Come anima nel corpo
Martedì della XXX settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 8,18-25
L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.
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L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
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Aspettativa di ottenere e attesa di generare
La speranza secondo la logica della carne è aspettativa passiva che qualcosa cambi attorno a sé e che si creino condizioni più favorevoli. La speranza del credente è invece la forza di attrazione che esercita il Signore e quella che Paolo chiama «la libertà della gloria dei figli di Dio». È la promessa di Dio, come quella ad Abramo, a spingere l’uomo a uscire da sé e farsi pellegrino della speranza.
L’attesa di una nuova vita che viene alla luce culmina con le doglie del parto, necessario passaggio affinché la vita possa nascere, crescere e diventare adulta, a sua volta capace di generare. Siamo già figli di Dio in virtù del battesimo, che ripresenta il sacrificio di Cristo con il quale siamo stati strappati dalla solitudine dell’orfano, ma questo dono richiede di essere tradotto in modi di vivere conformi al vangelo in modo che sia effettiva la condizione di figlio di Dio.
La rivelazione dei figli di Dio altro non è che il momento nel quale sarà messo in luce pienamente e definitivamente la nostra condizione divina di risorti. Alla luce della speranza, che è una realtà concreta e non un astratto ideale, la tribolazione appare non come una sconfitta ma come la condizione essenziale per partecipare alla passone di Gesù e alla sua condizione di Risorto.
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 13,18-21
Il granello crebbe e divenne un albero.
In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Come anima nel corpo
Quando Gesù vuole spiegare cosa sta facendo Dio usa immagini che evocano due tratti della vita ordinaria: la semina e la preparazione del pane. Le due piccole parabole insegnano che lo straordinario intervento di Dio avviene nel lavoro ordinario dell’uomo. La semina e l’impastare sono solo i due momenti iniziali di un processo di crescita e di lievitazione che porterà il seme a diventare un grande albero accogliente e la massa a diventare pane.
Dio esercita la sua regalità generando continuamente e avviando processi di crescita. Anche la nostra attività quotidiana segue lo stesso stile, sia nell’incontro con persone alle cui spalle ci sono situazioni molto dure e che necessitano di essere lavorate perché possano accogliere il seme della Parola, sia quella che ci porta a coinvolgerci in situazioni nelle quali bisogna fungere da fermento affinché le persone coinvolte crescano e maturino.
La Chiesa è il seme e il lievito perché nel mondo ci siano donne e uomini che possano sperimentare l’amore di Dio mediante l’accoglienza dei fratelli e gustarne la bontà nell’incontrarli. La Chiesa è terra fecondata nella misura in cui gli uomini e le donne, che la compongono, accolgono il piccolo seme della Parola di Dio e lo fanno germogliare. Ascoltare e meditare la Parola di Dio è parte integrante del processo trasformativo della Chiesa in tutti i suoi membri affinché la Sua volontà si realizzi in ogni gesto di accoglienza, conforto, sostegno, riparo che caratterizza lo stile missionario della comunità cristiana.
La Chiesa deve crescere, come albero frondoso o massa lievitata, perché diventi luogo accogliente per tutti coloro hanno bisogno di rifugio e ristoro nel loro pellegrinaggio e nutrimento per gli uomini bisognosi di fraternità.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“