don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 6 Settembre 2020

La fratellanza, un bene irrinunciabile

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

La figura della sentinella è l’immagine centrale della pagina del profeta Ezechiele proposta nella liturgia come prima lettura. La missione del profeta è simile a quella della sentinella che vigila per avvertire del pericolo e permettere alla popolazione di mettersi al riparo e organizzare la difesa in modo da scampare alla morte. Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel vangelo che Pietro si oppone alla prospettiva della sofferenza e della morte avanzata da Gesù. L’apostolo si dimostra immaturo nella fede perché preferisce seguire i ragionamenti degli uomini piuttosto che il pensiero di Dio. Pietro ha confuso la rivelazione della scelta di amore con l’avvertimento di un pericolo. In verità nel primo annuncio della Pasqua c’è l’uno e l’altro. Da una parte la sofferenza e la morte di Gesù, come quella di ogni innocente, è causata dal peccato che rappresenta il vero pericolo per l’uomo, dall’altra l’offerta della propria vita per amore a tutti, anche per i nemici, è il modo per scampare alla morte. 

Gesù è il modello della sentinella di Dio perché, ascoltando la Sua parola, la possa trasmettere al popolo e con essa la salvezza. La sentinella è in mezzo al popolo ma anche in alto per guardare dalla prospettiva di Dio, l’unico che conosce veramente il bene e il male, ciò che conduce alla vita e quello che causa la morte. Dall’alto della croce, ovvero dalla profondità dell’amore di Dio che abita in mezzo agli uomini, si eleva la voce che invita alla conversione per vivere. 

Nella pagina del vangelo odierno Gesù traccia il percorso attraverso il quale il discepolo-sentinella si fa compagno di strada nell’itinerario di conversione e di rinascita dei propri fratelli. La correzione non è mai un’operazione piacevole e facile perché richiede la disponibilità alla mortificazione di tutto ciò che si oppone ad un vero cambiamento. Chi corregge è chiamato lui per primo a cambiare il modo di vedere sé stesso e gli altri assumendo lo stesso sguardo di Dio, che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. In particolare, sono due le resistenze alla missione profetica nella quale portare davanti agli uomini la parola di Dio che salva: l’orgoglio autoreferenziale e l’accidia. Entrambi gli ostacoli inducono a non schierarsi dalla parte di Dio e, dunque in favore dei fratelli, ma a scegliere la via comoda dell’omertà per curare i propri interessi. Colui che non ha a cuore la sorte dei suoi fratelli ma è orgogliosamente autocentrato non sta zitto ma si erge a condottiero di cause che mirano a screditare gli altri per far emergere sé stesso. Facile confondere il ruolo della sentinella che avverte con la funzione del giudice che emette la sentenza di condanna. Davanti al peccato che minaccia l’uomo il cristiano non deve tacere per paura di farsi dei nemici ma non deve neanche snaturare l’annuncio del vangelo trasformandolo in giudizio di rimprovero contro tutto e tutti. 

Dalla Croce Gesù annunciando l’amore di Dio che dà vita denuncia anche il dramma del peccato che porta alla morte. Egli, profeta-sentinella di Dio, giudice dei vivi e dei morti, non punta il dito per condannare ma stende la mano per offrirci la possibilità di intraprendere con Lui un cammino di conversione e di rinascita. 

Il primo passo di questo cammino di conversione lo fa Dio stesso che in Gesù ci viene incontro per abbracciarci e riconfermarci nel suo amore. Il suo desiderio d’incontrarci rivela che al centro della sua attenzione c’è la singola persona, nel suo originale e insostituibile valore, prima ancora che le sue opere buone o quelle malvage. 

Siamo chiamati a essere costruttori di comunione, cioè accompagnatori sulla strada della riconciliazione con Dio, animatori di una comunità al cui centro non c’è l’interesse del singolo, ma la relazione d’amore con il Signore come i raggi di una ruota che uniscono i punti della sua circonferenza a quello centrale.

La comunione che costruisce la comunità è il vero bene da perseguire mentre il male assoluto è l’egoismo che ci fa ripiegare su noi stessi alla ricerca del semplice benessere individuale. 

Bisogna essere canali attraverso cui viene comunicato l’amore di Dio, la mano tesa per guarire, consolare, confortare. I quotidiani gesti di carità costruiscono la strada che permette il collegamento dal cuore di Dio a quello dell’uomo. 

Quando gli sforzi umani messi in campo per la ricomposizione dei dissidi rivelano la loro inefficacia e permangono gli ostacoli sulla via della riconciliazione e le distanze rimangono incolmabili, Gesù invita a pregare insieme perché la vita di ciascuno, messa in crisi dal conflitto sia ricentrata in Lui. Un conflitto non sanato con la riappacificazione rimane una ferita aperta. L’unica terapia è la preghiera che riporta al centro della vita di ciascuno la Parola di Dio. Fin quando si colpevolizza o ci si colpevolizza agendo da giudici con la vana pretesa di ristabilire il diritto e la giustizia non potrà mai esserci vera comunione e riconciliazione. La preghiera, soprattutto quella comunitaria, opera un cambiamento interiore grazie al quale i torti ricevuti e gli errori commessi dagli altri a nostro discapito non sono motivo di condanna, ma ragione per amare colui che è distante da noi per modo di pensare e di agire. La preghiera ci aiuta a svincolarci dalla relazione possessiva con gli altri, a uscire dal labirinto delle fissazioni vittimistiche, a relativizzare i diritti negati per sintonizzarci con quella di Gesù sulla croce. La nostra preghiera non reclama vendetta, ma con Gesù intercediamo per la salvezza dei peccatori invocando per noi e per loro il perdono.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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