don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 30 Dicembre 2022

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Giuseppe, padre esperto nel realizzare i sogni … di Dio – SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO A)

Dal libro del Siràcide Sir 3, 3-7.14-17

Chi teme il Signore onora i genitori.

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Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli

e ha stabilito il diritto della madre sulla prole.

Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà

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e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita.

Chi onora sua madre è come chi accumula tesori.

Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli

e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera.

Chi glorifica il padre vivrà a lungo,

chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.

Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,

non contristarlo durante la sua vita.

Sii indulgente, anche se perde il senno,

e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.

L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata,

otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

Nelle istruzioni del Libro del Siracide riecheggia il comandamento di onorare il padre e la madre. Questo precetto nel Decalogo funge da anello di congiunzione tra la declinazione dell’amore a Dio e quello nei confronti del prossimo. Dio si manifesta nel volto del padre e della madre. Al primo spetta il compito di guidare il figlio con una saggia parola e alla seconda è affidato il ministero della cura. Giustizia e misericordia sono come le due facce dell’unica medaglia. Il figlio, consapevole della sua inesperienza, obbedisce alla voce del padre e, cosciente del suo peccato, si lascia educare dalla madre. L’amore verso i propri genitori, soprattutto quando la debolezza senile li priva di forze, si traduce nel restituire ad essi quanto, per mezzo loro, Dio ha elargito con generosità.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési Col 3,12-21

Vita familiare cristiana, secondo il comandamento dell’amore.

Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro.

Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!

La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.

Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

Paolo ricorda ai Colossesi ciò che avviene nel cristiano a partire dal battesimo. Spogliati dell’uomo vecchio si viene rivestiti di Cristo. Egli ci fa partecipi dei suoi sentimenti d’amore, quelli che porta nel cuore e che sono rivolti a Dio e al prossimo. Il Signore, mediante suo Figlio, si è fatto vicino ad ogni uomo per condividere i suoi sentimenti di carità, di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità. Per questi sentimenti Gesù da Dio si fa schiavo dell’uomo, da ricco si fa povero, perché imparassimo lo stile del servizio che veramente ci unisce e ci riconcilia. Lo sguardo contemplativo verso Dio abilita l’uomo ad avere uno sguardo misericordioso verso il prossimo. Ciò che con gli occhi del corpo e secondo la logica umana appare una vergogna e un disonore, la luce della fede permette di intravedere l’opera di Dio e risalire fino al momento dell’incontro con Lui, quando, asciugata ogni lacrima, sarà gioia senza fine nella comunione dei santi.

Dopo il sogno in cui l’angelo aveva rivelato a Giuseppe la verità sul bambino che Maria sua sposa portava in grembo, ecco ora un altro nel quale sono rivelati i progetti di Erode e il pericolo che corre il piccolo Gesù. Nel primo sogno Giuseppe è coinvolto nel progetto di Dio. Il bambino è l’“Emmanuele”, il figlio della vergine, profetizzato da Isaia, segno del fatto che Dio è con noi e ha messo la sua tenda tra le nostre. Giuseppe, accogliendo a casa sua Maria, accetta anche di darsi come padre a quel bimbo.

La sua paternità non inizia col fecondare Maria, ma nell’accoglierla così come è, e con lei il bambino che è generato da Dio. La parola dell’angelo fuga le paure di Giuseppe perché quello che umanamente non riesce a comprendere non è necessariamente un male, anzi, sta avvenendo qualcosa di grandioso che supera le sue aspettative e quelle del suo popolo. Giuseppe sceglie di fidarsi di quello che va oltre il ragionevole dubbio e agisce liberando la sua carica di amore paterno. Mi piace immaginare Giuseppe finalmente libero dal pregiudizio, basato sull’apparenza e alimentato dalle emozioni negative, e pronto per prendersi cura amorevolmente di Maria e del bimbo. Con il suo gesto pieno di umile fiducia Giuseppe salva Maria dal pubblico ludibrio e dalla possibile lapidazione che avrebbe portato alla morte anche del bambino. Il nome che egli dà al figlio, Gesù, spiega anche quello che Giuseppe ha fatto. Come Dio salva, così Giuseppe impedisce al male di compiere la sua opera distruttiva. Giuseppe, uomo giusto, interpreta la sua sponsalità e la paternità come forma di collaborazione all’opera di Dio. Egli non chiede l’aiuto di Dio per realizzare i suoi progetti, ma si fida accettando di attuare quelli di Lui.

Il primo sogno aveva rivelato il progetto di Dio nel quale Giuseppe viene coinvolto come protagonista, nel secondo apprende della congiura tramata da Erode contro Gesù. L’angelo indica l’Egitto come luogo in cui rifugiarsi. Nel libro della Genesi a causa di una carestia, che aveva colpito la terra d’Israele, Giacobbe invia i figli più grandi lì per procurarsi il frumento necessario. È ignaro del fatto che Dio stava preparando la strada alla riconciliazione dei fratelli con Giuseppe e anche il momento nel quale proprio in Egitto si sarebbe nuovamente riunita la famiglia ricomponendo quella frattura causata dall’invidia. Infatti, anni prima Giuseppe, il penultimo dei figli di Giacobbe, era stato oggetto di un sequestro prima, ad opera dei fratelli, e poi della vendita come schiavo ai mercanti. In quella situazione l’Egitto rappresenta per Israele un luogo di salvezza.

Ancora una volta Giuseppe intraprende una strada diversa da quella immaginata o programmata in obbedienza alla voce di Dio per salvare la vita di altri. L’angelo anticipa un altro suo intervento per annunciargli la fine dell’esilio. La parola di Dio non rivela solo il pericolo, ma indica la via di fuga per la salvezza e anche il fatto che essa avrà un termine.

«Prendi con te il bambino e sua madre»: queste parole danno la misura della fiducia che Dio ha nell’uomo tanto da affidare la propria vita nelle mani di un uomo tanto fragile che deve fuggire davanti al male. Giuseppe, pur essendo figlio di Davide, non è chiamato ad essere coraggioso, al limite della temerarietà, e combattere contro il Golia di turno. L’affidamento che Dio fa di sé a Giuseppe ispira la fiducia e l’obbedienza che questi ha nei suoi confronti.

Quando la propria terra è inquinata dal male bisogna fuggire, per non rimanerne vittima, e trovare un rifugio sicuro. Lasciare la propria terra è una scelta dolorosa, ma necessaria perché il male non lo si può combattere direttamente. Dio apre una via di liberazione, ma bisogna fidarsi di Lui e cambiare mettendosi in cammino. Rifugiarsi in Egitto significa fidarsi di Dio e trovare riparo in Lui, anche quando gli eventi della vita lo fanno sentire estraneo. L’Egitto è il luogo simbolico del discernimento in cui s’impara l’arte della sottomissione, della pazienza e dell’amore obbediente.

Bisogna fuggire da Erode, cioè da quel modello di paternità corrotta dall’orgoglio presuntuoso e dalla diffidenza che arriva persino ad uccidere i propri figli e la propria madre. C’è il pericolo di confondere l’autonomia con l’autoreferenzialità. Autonomo è colui che interiorizza la legge fondamentale della vita, che è l’amore, e la traduce in pratica nelle relazioni di tutti i giorni. Giuseppe non è l’esempio di un uomo che esegue solamente ordini, in maniera acritica e senza riflessione, ma è figlio che, fidandosi del Padre, interiorizza la sua parola e con libertà si lascia accompagnare da Lui. Può (sop)portare il peso della responsabilità di una famiglia perché lui per primo si lascia supportare dalla Parola di Dio.

Se Giuseppe non si fosse messo in ascolto dell’angelo non si sarebbe reso conto per tempo del pericolo. Il padre di Gesù ricorda ad ogni genitore, biologico, adottivo o spirituale, la necessità di esercitare tale servizio innanzitutto ponendosi in ascolto di Dio. Mettendoci nei panni di Giuseppe e guardando la propria famiglia o la propria comunità sarebbe opportuno domandarci se siamo abbastanza attenti e lungimiranti per cogliere i segni che annunciano un pericolo che potrebbe danneggiarle ma anche le vie da percorrere per non essere travolti. Cosa rappresenta una minaccia per l’integrità di sé stessi e della propria famiglia e come porvi rimedio?

Giuseppe riproduce in sé il volto del Padre celeste che tira fuori dall’Egitto il proprio figlio Israele, lo libera perché diventi veramente libero. Il cammino di liberazione dalla terra di schiavitù trova il suo approdo nella terra d’Israele quale luogo nel quale servire il Signore come un figlio, riconoscente e grato, ama e onora suo padre e sua madre. Così Giuseppe compie due atti di salvezza, in obbedienza alla parola dell’angelo: salva Gesù dalla morte certa e lo conduce verso quella terra nella quale lui stesso offrirà la sua vita sulla croce. Giuseppe continua e tramanda la legge dell’amore che salva dalla morte e redime per la vita, libera dal male e rende liberi di amare.

Anche Erode è un padre, ma solamente perché ha procreato dei figli, alimentandoli con la sua sfrenata ambizione, la sua crudeltà e le sue paure. Il risultato è che il figlio Archealo è peggiore di suo padre. La morte di Erode non segna la fine del pericolo, ma l’inizio di uno nuovo, anche peggiore. Ma è giunto il tempo di ritornare nella propria terra, non in Giudea, ma in Galilea, a Nazaret per la precisione. La scelta di Giuseppe, che avviene sempre in seguito ad un sogno, realizza un’altra parola profetica, anche se ne rimane oscura la sua origine e vago il suo senso. Gesù verrà riconosciuto non come “nazareno” ma “nazireo” che potrebbe alludere alla condizione dei “consacrati” a Dio come lo era stato Sansone o lo stesso Giovanni Battista.

Giuseppe davanti alla minaccia di Erode si sarebbe potuto tirare indietro perché quello che gli veniva chiesto era un’ulteriore prova di amore. Se avesse ragionato con la logica comune avrebbe detto: «chi me lo fa fare». Dicendo un secondo sì scopre ancora meglio la sua vocazione paterna. Non può più pensare semplicemente a sé ma nella misura in cui si educa a pensare col noi della famiglia conferma il proprio sì a Dio e a coloro di cui si prende cura proteggendoli. La vocazione si scopre nelle prove quando s’incontrano gli altri nella loro povertà e vulnerabilità. Il grado di servizio determina la misura della propria missione. La missione genitoriale cambia la propria personalità. Quanto più si è docili alla volontà di Dio tanto più cresce il valore della propria missione.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna