perduto.
Il vento contrario sospinge la barca nella direzione opposta a quella verso cui vorrebbe dirigersi. Le prove della vita possono rivelarsi talmente forti da frenare il nostro cammino di fede fino al punto quasi di farci fare dei passi indietro. Nonostante gli sforzi e l’impegno nel progredire umanamente e spiritualmente, abbiamo la sensazione che stiamo regredendo fino al punto di partenza. Sappiamo che non è sempre così, perché ci può accompagnare anche un vento favorevole in cui tutto sembra andare a gonfie vele e per il verso giusto. IN quei momenti siamo sicuri di noi stessi, determinati, motivati, entusiasti. Ma c’è il tempo in cui va tutto storto e sembra che ogni cosa sia contro di noi. Nonostante tutto, le contrarietà e gli ostacoli che incontriamo sul nostro percorso di vita sono rivelativi di qualcosa di cui far tesoro per non arrenderci, ma per resistere con coraggio. Nella prova misuriamo l’effettiva consistenza delle nostre forze che risultano insufficienti per sostenere la lotta contro le potenze ostili. Ci rendiamo conto che non possiamo contare solo sulla forza di volontà e il nostro impegno. C’è bisogno della fede che nel tempo favorevole si esprime con la riconoscenza e la condivisione fraterna e in quello della prova nella supplica e nella speranza.
La missione contempla la dimensione della solitudine che il narratore presenta sotto due aspetti. Accosta l’immagine di Gesù che la ricerca per vivere l’intimità col Padre nella preghiera, alla scena in cui i discepoli sperimentano la solitudine come abbandono e smarrimento. Entrambe le facce della solitudine sono rappresentate nella vicenda di Elia narrata nella prima lettura.
Elia, reduce dalle minacce della perfida regina Gezabele, cerca rifugio sulla montagna dell’Oreb. Egli ha paura e ricerca il conforto del Signore. Nella solitudine Dio gli viene incontro
non nel vento impetuoso, né nel terremoto, né nel fuoco. Questi elementi della natura nel passato hanno annunciato la presenza e l’intervento di Dio. Elia riconosce nel sussurro della brezza leggera, l’annuncio della presenza di Dio. È un modo inedito col quale Dio si rende presente. Elia lo sa riconoscere!
Come Elia, anche i discepoli si sentono minacciati da una forza potente e oscura e per certi versi invisibile. È la forza del male che minaccia e insidia. Sul mare della vita sperimentiamo la presenza impalpabile ma reale del male che ci scuote, ma anche del bene che ci consola. Presi dalla paura, possiamo cadere nell’inganno di considerare l’amore del Dio-con-noi meno concreto e potente del maligno con la sua ostilità.
Eppure, a ben vedere, possiamo notare una differenza tra il modo di manifestarsi del maligno con la sua forza e il rivelarsi di Dio con la sua potenza. Dio è sempre in cammino per venire incontro all’uomo, mentre il Maligno è fermo e rigido come la massa d’acqua agitata e minacciosa che inghiotte e divora. Dio va verso l’uomo, il Maligno contro l’uomo; Dio è mosso dall’amore, il Maligno è spinto dall’odio.
Messi alla prova ingaggiamo una lotta, ma contro chi? Nella solitudine siamo chiamati a discernere tra chi viene contro di noi per distruggere i nostri sogni e chi viene incontro a noi per aiutarci a realizzarli. Il grido dei discepoli contro Gesù, che essi considerano un fantasma, anticipa la reazione di Pietro davanti all’annuncio che lui stesso farà della sua passione. Il cuore colmo di paura confonde le idee per cui l’amico diviene l’avversario da allontanare e il suo aiuto come una minaccia da cui sfuggire. Paradossalmente incute più timore il Crocifisso che i crocifissori.
Gesù si rivela con la sua parola che invita i discepoli a non lasciarsi vincere dalla paura, ma ad avere coraggio e riconoscere in Lui il Dio-con-noi. Qui, come Elia sul monte Oreb, Dio ci viene incontro e si fa riconoscere nella voce del silenzio come una carezza che comunica la dolce forza dell’amore. Dio non viene per percuotere ma per tirarci fuori dalla spirale del terrore e dell’ansia. La Parola di Gesù, che anticipa quella della croce, rivela che la potenza di Dio – unica nel suo genere perché solo Dio può camminare sull’acqua – è a favore dell’uomo e si manifesta nella mitezza, cioè con la dolcezza con la quale si accosta a lui. La bontà di Dio non è solo un articolo di fede, né un’idea astratta, ma è una verità che richiede di essere sperimentata. Per questo Pietro chiede che quell’incontro sia concreto e che possa camminare sulle acque come Gesù, perché “i suoi passi tracciamo il cammino” (Sal 84). È il cammino della salvezza che, passando attraverso il dono della propria vita per amore superando l’ostacolo della morte, giunge fino alla piena comunione.
Il cammino di fede di Pietro ricomincia dal dialogo con Gesù e dalla risposta al suo comando. Pietro chiede di ricevere la forza, attraverso la sua parola, di mettersi in cammino. Il comando di Dio è quello dell’amore. Pietro chiede di ottenere la grazia per amare come Dio comanda. Questo comandamento è possibile realizzarlo solamente se lo riconosciamo come la volontà di Dio e orientiamo la nostra vita verso di Lui. Pietro, sceso dalla barca, inizia a camminare sulle acque verso Gesù. Scendere dalla barca indica il movimento di uscita dai condizionamenti indotti dalle logiche tipiche di un gruppo che si chiude ad ogni forma di novità preferendo rimanere affezionato alle poche e fragili sicurezze e perpetuare schemi già collaudati ma che risultano fallimentari. Pietro abbandona la sicurezza umana della barca per poggiare i piedi sul mistero, anche se appare pieno d’incognite. Questo passaggio da quello che agli occhi degli uomini è considerato sicuro verso l’insicuro, dal certo all’incerto, dal solido al liquido, dall’immutabile al cangiante è il cammino che segna la maturità dell’apostolo perché esso non parte dalla propria idea e mira al raggiungimento di un personale obbiettivo, ma è originato dal comando di Gesù ed è spinto dalla volontà di andargli incontro.
Il cammino della fede di Pietro riparte perché ha il coraggio di mettersi in discussione e prendere le distanze dalle sue certezze. La fede è il coraggio di osare andando oltre le umane previsioni, contraddicendo le leggi non scritte di tradizioni e modi di fare da cui liberarsi. In questo cammino di fede progressivo bisogna sempre tenere fisso lo sguardo su Cristo, il Crocifisso, per trovare in lui la forza di amare fino alla fine. Tuttavia, Pietro sperimenta che la sua fede è precaria come le acque sulle quali poggia i piedi. Quando distoglie la sua attenzione da Gesù per concentrarsi sul vento contrario la paura ha il sopravvento e inizia ad affondare.
Pietro non è tornato indietro e il suo grido non è come quello di prima che serviva per allontanare. Quando cede Piero grida e prega. Il grido che si fa preghiera non è un muro che separa ma è come un ponte gettato sull’abisso della disperazione perché solo l’incontro col Signore ci salva.
La mano tesa di Gesù è la salvezza sempre offerta da Dio all’uomo per tirarlo fuori dal vortice del peccato che lo vorrebbe far sprofondare più in basso.
La parola della Croce è il comando che ci mette in cammino per andare incontro a Dio e ai fratelli superando qualsiasi ostacolo a patto di mantenere un contatto vero con Gesù. Quando questo si perde la preghiera lo stabilisce nuovamente in modo da sperimentare che la mano potente di Dio ci libera dal male e da ogni turbamento.
Per questo la Chiesa nell’Eucaristia amplia la preghiera del Padre nostro con queste parole: «Liberaci o Signore da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e, con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo».
Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!
Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]