don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 5 Luglio 2020

Il regno dei cieli è tutto un altro mondo

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Dopo il discorso sulla missione rivolto ai suoi discepoli, Gesù stesso parte per insegnare e predicare nelle città. Giovanni Battista, per mezzo dei suoi discepoli, domanda a Gesù se è lui il missionario di Dio, l’Inviato, il Messia. Gesù rimanda a dati di fatto, a esperienze udibili e visibili: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11, 5). Nelle parole di Gesù, che riecheggiano quelle dei profeti, sono indicati i destinatari della sua missione. Dio viene a salvare ogni uomo e tutto l’uomo e lo fa con la sua Parola, che non è come quella degli altri uomini, anche se hanno la statura morale come quella del Battista; infatti «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11, 11). Comprendiamo che «i piccoli», destinatari della rivelazione del Padre, sono quelli che il mondo non considera, quelli che non rientrano negli standard di vita imposti dalla società dei consumi, quelli che vengono ignorati dai programmi di sviluppo che si ispirano a regole di mercato spietate e disumane. Quelli che sono ai margini Dio li porta al centro della sua attenzione, quelli che sono ignorati Dio li considera l’oggetto principale di cura, quelli che non hanno nome Dio li chiama figli. 

I poveri, a cui è annunciato il Vangelo, non si contrappongono ai ricchi, così come il contrario dei dotti e i sapienti, esclusi dalla rivelazione di Dio, non sono gli ignoranti, ma i piccoli. Questo significa che il punto di vista di Gesù non è solamente sociologico. I piccoli sono coloro che si fanno poveri, cioè mancanti, desiderosi e pronti ad accogliere Dio e la sua Parola che sana, fa crescere e arricchire in umanità. I dotti e i sapienti sono quelli che, pur non avendo ricchezze o titoli o competenze particolari, sono pieni di sé. Nella categoria dei dotti e dei sapienti di questo mondo si collocano coloro che, come il fariseo al tempio, si vanta davanti a Dio delle sue opere, oppure quelli come l’uomo arricchito che pensa a raccogliere tutti i suoi beni e a godersi la vita, oppure coloro che compiono le opere per essere ammirati dagli uomini. I dotti e i sapienti di questo mondo sanno tutto di tutti, ma non conoscono l’amore di Dio, sono presenti in ogni circostanza ufficiale e festosa ma assenti al capezzale di un ammalato, nella solitudine di chi è afflitto da qualche problema, nel bisogno del conoscente di essere ascoltati, accolti e contenuti, nella necessità dei più giovani di essere guidati, accompagnati e indirizzati, nel desiderio degli anziani di essere consolati e incoraggiati. I dotti e i sapienti sono attenti a curare nei particolari i loro interessi e capaci di sostenere fatiche intense per raggiungere i propri obbiettivi, ma distratti nella relazione che richiede rinuncia e sacrificio per gli altri. 

Al contrario i piccoli sono coloro che, dopo aver fatto un servizio, dicono: «siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare» e sono pronti a ricominciare, perché non sono paghi di ciò che hanno fatto ma coscienti e desiderosi di fare di più e meglio. I piccoli sono coloro che vogliono crescere non davanti agli uomini ma davanti a Dio, non si arrendono ma vogliono esplorare, non si chiudono in difesa ma allargano i loro orizzonti, non costruiscono barrire difensive ma guardano sempre oltre, più in alto, più lontano; i piccoli bramano di crescere nell’amore a Dio e ai fratelli, è il povero in Spirito e il più piccolo nel regno dei cieli che però è addirittura più grande del Battista. 

A questi piccoli Gesù, come il Padre, si rivolge quando, allargando le braccia invita gli affaticati e gli oppressi a trovare ristoro presso di lui. Coloro che conoscono la fatica del servizio, soprattutto quello non riconosciuto o disprezzato, la stanchezza del corpo e dello spirito nell’essere sempre in prima linea in famiglia, nella scuola, nella società civile, nella chiesa, quelli che sono gravati di responsabilità, che spesso pesa perché richiede di prendere decisioni e di fare scelte impopolari, a tutti questi Gesù offre il suo abbraccio perché assaporino la consolazione, gustino la stima di Dio, siano rincuorati e rimotivati, ritrovino l’entusiasmo, riacquistino la speranza.

«Imparate da me che sono mite e umile di cuore»: come la conoscenza, di cui Gesù aveva parlato poco prima, non è comprensione di un concetto o acquisizione di una nozione, ma è esperienza di una relazione intima e profonda che unisce le persone che si amano, così imparare significa lasciarsi formare nel cuore secondo «lo stampo» di quello di Dio. 

La mitezza e l’umiltà, tratti distintivi della missione di Gesù, sono le due caratteristiche principali del cuore di Dio. Gesù presenta sé stesso come «il più piccolo nel regno dei cieli». Il regno dei cieli è lo spazio nel quale l’uomo e Dio s’incontrano e si amano. Gesù insegna l’arte di amare, non quella del sedurre e avere successo. L’amore che Gesù insegna, cioè che segna nel cuore di chi l’accoglie, è mite e umile. 

Gesù è mite perché nell’incontro con il Padre e i fratelli non si arma per rivendicare i suoi diritti, né si corazza in qualche modo per respingere eventuali attacchi, ma si disarma, si spoglia, si “svuota”, per mostrarsi al Padre e ai fratelli come bisognoso dell’altro. Il cuore di Gesù è umile perché desideroso dell’altro come la terra assetata che si ammanta di bellezza quando l’acqua la feconda. 

Alla scuola di Cristo Gesù, la cui cattedra è la croce, impariamo che il segreto della vita sta nella relazione d’amore che unisce il Padre e il Figlio. Gesù non spiega chi è Dio come se volesse dimostrare un teorema matematico, ma lo racconta mentre gli occhi gli brillano per la commozione e le parole gli escono dalla bocca come un canto di lode. Gesù parlandoci del Padre ce ne fa innamorare e lasciandoci istruire e guarire da Lui nasce anche in noi il desiderio di essere suoi figli.

Il giogo è il simbolo della legge a cui sottomettersi. Il giogo di Gesù non è fatto di prescrizioni e precetti pesanti che gli ipocriti impongono sugli altri, ma che essi si scaricano di dosso trovando giustificazioni e scuse di ogni forma. La legge del regno dei cieli, a cui Gesù stesso si piega, è quella che lo Spirito scrive nel cuore dell’uomo. Si tratta veramente di una legge di libertà perché fa uscire dalla schiavitù dell’egoismo per metterci nel cuore il desiderio insopprimibile di dare senso alla vita facendone un dono gioioso e gratuito per i fratelli.

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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