La vita si gioca nell’accogliere o perdere le occasioni di salvezza
Venerdì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dal libro del profeta Baruc Bar 1,15-22
Abbiamo peccato contro il Signore, gli abbiamo disobbedito.
Al Signore, nostro Dio, la giustizia; a noi il disonore sul volto, come oggi avviene per l’uomo di Giuda e per gli abitanti di Gerusalemme, per i nostri re e per i nostri capi, per i nostri sacerdoti e i nostri profeti e per i nostri padri, perché abbiamo peccato contro il Signore, gli abbiamo disobbedito, non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, che diceva di camminare secondo i decreti che il Signore ci aveva messo dinanzi. Dal giorno in cui il Signore fece uscire i nostri padri dall’Egitto fino ad oggi noi ci siamo ribellati al Signore, nostro Dio, e ci siamo ostinati a non ascoltare la sua voce.
- Pubblicità -
Così, come accade anche oggi, ci sono venuti addosso tanti mali, insieme con la maledizione che il Signore aveva minacciato per mezzo di Mosè, suo servo, quando fece uscire i nostri padri dall’Egitto per concederci una terra in cui scorrono latte e miele.
Non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, secondo tutte le parole dei profeti che egli ci ha mandato, ma ciascuno di noi ha seguito le perverse inclinazioni del suo cuore, ha servito dèi stranieri e ha fatto ciò che è male agli occhi del Signore, nostro Dio.
Contrizione del cuore
Quella di Baruc è una confessione in cui riconosce il peccato d’Israele. Il dolore causato dai molti mali ispira la contrizione del cuore. Nelle parole di Baruc riecheggiano quelle di Davide espresse nel Sal 50. La confessione del proprio peccato non è segno di un dolore disperato ma di una sofferenza che è illuminata dalla speranza che il Signore, più che i sacrifici di espiazione, gradisce un cuore contrito e umiliato. Esso, infatti, accogliendo la grazia di Dio è capace di rigenerare gli affetti, i pensieri e le azioni rendendoli conformi al volere di Dio.
- Pubblicità -
+ Dal Vangelo secondo ✝ Lc 10,13-16
Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato.
In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».
La vita si gioca nell’accogliere o perdere le occasioni di salvezza
Le parole di Gesù suscitano un certo timore perché ci ricordano che la vita è un dono del quale siamo amministratori e custodi. Come tali daremo conto della nostra vita nel giudizio finale nel quale ognuno raccoglierà ciò che avrà seminato. Su cosa verterà il giudizio finale? Sul fatto che siamo stati saggi o stolti.
Il saggio è colui che sa ascoltare e accogliere la sapienza di Dio per tradurla in scelte di vita che sono come il seme dal quale nascono i frutti della carità. Al contrario, lo stolto è colui che “snobba” i profeti, voce di Dio, convinto di poter fare a meno di una parola che illumina, corregge e guida la libertà nel compiere le scelte.
Il saggio matura la convinzione di aver continuo bisogno di convertirsi e di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda del Signore per meglio inserirsi nella sinfonia e nella coralità dei carismi e dei servizi di cui è composta la comunità. Lo stolto, incurante di Dio e dei fratelli, confonde l’emotività con la volontà e si lascia strascinare dalle sue ambizioni piuttosto che da un autentico spirito di servizio.
Il saggio impara ad amare come Dio ama l’uomo e, crescendo nella fede in Lui, non teme di lasciare qualcosa o addirittura la propria vita, perché sa bene che donarla non significa perderla ma guadagnarla; infatti, egli si dispone a riceverla dalle Sue mani. Lo stolto sbaglia a valutare e a giudicare perché assume come criterio quello dell’utile personale.
In tal mondo, non vedendo al di là del proprio naso, più facilmente cade negli inganni del maligno non rendendosi conto che ciò che crede di costruire non è nient’altro che la sua tomba.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“