don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 6 Gennaio 2020

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Sui sentieri della speranza

EPIFANIA DEL SIGNORE

Il giorno di Natale abbiamo ascoltato il racconto di Luca e l’annuncio che l’angelo aveva portato ai pastori che nella campagna di Betlemme pernottavano all’aperto per vegliare sul gregge. Essi si misero in viaggio per cercare il bambino e lo trovarono in una grotta adagiato in una mangiatoia circondato da Maria e Giuseppe. I pastori evangelizzati si fecero evangelizzatori riferendo quello che avevano udito dall’angelo e avevano visto nel presepe. Luca mette in evidenza la dimensione pastorale dell’evento richiamando la tradizione d’Israele che vedeva nel re il pastore del suo popolo. Come il pastore si prende cura del suo gregge e lo veglia soprattutto di notte per proteggerlo dai lupi e dai ladri, così il Salvatore, il Cristo Signore, siede sul trono di Davide come pastore del suo popolo. Il trono regale è la mangiatoia per indicare che la funzione regale è esercitata nella misura in cui si dona la propria vita per i fratelli di cui ci si prende cura.

L’evangelista Matteo nella genealogia aveva già indicato Gesù come figlio di Abramo e figlio di Davide, per evidenziare che egli è il compimento della promessa fatta da Dio ad Abramo e a Davide. Dio aveva promesso una discendenza numerosa e che la casa reale non si sarebbe mai estinta. 

La figura dei Magi che vengono dal lontano oriente, seguendo la stella nel cielo, e giungono a Gerusalemme richiama la profezia d’Isaia, letta nella prima lettura, in cui si accenna alla «gloria del Signore che brilla su di te». Come nel racconto di Luca i pastori furono avvolti dalla gloria di Dio al momento dell’apparizione dell’angelo, così i Magi sono raggiunti dalla luce della stella che indica il luogo dove è nato il Re dei giudei. Il profeta Isaia nel brano della prima lettura annuncia con gioia nel mondo avvolto dalle tenebre brilla la luce di Dio. 

Cosa è la luce che brilla «sopra di te» se non l’amore di Dio che si riversa con abbondanza verso l’uomo come la pioggia e la neve. L’amore di Dio è sopra ogni cosa perché è un dono dato a tutti, a prescindere dai loro meriti. Dio fa sorgere e fa piovere sui cattivi e sui buoni. Dio si pone al disopra dei nostri ragionamenti legati alla logica del merito e dal dare per avere. Dio ama tutti senza condizioni. Dio fa brillare il suo volto di misericordia su ogni uomo e tutti chiama sul «santo monte». Beato l’uomo che decide nel suo cuore il santo viaggio.  

Come i pastori vegliano sul gregge nella notte, così i saggi scrutano nella notte e riconoscono da lontano una nuova luce che nasce. Spesso siamo nelle tenebre del dolore, come al momento della crocifissione di Gesù quando a mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Nella notte dello spirito possiamo essere come quelli che vedono tutto nero o di quelli che cercano la luce nel buio. Chi vede tutto nero non riuscirà mai a vedere la luce e non riuscirà mai ad accendere in sé la speranza. Chi vede tutto nero non riesce a distinguere e a discernere, ma nel giudizio fa di tutta un’erba un fascio. Chi vede tutto nero si rannicchia e si chiude in difesa. 

Il re Erode è l’emblema di chi vede tutto nero e l’annuncio della nascita del re dei Giudei lo manda in panico. Così è chi non si apre alla novità che Dio che si rivela nei segni della storia. Al contrario dei Magi che si sono messi in gioco intraprendendo un cammino per loro sconosciuto e solamente perché si sono lasciati interpellare da quella piccola luce, semplice e quasi insignificante segno di speranza in un cielo scuro e cupo. 

La gloria di Dio è la sua bontà e la sua benevolenza. Essa brilla senza clamore. Solo le persone semplici sanno riconoscerla e gioire. Essi sono anche le persone che lontane dai centri ufficiali del culto, sono differenti da noi per razza, per religione, per cultura. Benché lontani essi si lasciano coinvolgere e intraprendono un cammino di ricerca. Essi non vedono tutto nero, ma nella notte seguono la stella della speranza. 

Vediamo gente di tanti popoli stranieri che giunge alla nostra porta, che bussa. Cosa cerca? È l’uomo che segue la sua stella, la speranza di una vita nuova e in essa la possibilità di trovare il volto di Dio che brilla in chi l’accoglie come fratello. 

Noi che “abitiamo a Gerusalemme”, che conosciamo le Scritture, che siamo destinatari di richieste di aiuto, come rispondiamo? Isaia ci invita ad accogliere senza sgomento e paura: «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te». È necessario alzare i nostri occhi che fissano il nulla per rivolgerli verso i fratelli riconoscendo in loro non una minaccia ma una ricchezza. 

La parola di Dio risuona anche in ambienti non sani. La sua validità non dipende dalla dignità o dalla coerenza di chi l’annuncia. Anche se riconosciamo di essere “bloccati” nella vita spirituale lasciamo che la parola di Dio continui a risuonare in noi e attraverso di noi. Essa diventa un’indicazione importante per chi incontriamo. È importante annunciare il Vangelo sia quando siamo ben disposti e motivati, sia quando viviamo momenti di crisi o addirittura non comprendiamo il senso di quello che annunciamo perché magari abbiamo noi stessi difficoltà a viverlo. Dobbiamo ricordare che non siamo noi la luce, ma portatori della luce del vangelo nella quotidianità della vita.

Nonostante la stanchezza e lo scoramento ci porti ad assumere lo stesso atteggiamento di Erode che manda avanti i magi senza che lui si muova, prendiamo come esempio i Magi che, facendo tesoro delle indicazioni provenienti anche da persone poco raccomandabili, si rimettono in cammino ritrovando di nuovo la guida della stella che li conduce all’incontro con il Bambino. 

Sperimentiamo che la comunità dei cristiani a volte è come Gerusalemme chiusa in sé stessa, diffidente e impermeabile alle sollecitazioni del mondo. Ma quando si lascia illuminare dalla luce di Dio diventa la Betlemme capace di generare ancora il “pastore d’Israele”. Una chiesa che si fa casa del pane diviene luogo d’incontro con Dio. Dove c’è la Carità lì c’è Dio. 

I doni offerti a Gesù sono le ricchezze che rendono bella la Chiesa. L’oro significa la fedeltà all’amore verso Dio e alla Chiesa anche quando non siamo corrisposti nelle nostre attese. L’incenso è la preghiera che esprime tutte le fragranze dell’animo umano, dalla gioia alla sofferenza. La mirra, olio profumato usato per gli onori funebri, indica la forza, capace di contrastare la corruzione della morte, che risiede nei piccoli e grandi sacrifici offerti per amore. 

Come i Magi, lasciamoci guidare dalla stella della speranza per incontrare il Signore; dopo avergli offerto l’omaggio della nostra fedeltà, della preghiera e del dolore, riprendiamo il nostro cammino di speranza per poter portare il vangelo della carità in ogni luogo dove ci conduce lo Spirito.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!  

Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
 

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