don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 5 Ottobre 2020

I fratelli sono compagni di strada

Lunedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Per un pio israelita il pellegrinaggio a Gerusalemme è uno dei momenti più intensi e significativi perché l’ascesa verso il tempio, anche se faticosa, è resa gioiosa dal desiderio di abitare nella casa di Dio. Il dottore della Legge domanda a Gesù la via per vivere da figlio di Dio ed ereditare la sua vita. Formulato in altro modo l’interrogativo vorrebbe chiedere cosa bisogna fare per meritare di essere riconosciuti da Dio suoi figli. La legge indica il cammino: amare Dio e il prossimo. La replica del dottore della legge si sofferma sull’identità del prossimo, ma a ben vedere anche sulla propria. L’amore al prossimo suscita l’interrogativo sulla propria identità. Per essere figli di Dio bisogna salire verso la santa montagna, lì dove Dio abita e per essere fratelli, cosa bisogna fare?

La parabola volutamente non ambienta la storia sulla strada che sale verso Gerusalemme, ma su quella che dalla Città santa scende verso Gerico. È la strada del ritorno alle proprie case, al proprio ambiente, lì dove ordinariamente si vivono le relazioni fraterne. Le cadute sono all’ordine del giorno perché tutti siamo fragili ed esposti agli attacchi. Nell’assalto dei briganti possiamo leggervi problemi e disavventure che possono capitare a chiunque e che lo mettono “ko”. Quante persone sono messe a dura prova economicamente, fisicamente e spiritualmente e non riescono a rialzarsi a causa dei duri colpi subiti. Il sacerdote e il levita avevano finito il loro servizio liturgico presso il tempio e ritornavano alle proprie case. Alla vista del malcapitato riverso per terra passano oltre con indifferenza. La strada è la stessa come lo è la vita che è comune ad ogni uomo con le sue difficoltà, sogni, desideri, fatiche, sorprese e imprevisti.

Siamo tutti sulla stessa strada! A volte capita che, percorrendola, sentiamo maggiormente la solitudine, anche se siamo vicini ad altri. Non basta essere vicini o connessi, ma ci si salva se diventiamo fratelli se scegliamo di camminare insieme e non da soli, anche se questo richiede di farci carico di responsabilità. Il sacerdote e il levita vanno dritti per la loro strada; soli erano e soli rimangono, dall’anonimato vengono e nel silenzio della morte vanno. Il Samaritano scorgendo l’uomo per terra si accorge di non essere solo e non rimane indifferente. Sceglie di non farsi i fatti suoi ma di interessarsi all’altro, entrare in una relazione fraterna. La fratellanza è riconoscere ciò che accomuna anche persone diverse. Così il Samaritano, che agli occhi dell’Israelita osservante è il fratello straniero che vive la fede in Dio in maniera differente da lui, riconosce nel malcapitato moribondo un fratello, cioè se stesso con le sue fragilità e ferite. La fratellanza lo spinge a farsi fratello, a fermarsi, ad accostarsi e a prendersi cura di lui. La paura e la diffidenza proiettate sugli altri, soprattutto i più poveri, li fanno diventare una minaccia da cui difendersi e da cui allontanarsi; invece la compassione ci permette di identificarci con l’altro e di entrare in una comunione tale da sentirlo parte di sé. 

Gesù non si vergogna di chiamarci fratelli Lui che si è fatto prossimo ad ogni uomo come il buon Samaritano. La via della felicità è quella sulla quale camminiamo insieme come fratelli che si amano soccorrendosi reciprocamente nelle prove della vita.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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