Martedì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – San Paolo Miki e compagni
Dal primo libro dei Re 1Re 8,22-23.27-30
Tu hai detto, Signore: «Lì porrò il mio nome!». Ascolta la supplica del tuo popolo Israele.
In quei giorni, Salomone si pose davanti all’altare del Signore, di fronte a tutta l’assemblea d’Israele e, stese le mani verso il cielo, disse:
«Signore, Dio d’Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore.
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Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!
Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: “Lì porrò il mio nome!”. Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.
Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!».
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La preghiera gradita più dei sacrifici
Il re Salomone veste anche i panni del sacerdote e in questo ruolo rivolge una solenne preghiera al Signore, facendosi interprete di tutta l’assemblea liturgica. Pur essendo molti la preghiera è fatta con un’unica voce, quella del re. Il sovrano innanzitutto confessa la fede nell’unico Dio del quale loda la fedeltà e la gratuità nell’amare il suo popolo. Le parole di Salomone esprimono lo stupore per la magnanimità e l’umiltà del Signore che, pur essendo il Creatore di ogni cosa, si è degnato di «piegarsi» su Israele verso il quale dimostra di nutrire sentimenti di tenerezza materna.
Il re nella sua supplica non fa appello ai meriti di aver costruito il tempio ma alla misericordia in nome della quale Dio prende a cuore Israele, lo custodisce dai pericoli del male e lo perdona quando la debolezza lo fa cadere nel peccato. Salomone insegna a pregare pregando. La preghiera è il sacrificio della lode gradito a Dio. L’offerta della preghiera è l’unica cosa che rimane quando il tempio viene distrutto e con esso cessano anche i sacrifici cruenti.
Nella preghiera non offriamo cose ma la nostra stessa vita, con le sue gioie e dolori, speranze e delusioni, successi e fallimenti, sapendo che il cuore di Dio è sempre aperto ad ascoltare il grido di aiuto dei suoi figli e a rispondere prontamente.
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,1-13)
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».
Convinzioni di fede e convenzioni sociali
La domanda dei farisei e degli scribi, sedicenti difensori della purezza della religione, rivolta a Gesù circa il motivo per il quale alcuni dei suoi discepoli non rispettano le regole dettate dalla tradizione, è un’occasione per noi di verificare la coerenza dei nostri comportamenti con la fede che professiamo. Le nostre giornate sono caratterizzate da gesti e parole che definiamo rituali come sinonimo di abitudinari. Anche se sono ripetitivi nella forma essi sono portatori di un significato che dipende dalla nostra volontà. Infatti, ciò che comunica ogni nostro singolo gesto e parola è determinato dal tipo di relazione che noi vogliamo instaurare con gli altri.
La purezza non dipende dalla puntualità e dall’esattezza formale con le quali si compiono i riti, ma dall’intenzione di ricevere e trasmettere il dono della fede. La tradizione è il canale attraverso cui Dio continua a rivelare il suo amore per l’uomo.
Dio ci ha dato i comandamenti non per imporci una stessa divisa comportamentale, ma per rendere i nostri cuori sempre più vicini al suo in modo da amarci gli uni gli altri come Lui ci ama. Puro è l’uomo che favorisce con la sua umile e ordinaria obbedienza alla volontà di Dio il fluire della sua benedizione verso tutti, soprattutto i più poveri. Impuro è invece colui che con i suoi comportamenti ipocriti, non solo tradisce e rifiuta la parola di Dio, ma, nascondendosi dietro una presunta perfezione, impedisce di fare il bene possibile e di amare come Dio ha comandato.
Il credente non è un semplice esecutore meccanico delle tradizioni per sentirsi parte di una comunità. È chiamato a renderla sempre più coesa e fraterna attualizzando con creatività le tradizioni rinnovandone la forma per riaffermare il valore originario che il gesto rituale vuole significare.
Dio continua a parlarci attraverso i riti che caratterizzano le nostre relazioni, da quella amicale fino a giungere a quella sponsale. Purificare queste tradizioni non significa cancellarle, ma convertirle in senso cristiano, ovvero renderle significative perché veicolo dell’amore di Dio.
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Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“