don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 3 Settembre 2023

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Richiamatati alla responsabilità dell’Amore

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) – Lectio divina

Dal libro del profeta Geremìa Ger 20,7-9

La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna.

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;

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mi hai fatto violenza e hai prevalso.

Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;

ognuno si beffa di me.

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Quando parlo, devo gridare,

devo urlare: «Violenza! Oppressione!».

Così la parola del Signore è diventata per me

causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.

Mi dicevo: «Non penserò più a lui,

non parlerò più nel suo nome!».

Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,

trattenuto nelle mie ossa;

mi sforzavo di contenerlo,

ma non potevo.

La Parola causa di sofferenza e di salvezza

Quando Geremia ha ascoltato la chiamata di Dio a parlare al popolo in suo nome ha dovuto superare dubbi e paure perché si sentiva inadeguato davanti ad una vocazione così impegnativa. Si è fidato di Dio che gli aveva garantito la sua assistenza. La realtà si sarebbe mostrata più difficile del previsto perché anche gli amici di un tempo erano diventati suoi nemici a causa della parola che pronunciava. Davanti alla religiosità ipocrita, ridotta a puro ritualismo, senza alcuna attinenza con la vita, la denuncia assumeva dei toni molto forti fino a giungere a prevedere distruzione e morte.

Per questo Geremia era stato isolato e nella solitudine si lamenta con Dio dal quale si sente abbandonato. Da una parte sente la sua assenza a causa dell’ingiustizia che deve subire costantemente, dall’altra avverte una forza interiore, come quella del fuoco, che lo spinge a sfidare la violenza degli uomini con la mitezza della parola di un perseguitato a causa della giustizia. Se è a causa della Parola che Geremia soffre, fino alla morte, è anche vero che è grazie a quella medesima Parola, che arde nel suo cuore come il roveto ardente, che il profeta rimane fedele alla sua vocazione originaria e porta a compimento fino alla fine la sua missione, senza tirarsi indietro, come nello sconforto aveva pensato.

Vincendo con la fede la tentazione del fallimento, Geremia raggiunge la salvezza perché rimane fedele a Dio e al popolo fino alla fine condividendo con esso il dolore della prova. Il vero fallimento non è il mancato raggiungimento dei propri obiettivi ma la rinuncia a seguire la parola di Dio fino alla fine. La vicenda di Geremia diventa Parola che Gesù ascolta perché lui e i suoi discepoli possano fare scelte di vita rimanendo nella volontà di Dio.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 12,1-2

Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente.

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.

Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Il culto cristiano in Spirito e Verità

Nella seconda parte della Lettera ai Romani Paolo offre delle esortazioni sulla base del discorso che ha sviluppato precedentemente circa la salvezza che viene dalla fede. La posizione dell’apostolo è chiara. Pur essendo un ebreo osservante, e mentre parla è ancora in piedi e in funzione il tempio di Gerusalemme, ribadisce che solo il sacrificio di Cristo sulla croce ci ha guadagnato la salvezza.

I sacrifici al tempio hanno senso nella misura in cui essi sono l’espressione rituale dell’offerta della propria vita a Dio mediante le opere di carità e giustizia. Il vero culto è quello che è mosso dallo Spirito Santo che spinge, come ha fatto con Gesù, ad amare fino a donare per tutti lo Spirito della Vita. Egli conforma la nostra mente a quella di Gesù in modo da fare di ogni nostra attività un dono di amore gradito a Dio.

+ Dal Vangelo secondo Mt 16, 21-27

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso.

21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Lectio

Contesto

Col primo annuncio della passione prende avvio la terza parte del vangelo di Matteo la quale copre l’arco narrativo che parte da Cesarea di Filippo e giunge a Gerusalemme. L’evangelista struttura questa parte in tre atti. Nel primo (16,21-17,27) vengono narrati eventi concatenati tra loro il cui significato si coglie alla luce del primo e del secondo annuncio della passione posti all’inizio e alla fine di questo primo atto nel cui centro è collocato l’episodio della trasfigurazione (17,1-9). Il secondo atto è rappresentato dal quarto grande discorso che è denominato ecclesiale (18, 1-35) nel quale vengono trattati gli argomenti che riguardano le relazioni comunitarie, la responsabilità verso coloro che peccano e il perdono. Nel terzo atto sono narrati eventi collocati in prossimità della Giudea.

Struttura

Il brano può essere diviso in tre parti, quanti sono gli interventi di Gesù. Nel v. 21 Gesù inizia a rendere manifesta la sua volontà e il progetto divino che avrebbe trovato il suo culmine negli eventi della passione, morte e risurrezione. Nei vv. 22-23 l’evangelista registra la reazione di Pietro e la risposta di Gesù. I versetti finali del brano, vv. 24-27, riportano l’insegnamento riservato ai discepoli che hanno manifestato l’intenzione di seguire Gesù ai quali egli detta le condizioni e specifica le conseguenze.

v. 21 – 21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

L’evangelista Matteo segue lo schema narrativo di Marco che, dopo la confessione di Pietro con la quale riconosce che Gesù è il Cristo, pone sulla bocca di Gesù il primo dei tre annunci della passione. Come in Marco anche in Matteo si ha il triplice annuncio (16, 21-23, 17, 22-23, 20, 17-19). Confrontando i tre annunci notiamo che Gesù pone gli eventi drammatici che lo riguardano a Gerusalemme nel contesto di una delle feste di pellegrinaggio. Gesù è un ebreo osservante delle prescrizioni della Legge e perciò obbediente a Dio.

Il pellegrinaggio a Gerusalemme, spiega Gesù, non è solo un precetto da osservare ma quello che sta per compiere è la volontà di Dio. Solo questa consapevolezza rende accettabile il destino che lo attende a Gerusalemme. Gesù inizia a «mostrare» la sua adesione alla volontà di Dio che oggettivamente non è facile da accogliere perché essa comporta tanta sofferenza. Essa però, non è l’epilogo della sua vita che invece sarebbe culminata con la risurrezione. La sofferenza gli sarebbe stata inflitta dalle autorità religiose. Quello che all’inizio poteva sembrare una ipotesi, sebbene frutto di un’attenta osservazione delle vicende, diviene una possibilità sempre più plausibile e certa. La credibilità della risurrezione si poggia sull’oggettività storica della passione e morte. Il primo annuncio della passione indica nella risurrezione il fine della sofferenza. Nel contesto dell’ultima cena (26,28), quando gli eventi annunciati stanno per compiersi, la sofferenza della passione trova il suo fine ultimo nella remissione dei peccati di tutti. Il «terzo giorno» non significa tre giorni dopo, ma nel linguaggio biblico esprime il concetto del tempo del compimento della volontà di Dio il quale interviene per capovolgere le sorti del giusto colpito da ingiusta condanna. La risurrezione non è solamente un fatto, come le sofferenze e la morte inflitte a Gesù dagli uomini, ma è un avvenimento che ha Dio come protagonista. Gesù sembra affermare la vittoria di Dio sul peccato dell’uomo. Infatti, il male ruba la vita, mentre Dio dona la vita perché Egli è la fonte perenne della vita.  

vv. 22-23 – 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”. 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.

Si nota un particolare contatto tra il racconto del battesimo di Gesù al Giordano, a cui segue quello delle tentazioni, e la narrazione di ciò che accade a Cesarea di Filippo dove Pietro prima è definito «roccia» sulla quale si sarebbe potuta poggiare la fede dei fratelli e poi è chiamato “Satana” in quanto «pietra di scandalo». Da una parte Gesù rivela a Pietro che la fede, da lui espressa nella confessione, è dono del Padre, e dall’altra, davanti alla sua opposizione, lo denuncia come tentatore. Tuttavia, Gesù non caccia via Pietro, come invece fa con Satana (4,10), ma lo “richiama” perché riprenda il suo posto di discepolo dietro al Maestro e non contro di lui.

La poca fede di Pietro era stata denunciata già sul lago di Tiberiade dove l’apostolo, che stava andando verso Gesù camminando sulle acque, sarebbe morto annegato se il Maestro non lo avesse afferrato. Pietro, infatti, mentre camminava sull’acqua aveva distolto lo sguardo su Gesù per rivolgerlo verso il vento iniziando ad affondare. Solo in quel momento egli grida a Gesù implorando di salvarlo. La poca fede di Pietro consiste nel dare più peso alle cose degli uomini piuttosto che a quelle di Dio. Per questo motivo inciampa lui e, col suo atteggiamento, rischia di contagiare anche gli altri, persino Gesù.

vv. 24-27 – 24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Dopo le dure parole rivolte a Pietro con le quali gli intima di seguire lui e non le suggestioni del Demonio, Gesù offre un insegnamento a tutti i discepoli delineandone i tratti essenziali. La sequela di Gesù non è un comando imposto con la forza ma è una scelta di vita che nasce dalla libera e consapevole risposta alla chiamata di Dio. Egli, infatti, rivela che siamo fatti per vivere amandolo come Lui ama noi. La vita è un cammino che punta ad amare Dio e i fratelli come Lui ama ciascuno di noi. Il messianismo di Gesù non ha nulla a che fare con la gloria umana ma trova la sua massima manifestazione sulla croce dove si rivela l’amore di Dio per gli uomini. La salvezza consiste nel raggiungere la vetta della santità, la misura alta dell’umanità, l’esercizio eroico delle virtù della fede, della speranza e della carità. Questa prospettiva contrasta nettamente con l’idea di salvezza che rimane solamente nell’ambito del perimetro mondano. In questo contesto salvarsi non significa emanciparsi o riscattarsi da qualche forma di oppressione politica di questo mondo, ma vuol dire raggiungere il fine per cui Dio ha donato la vita e Gesù ha offerto la sua sulla croce. Il rinnegamento di sé stesso comporta la consapevolezza di non conoscere tutto della propria vita e di non averne l’esclusivo possesso come fosse qualcosa da tenere stretto alla stregua di una refurtiva. L’atteggiamento del discepolo è innanzitutto quello della fiducia intesa come apertura a Gesù e disponibilità a lasciarsi “vedere” e “narrare” da lui. La croce di Gesù Cristo è la più grande narrazione dell’amore di Dio per l’uomo. La «parola della croce», come la chiama s. Paolo, che è il Vangelo, è «potenza di Dio» perché ha la forza di trasformare l’interiorità della persona e renderla vero discepolo di Cristo. Grazie all’azione dello Spirito, che agisce mediante la Parola, si può aderire alla volontà di Dio come Gesù e, insieme a lui, realizzarla fino al dono di sé. Gesù contrappone il verbo guadagnare al perdere e il mondo intero alla propria vita. Il discepolo, come ogni uomo, fa delle scelte, ma da quale criterio sono guidate e a quale meta tendono? Il mondo e la vita hanno entrambi un valore inestimabile e di per sé sono tutti e due un grande bene. Tuttavia nulla può essere anteposto alla vita che non è oggetto di conquista ma solo di ricezione in quanto dono gratuito. Perciò è necessario perdere, spogliarsi di tutto ciò che impedisce l’accoglienza e la fruttificazione del dono dello Spirito, che è Signore e dà la vita. Gesù sulla croce diviene sorgente inesauribile del dono dello Spirito che è versato nel cuore di chi lo apre per riceverlo con umiltà e gratitudine.     

Meditatio

Mi arrendo al Tuo amore

Gesù inizia a rivelare il cuore della sua vocazione, cioè la missione che il Padre gli ha affidato. Si tratta della sua Pasqua, ovvero del cammino attraverso la sofferenza e la morte verso la gloria. Tutti i profeti hanno sofferto e molti di essi hanno subito una morte violenta, ma nessuno di essi è risuscitato. L’annuncio di Gesù contiene una novità che i discepoli non comprendono perché ancora non l’hanno vissuta. Pietro è stato ispirato è ha intuito che Gesù non è semplicemente un profeta ma molto di più, è il Cristo, il Figlio di Dio. Come tale egli è l’iniziatore di un regno senza fine. Nelle parole di Pietro emerge una visione comune a tutti che circoscrive le proprie aspettative entro i limiti dell’esperienza terrena. I discepoli sono figli del loro tempo la cui mentalità è molto debitrice del criterio della giustizia retributiva. Per cui la vita è una realtà che si sviluppa nell’arco di tempo che va dalla nascita alla morte e il cui valore si misura sulla quantità dei beni accumulati. Solo negli ultimi due secoli prima di Cristo si inizia a parlare di risurrezione e di vita oltre la morte a partire dal Libro della Sapienza. In quest’ottica la vita dopo la morte è il premio che Dio offre ai servi fedeli, quelli soprattutto che non si sono lasciati sedurre e sviare dalle tentazioni del mondo, sia quelle che si presentano come piacevoli sia quelle vissute come prove dolorose.

Gesù fa sua la testimonianza dei profeti, come appare evidente nell’apparizione di Mosè ed Elia sul monte della Trasfigurazione, ma anche l’intuizione della tradizione sapienziale che legge nelle prove dolorose della vita del giusto, non il segno della condanna di Dio, ma l’occasione nella quale fare la scelta di unirsi totalmente a Lui offrendogli la propria vita fino alla morte.

La sofferenza è la prova che gli empi infliggono a coloro che si sforzano di servire il Signore e che, per questo, sono una denuncia vivente rivolta ai malvagi. Il profeta Geremia è perseguitato per il fatto di essere il portavoce di Dio che invita alla conversione per evitare che le ingiustizie perpetrate, soprattutto quelle consumate all’ombra del tempio, si trasformino in una disgrazia immane. L’uomo di Dio è una persona scomoda perché con la sua condotta di vita, rigorosa ma mai rigida, è una potente denuncia che scuote dal torpore del cuore indotta dalla cultura del piacere e del profitto.

La confessione di Geremia rivela anche i sentimenti più profondi di Gesù. Da una parte un forte senso di appartenenza, dall’altro il dolore della solitudine. Sono due stati d’animo compresenti e conflittuali che richiedono di fare una scelta che determini la direzione della propria vita: rimanere uniti a Dio, desiderando il contatto con Lui e cercando il suo volto, oppure fare di testa propria, voltare pagina, lasciandosi alle spalle il passato e abbandonando tutto e tutti. L’opzione è trattenere per sé la propria vita per salvare il salvabile o andare fino in fondo nella scelta di appartenere a Dio offrendogli tutto sé stesso. Davanti a questo bivio si gioca la vita e con essa la scelta del modello di amore da seguire. Satana ne propone uno diametralmente opposto a quello di Dio che lui stesso, nella persona del Figlio, mette in atto.

La reazione di Pietro, che cerca di far “ragionare” il Maestro e ricondurlo a più miti consigli, rivela la logica di Satana che seduce e minaccia, che usa l’arma dell’illusione e della paura. La dura replica di Gesù indica la direzione della sua volontà che non si orienta verso le mondane aspettative degli uomini, manipolate da Satana, ma la indirizza verso la piena adesione al progetto di Dio la cui bellezza supera di gran lunga le terrene speranze di Pietro e di tutti i discepoli.

Il dilemma interiore, espresso da Geremia, come anche il conflitto esteriore, che coinvolge Gesù e i discepoli, trova la soluzione solamente quando si abbandona la mentalità del calcolo utilitaristico e si fanno scelte concrete che incarnano l’opzione fondamentale di fare della propria vita un dono gratuito a Dio e ai fratelli. Nella crisi Satana suggerisce di non scegliere in modo da far convivere ipocritamente una forma esteriore di vita, conforme alla lettera della legge o ai criteri del senso comune, e la dimensione interiore che coltiva pensieri di orgoglio, ambizione, risentimento, insoddisfazione o frustrazione.

Nella ordinarietà della vita, quando sembra in apparenza che tutto proceda tranquillamente, dobbiamo gestire quella perenne lotta interiore che contrappone la voce di Dio a quella di Satana. Senza una continua educazione all’ascolto della Parola di Dio, che ci aiuta a distinguere una voce dall’altra, siamo tendenzialmente portati a seguire l’ispirazione della carne, che spinge a cercare la propria soddisfazione e il piacere, piuttosto che imitare Gesù che si è lasciato guidare dalla volontà del Padre. Soprattutto sotto il peso della prova s’impone la scelta se cedere al male e chiudersi in sé stessi, opponendo il rifiuto dell’aiuto di Dio, oppure resistere al Maligno e arrendersi all’Amore abbandonandosi fiduciosi nelle mani di Dio anche quando la nostra vita sembra essere stretta nei pugni dei malvagi.

L’uomo s’illude di salvarsi da solo. Perciò considera la salvezza come il raggiungimento dei suoi obbiettivi di gloria, potere, ricchezza, fama. Il dolore e la morte contraddicono e ostacolano questi sogni di gloria. Seguendo Gesù impariamo che solo Dio salva, non dalla sofferenza e dalla morte, ma attraverso di esse. Il dolore fisico e psicologico, causato dal nostro limite naturale o dai nostri errori oppure dovuto alle colpe altrui o ancora per tutte queste cose insieme, con Gesù diviene il luogo teologico nel quale fare esperienza dell’amore di Dio che libera dal peccato.

Percorrendo con Gesù la via della croce fino alla fine sperimentiamo la vera salvezza, l’intervento di Dio in noi. Il dolore causato dal peccato diviene sofferenza vissuta per amore. La Pasqua è vissuta come passaggio dalla morte, intesa come condanna per il peccato, a quella vissuta come rinascita per una vita nuova ed eterna. La salvezza non ci fa scansare la sofferenza e scampare alla morte ma è un pellegrinaggio attraverso desolazioni e consolazioni. Le prove dolorose della vita diventano passaggi fondamentali attraverso i quali veniamo trasformati in Dio.

Il cammino dietro Gesù è un itinerario formativo continuo in cui s’impara a vivere perché Dio ci rende capaci di amare come Lui.

Soffrire per la verità e la giustizia rivela il vero amore per cui vivere. Non è l’amore a sé stesso che si misura sulla quantità di beni posseduti, ma è la carità che genera continuamente vita, che contagia di gioia, che cura col perdono le ferite del male, che rimette sulla retta via coloro che si sono persi, riaccende la speranza nel cuore di chi l’ha persa.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna