Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Vita amata, Vita donata, Vita Eterna
Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, per ben due volte il popolo afferma con solennità l’intenzione di ascoltare e mettere in pratica le parole di Dio. Sono i comandamenti attraverso i quali il Signore offre la sua alleanza ad Israele che ha strappato dalla schiavitù d’Egitto e che sta per far entrare nella Terra Promessa dove il popolo potrà vivere a pieno la sua libertà mettendo in pratica le parole di Dio. Anche nel vangelo i discepoli chiedono istruzioni al Maestro sul luogo dove poter celebrare la Pasqua.
Le indicazioni che ricevono i due discepoli da una parte rivelano che qualcosa è stata già preparata precedentemente e dall’altra parte che c’è qualcos’altro a cui devono pensare loro. Quando ascoltiamo e mettiamo in pratica la Parola di Dio ci prepariamo a vivere la Pasqua, ossia l’eucaristia, come evento di passaggio o, diremmo meglio di trasformazione. Celebrando l’eucaristia anche noi saliamo «al piano superiore» lì dove la nostra vita, toccata dalla Grazia di Dio, fa un salto di qualità e diventa sempre di più vita eterna. Questo lo spiega e lo attua Gesù stesso con i gesti e le parole che compie durante l’ultima cena. Mentre è a mensa con i Dodici per celebrare la Pasqua ebraica, Gesù compie due gesti che rompono il rituale secolare: prende il pane azzimo, ovvero senza lievito, prega recitando una benedizione poi lo spezza e lo distribuisce ai discepoli dicendo: «Questo è il mio corpo!».
Lo stesso fa con il calice del vino che fa passare perché tutti possano berne un sorso. Anche sul vino ha una parola: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti». Così facendo Gesù istituisce un nuovo rito col quale celebrare l’eucaristia e vivere in noi la sua Pasqua. Il pane spezzato e il calice colmo di vino sono i segni vivi che rendono presente Gesù nell’atto di donare la sua vita sulla croce e di versare il suo sangue perché si compia la comunione con Dio. Il pane e il vino dell’eucaristia non sono allegorie che rimandano ad un significato ulteriore, ma il tempo del verbo essere indica il l’«ora» nella quale si rende presente Gesù nell’atto di donare la sua vita per unirci a lui in comunione con il Padre.
Nella Pasqua, così come avviene in ogni eucaristia, il protagonista unico e indiscusso è Gesù. Non solo invita al banchetto, ma lui stesso si offre come nutrimento e, bevendo al medesimo calice del vino, ci rende partecipe della sua gioia sponsale. Il banchetto è esperienza di festa non solamente intesa come appuntamento nel quale celebrare un fatto del passato, ma come evento che segna e trasforma la vita presente affinché sia compiuta nel giorno ultimo. Gesù ci trasforma in Lui stesso. Celebrando l’eucaristia e nutrendoci del corpo di Cristo diventiamo cristiani in quanto Cristo vive in noi. La comunione con Gesù ci apre all’azione dello Spirito Santo che ci fa Corpo di Cristo, ognuno come un suo membro specifico.
Non siamo aggregati come un corpo estraneo, ma come membra vive che sperimentano la comunione e la collaborazione con le altre per il bene integrale e totale del corpo. L’esperienza fatta nella Chiesa, Corpo di Cristo, insegna che nessuno può vivere per sé stesso ma ognuno sta bene se vive relazioni di comunione con gli altri. L’amore di comunione si vive seguendo i quattro verbi riferiti al pane azzimo, segno della vita di Gesù: prendere (ricevere), benedire, spezzare, dare. Gesù, mite e umile di cuore, ha rinunciato alla vendetta contro i suoi traditori e ad usare il suo «potere» per avere compassione dell’uomo peccatore e nutrire sentimenti di misericordia nei loro confronti. Nel gesto di prendere il pane leggiamo l’atteggiamento misericordioso di Gesù che si fa prossimo al peccatore, al malato, all’indemoniato, al ferito per prendersi cura di lui e farsi carico della sua sofferenza.
Gesù condivide con noi la fatica del lavoro, soprattutto quello per tirare fuori l’uomo nuovo da quello vecchio pieno d’incrostazioni e durezze. La preghiera mette in collegamento il Cielo e la terra e Gesù, sospeso sulla croce e con le braccia stese sul legno del martirio è il ponte che unisce Dio e l’uomo. Lo spezzare il pane è segno del sacrificio che passa attraverso il dolore e la morte. Il tradimento di Giuda spezza la comunione, mentre nell’offerta della propria vita Gesù spezza sé stesso per sanare la rottura causata dal peccato e redime la morte che rompe i legami di fraternità. Nell’atto del dare il pane spezzato c’è un invito a noi ad accogliere la sua vita donata per continuare nella nostra lo stesso processo generativo di vita che necessariamente richiede di osservare tutti i passaggi operati da Gesù. In tal modo l’eucaristia assume il suo valore esistenziale che permette di amare la vita donandola e di vivere, anticipandolo nell’oggi, l’amore eterno.
Signore Gesù, Pastore che raduni in unità il tuo gregge e lo pasci dando Te stesso da mangiare, ispirami sentimenti di obbedienza e umiltà perché, partecipando al banchetto della tua Sapienza, possa essere dispensatore del Pane della Parola. Sposo dell’umanità, che salendo sulla croce hai condiviso con il povero la sua miseria e con l’innocente l’ingiusta sofferenza, donami, con il perdono dei peccati e la gioia della riconciliazione, la virtù della compassione per farmi compagno con i miei fratelli nel comune cammino di conversione. Signore Gesù, Tu che risorgendo dai morti sei diventato Sommo Sacerdote e hai aperto il passaggio al Cielo, vieni ad abitare nel mio cuore e trasformami in Te perché nel pane e nel vino posti sull’altare, frutti della terra e della fatica di ogni giorno, il mio servizio sacerdotale sia un’eterna benedizione che sale al Padre come lode di ringraziamento e che discende sui miei fratelli come balsamo di misericordia.