DOMENICA DI PENTECOSTE (ANNO A) – Lectio divina
✝️ Commento al brano del Vangelo della Messa del giorno: ✝ Gv 20,19-23
Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)
Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare.
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
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Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
Lo Spirito consacra i predicatori del Vangelo
Luca negli Atti degli Apostoli descrive l’evento che accadde nel cenacolo dove i discepoli di Gesù erano tutti riuniti insieme per la festa ebraica di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Gesù aveva detto ai suoi di rimanere a Gerusalemme e attendere l’adempimento della promessa del Padre: il battesimo nello Spirito Santo. L’evangelista narra il battesimo nell’acqua del Giordano descrivendolo come una esperienza mistica nella quale Gesù vede aprirsi i cieli, scendere verso di lui lo Spirito Santo in forma corporea di colomba e ascolta la voce del Padre che gli dice: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22). Subito dopo la genealogia, che risale da Gesù fino ad Adamo-figlio di Dio (Lc 3, 23-38), dimostra che il Nazareno appartiene alla famiglia umana, ma è anche il Figlio di Dio perché è il Messia promesso dai profeti. Infatti, nella sinagoga di Nazareth proclama il passo del profeta Isaia 61: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a evangelizzare i poveri…» (Lc 4, 18). Il battesimo nel fiume Giordano è stato per Gesù l’evento inaugurale della sua missione, che egli annuncia con le parole del profeta Isaia, ma anche il segno profetico che trova il suo compimento sulla croce, lì dove, deponendo la vita nelle mani del Padre, prega per il perdono dei peccatori.
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C’è un legame strettissimo che unisce il dono dello Spirito Santo, la missione di evangelizzare e la riconciliazione attraverso il perdono dei peccati. Poco prima di ascendere al cielo Gesù affida ai suoi discepoli, che saranno «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24, 49), la missione di predicare «la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24, 47).
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 12,3-7.12-13)
Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo.
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
Lo Spirito Santo vivifica la Chiesa, corpo di Cristo
Nel prodigio di Pentecoste Dio fa nascere la Chiesa, le dà il nome e la presenta al mondo. La Chiesa, famiglia dei figli di Dio, è comunione. Non è una macchina fredda fatta di tanti ingranaggi interni che funzionano in maniera autonoma. La Chiesa si manifesta al mondo come una famiglia viva perché, animata dallo Spirito Santo, vive dentro di sé la gioia del dono reciproco. La Chiesa è un organismo vivo, è il Corpo di Cristo, non un’organizzazione o una struttura o, peggio ancora, una macchina da guerra. In questo corpo ogni membro ha certamente la sua funzione che ne connota anche l’identità, ma esso vive se agisce a vantaggio di tutto il corpo, non per sé stesso.
✝ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-23)
Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi.
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Contesto
Il capitolo 20 si presenta come un dittico. Entrambi i pannelli narrativi sono composti da due scene ciascuno. Nei due racconti iniziali (20, 1-10. 11-18) la protagonista è Maria Maddalena, prima testimone e apostola del Risorto, mentre nelle altre due scene (20, 19-23.24-29) Gesù si manifesta ai discepoli. La trama narrativa del capitolo, che copre tutto l’arco temporale del «primo giorno della settimana», va dalla scoperta della tomba vuota, dove avviene il primo incontro del Risorto con Maria Maddalena, alla casa nella quale Gesù si rende presente in mezzo ai discepoli, e in particolare a Tommaso. La prima parte del dittico si svolge «il primo giorno della settimana… di mattino, quando era ancora buio» (v.1), mentre la seconda inizia «la sera di quel giorno, il primo della settimana» (v.19).
Il secondo pannello narrativo è composto di due scene, introdotte entrambe nello stesso modo: l’incontro con il Risorto avviene il primo giorno della settimana quando i discepoli sono riuniti in una casa dalle porte chiuse. Gesù non bussa chiedendo di entrare ma egli sta in mezzo rivolgendo ai residenti il saluto: «Pace a voi» (vv 19.26).
Il primo pannello narrativo della seconda parte del dittico presenta questa struttura:
A – vv. 19 – 20 – Gesù si manifesta ai discepoli quale re di pace
v. 19 – «Pace a Voi»: La venuta di Gesù e il dono della pace ai discepoli
v. 20a – Gesù mostra i segni della gloria
v. 20b – La gioia dei discepoli
B – vv. 21 –23 – Gesù costituisce i missionari della pace
v.21 – «Pace a voi »: La missione di Gesù e quella dei discepoli
v.22 – Il dono dello Spirito Santo che consacra
v.23 – La missione dei discepoli di portare al mondo la gioia del perdono
v.19 – « La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”».
Nell’introduzione l’accento è posto sul luogo dove si trovavano i discepoli: la casa dalle porte chiuse. Lì Maria Maddalena aveva raggiunto Simon Pietro e l’altro discepolo, quello che Gesù amava, annunciando il “rapimento” del Signore dal sepolcro. Per tre volte si ripete: «dove l’hanno posto» (vv. 2.13.15). Maria Maddalena e i discepoli che verificano l’assenza del corpo di Gesù non sanno dove sia stato posto. La questione è «dove sia (il corpo di) Gesù. Maria Maddalena se lo ritrova difronte ma non lo riconosce confondendolo con il custode del giardino. Solo quando si sente chiamare per nome ella, voltandosi, realizza che è il Signore. La Maddalena non si rassegnava al fatto che il Signore era stato portato via, perciò, lo cerca per andarlo a recuperare. Quando finalmente lo riconosce presente e vivo, Gesù le dice di non toccarlo (trattenerlo con sé) perché il suo cammino è diretto verso Dio Padre, e non solo il suo ma anche quello dei discepoli. Da qui la missione di evangelizzare coloro che Gesù definisce «i miei fratelli». Essi erano in quella casa dove Simon Pietro e l’altro discepolo, dopo essere corsi al sepolcro, erano ritornati raccontando quanto avevano constatato: il Signore è «stato portato via dal sepolcro», ma non giungono a credere che sia risorto dai morti perché ancora non avevano compreso la Scrittura. La testimonianza di Maria Maddalena, che torna una seconda volta dai discepoli per annunciare di aver visto il Signore e il messaggio da lui affidato per loro, da una parte chiarisce il fatto che il Signore non è stato portato via dal sepolcro ma che è stato risuscitato dai morti, e dall’altro che egli non “abita” in un luogo ma è colui che sale verso Dio Padre. L’ascensione verso Dio richiama il rito della intronizzazione del re. Se il Signore è risorto, dov’è? Gesù non ha fornito altre informazioni se non quella della destinazione del suo cammino. Essi, evidentemente, non ricordano le parole di Gesù nel discorso d’addio nel quale aveva detto a più riprese che stava per andare al Padre ma aveva anche assicurato che sarebbe tornato e lo avrebbero rivisto. Le parole di Gesù vanno ricordate per comprendere che gli eventi rivelano il compimento del progetto di Dio. Esso non riguarda solo Gesù, ma mediante lui, tutti coloro che gli credono. La fede, quale conoscenza di Gesù e della storia, è opera dello Spirito Santo che i discepoli non hanno ancora ricevuto.
C’è una tensione tra il sepolcro aperto e la casa dove si trovano i discepoli che invece è chiusa. L’incontro con la Maddalena avviene fuori dal sepolcro che non è più l’ultima dimora di Gesù ma il punto di partenza del cammino di vita nuova di cui aveva parlato nel discorso di congedo. La testimonianza di Maria Maddalena conferma la veridicità delle parole di Gesù che aveva anticipato il fatto che i discepoli sarebbero stati nella tristezza, ma anche che essa si sarebbe trasformata in gioia. Quella dei discepoli, però, non è tristezza ma è la paura nei confronti dei Giudei. Essi, come aveva anticipato Gesù, li odieranno come hanno odiato lui fino ad ucciderlo. I discepoli sono terrorizzati dall’idea di poter subire la stessa sorte di Gesù. I Giudei sono capaci di tutto. Il timore, dunque, nasce dal fermarsi alla constatazione dei fatti e concentrarsi su di essi senza lo sguardo di fede illuminato dalle parole di Gesù. In altre parole, il sapere che Gesù è risorto non basta per credere e lasciarsi liberare dai vincoli della paura che blocca. Il timore suggerisce di rimanere chiusi in casa piuttosto che uscire a cercare Gesù, come aveva fatto Maria Maddalena. I discepoli vivono l’attesa carica di tensione cercando nello stare insieme sostegno e conforto.
Il Risorto, che aveva rivelato a Maria Maddalena che stava salendo a Dio, è lo stesso Gesù che invece viene verso l’assemblea dei discepoli fermandosi in mezzo a loro e salutandoli con la benedizione: «Pace a voi». Il discorso di congedo si conclude così: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi … perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 14, 25.16,33). Il saluto di Gesù suona per i discepoli non come un augurio, ma come un’affermazione che li rassicura nel loro turbamento. È come se dicesse: «Coraggio, non abbiate paura, sono io» come quando si fece riconoscere mentre si avvicinava alla barca camminando sulle acque (Gv 6,20). Il dono della pace è la virtù della fede grazie alla quale lo sguardo non si fissa innanzitutto sui problemi che causano turbamento ma su Cristo che con la sua vita dona la vita eterna. Gesù è la pace perché ha «vinto il mondo» che pure dà la pace, con la sua idea di ordine. Esso, infatti, è sinonimo di staticità propria della morte. Il mondo vuole che le persone siano come statuine da manovrare. La pace del mondo è un ordine imposto, mentre quella che dà Gesù, è un dono che attiva un processo oblativo.
v.20 – « Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore».
Gesù mostra ai discepoli le mani e il fianco. Sono le parti del corpo segnate dai chiodi e dalla lancia. Il mondo per imporre la sua pace mostra i segni del suo potere distruttivo. I discepoli hanno ancora negli occhi le scene di violenza subite da Gesù e ne sono terrorizzati. La visione delle mani e del fianco del Crocifisso mira a consolarli dimostrando che veramente egli ha vinto il mondo con la forza dell’amore di cui le ferite del corpo sono la testimonianza più credibile. Il Risorto evangelizza i suoi discepoli, dopo averlo fatto operando i segni, mostrando nel suo corpo ferito il segno della gloria di Dio. Essi, che vedendo i segni da lui operati avevano iniziato a credere, ora credono che Gesù é il Signore perché lo contemplano con i loro occhi, illuminati dalla luce della fede.
v. 21 – «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”».
Per la seconda volta Gesù rivolge il saluto «Pace a voi». Il saluto è l’atto preliminare di ogni dialogo. Gesù viene nel mondo non per distruggerlo, ma per amarlo e convertirlo. Così il Risorto viene ancora dai suoi discepoli, che sono nel mondo anche se non sono del mondo. Gesù ha ricevuto la missione di convertire il mondo rendendolo partecipe della intimità filiale con Dio, la stessa che caratterizza la sua relazione col Padre. La pace che dà il mondo è una forma di possesso e controllo sull’altro originato dall’amore narcisistico a sé stesso. La pace che offre Gesù innesca un meccanismo di apertura verso l’altro che connota l’amore accogliente e oblativo. L’amore di Dio è missionario perché non si chiude in sé stesso in un sacro isolamento, ma si apre all’altro per donarsi. Se, dunque, l’amore di Dio è nei discepoli, anch’essi sono inviati nel mondo con la stessa finalità per cui Gesù è venuto. Anch’essi sono chiamati ad essere in pace con Dio e riconciliare il mondo con lui. I discepoli di Cristo sono resi partecipi della sua missione, non di imporre un ordine mondiale, ispirandosi alla logica del mondo, ma di porgere al mondo il perdono di Dio. Lo spirito mondano induce alla ricerca della comodità, del quietismo, delle forme con cui conservare il potere. Lo Spirito di Dio, invece, spinge ad uscire da sé stessi e dall’autoreferenzialità per andare verso Dio e il fretelli.
v.22 – «Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo.
Il verbo soffiare evoca l’azione creatrice di Dio nel racconto della Genesi grazie alla quale il «terrestre» diviene «essere vivente». Il soffio del Risorto, come quello del Crocifisso, è vitale perché opera una nuova creazione. Il dono dello Spirito, che ha risuscitato Gesù dai morti e lo ha fatto uscire dal sepolcro per salire al Padre, è donato ai discepoli come principio di vita nuova, perdonata, libera dai condizionamenti del peccato per essere un dono di amore offerto a tutti. I discepoli, come Adamo nel giardino dell’Eden, sono chiamati ad essere custodi del creato. Il dono è per la missione che viene proposta e non imposta. Per questo il Gesù invita a ricevere lo Spirito Santo. Il verbo ricevere descrive l’atteggiamento dell’accoglienza. Infatti, all’atto predatorio del prendere per sé, che è indice dell’avida bramosia ed è causa di tutti i disordini, si deve sostituire quello dell’accogliere in sé affinché Dio possa operare interiormente la nuova creazione che conforma l’uomo a Dio. Questa «comunicazione di spirito» fa dei discepoli «i veri adoratori (che) adoreranno Dio in Spirito e verità» di cui parla Gesù alla Samaritana (Gv 4,23). San Pietro aggiunge: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15).
v.23 – «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
La comunicazione dello Spirito, di cui Gesù è mediatore, è anche partecipazione alla sua missione. Come il Figlio del Padre viene nel mondo per amarlo e riconciliarlo, così i «suoi fratelli» sono inviati a portare la pace, a offrire il perdono, la liberazione dai peccati che rendono ciechi, paralitici, legati alla morte. Il perdono è offerto come occasione di liberazione e rinascita. Proprio perché non è un’imposizione ma un’opportunità, c’è chi l’accoglie e chi la rifiuta. Quello affidato ai discepoli non è un potere discrezionale per il quale decidere a chi concedere il perdono e a chi negarlo. Gesù istruisce i discepoli sul fatto che il successo della loro missione è legato alla libera scelta di chi riceve con umiltà il perdono e lo trasforma creativamente in dono per gli altri. Infatti, i discepoli, nella misura in cui accolgono lo Spirito Santo e si lasciano cambiare il cuore, possono anche operare il bene nel quale prendersi cura dei propri fratelli, comunicando loro lo Spirito della gioia e della verità.
Il perdono dei peccati è l’opera che Dio ha compito per mezzo di Gesù crocifisso, l’Agnello pasquale, il cui sangue purifica e rende giusti. Il perdono è avvenuto una volta per tutte, ma il suo annuncio, come il seme da spargere, deve essere continuamente proclamato perché chiunque crede alla testimonianza dei discepoli, e, per mezzo loro, in Gesù Cristo, possa essere salvato e avere in sé la vita eterna.
I peccati sono la manifestazione dello spirito impuro che ci abita e che solo lo Spirito Santo può cacciare da noi. Il perdono è un esorcismo che ci libera dalla schiavitù a cui lo spirito del male ci condanna. Chi accoglie i discepoli ed entra in dialogo con loro, accoglie Gesù che con il suo Spirito lo libera dal male e lo fa figlio di Dio. Quando invece il cuore rimane impermeabile e chiuso alla grazia di Dio si resta sottomessi al dominio del male.
Perdonare i peccati per i discepoli significa vivere la missione ed esercitare l’autorità intese come cura pastorale verso il gregge. Bisogna rifuggire dalla logica del ladro, del brigante e del mercenario per lasciarsi conformare nella mente e nel cuore a Cristo, il buon Pastore che ama e dà la vita per le sue pecore affinché siano un solo gregge.
Meditatio
Il vento e il soffio, dono e missione.
La liturgia ci fa meditare due brani biblici che offrono due prospettive dello stesso evento di salvezza. L’autore degli Atti degli Apostoli presenta la manifestazione dello Spirito Santo nel giorno della festa ebraica della Pentecoste. Per descrivere l’evento usa immagini che richiamano i segni che accompagnarono la rivelazione di Dio al Sinai e la consegna del Decalogo. Giovanni invece, colloca l’effusione dello Spirito Santo nel contesto della Pasqua, morte e risurrezione. Il Crocifisso «consegna lo Spirito» dalla croce e il Risorto lo alita nel cenacolo la sera del primo giorno della settimana, principio della nuova creazione. Gesù soffia sulla comunità lo Spirito come Dio Padre fa nell’uomo perché diventi essere vivente (Gn 2,7). Il quarto evangelista e Luca mettono in evidenza il fatto che Gesù, il Crocifisso-Risorto, è l’origine e la sorgente del dono celeste e della missione affidata agli apostoli. Essi sono inviati ad essere testimoni di Gesù che a sua volta è l’apostolo del Padre. I racconti giunti a noi sono la testimonianza degli apostoli che da testimoni oculari sono diventati ministri della Parola. Grazie alla loro parola cogliamo la ricchezza di un evento che non è semplicemente un fatto del passato, ma è qualcosa che si rinnova costantemente nella storia quando, entrando nella preghiera e vivendo la comunione fraterna, siamo avvolti come in un forte abbraccio dallo Spirito Santo che ci protegge, ci conforta, ci sorregge, ci rialza, ci rianima, ci spinge fuori, ci rende missionari e testimoni della misericordia.
La missione della Chiesa di ieri e di oggi: parole dette col cuore.
Soffermiamoci sulla simbologia propostaci dagli evangelisti per comprenderne il significato e per attingere da essa il valore aggiunto da dare ai gesti quotidiani di cui sono intessute le nostre relazioni umane. Il gesto di alitare indica una comunicazione che parte dall’interiorità dell’emittente e giunge a quella del ricevente. Alitando viene emesso vapore acqueo che è qualcosa di estremamente povero, leggero. Lo emettiamo soprattutto quando apriamo la bocca per parlare. Questa immagine ci fa comprendere che le parole non hanno solo una componente concettuale da capire, ma soprattutto una spirituale da accogliere. Con la parola non esprimiamo solo delle idee ma facciamo giungere all’altro qualcosa di noi. In genere ogni forma di comunicazione, verbale o non verbale, è anche condivisione di qualcosa d’intimo, di spirituale appunto, che ai sensi appare tanto leggero, sottile, invisibile, quanto al cuore risulta essere determinante per la sua vitalità. Per quanto le parole possono uscire dalla nostra bocca senza pensarci su, esse mantengono un valore il cui peso dipende dalla nostra responsabilità. Gesù ricorda che dal cuore dell’uomo escono cose cattive che inquinano e demoliscono le relazioni perché umiliano, feriscono mortalmente. Con le parole intrise di spirito del mondo, spirito di gelosia e di contesa, noi innalziamo muri che dividono e isolano. Dio pone sulla nostra bocca e sul nostro cuore una parola diversa perché piena dello Spirito Santo, che dal cuore di Dio giunge a quello dell’uomo. Il Libro della Sapienza descrive lo Spirito contenuto nella Parola di Dio: «È uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili» (Sap 7,22-23). San Giacomo, facendo eco a questo testo dell’Antico Testamento, dice che «La Sapienza che viene dall’alto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3,17). La Parola di Dio, piena del suo Spirito, ha la delicatezza di un bacio che inebria, la forza di un abbraccio che rincuora e l’acutezza penetrante di una spada a doppio taglio.
Evangelizzare con parole di Vita
Dio è vivo, al contrario degli idoli, opera delle mani degli uomini, che «hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano; dalla loro gola non escono suoni!» (Sal 115, 5-7). Dio è vivo e ci rende vivi attraverso Gesù, Parola creatrice di Dio. Egli apre la bocca e mediante il suo Vangelo ci viene donato lo Spirito perché anche noi possiamo diventare essere viventi e non rimanere manufatti inerti.
La vita non consiste semplicemente nell’esercizio delle funzioni biologiche, perché in questo senso saremmo solamente “viabili” ma non vivi. Col termine viabile s’intende in senso medico-giuridico la capacità di vita umana che abbia significato e valore fuori del grembo materno. In altri termini, viabile è quella vita umana le cui funzioni biologiche vitali sono già attivate per vivere autonomamente, in particolare quella del respiro. Tuttavia, tale capacità si attiva e si sviluppa a partire dalla nascita, momento in cui l’uomo entra in una rete di relazioni accudenti indispensabili per crescere sano e per diventare persona a tutti gli effetti. Passando dal piano biologico-sociale a quello spirituale comprendiamo che la Pentecoste è il momento della nostra nascita quali figli di Dio. Come tali, col battesimo, entriamo nella famiglia della Chiesa perché Dio ci invia in essa come un dono. Come infatti i genitori accolgono da Dio la vita e la custodiscono per farla crescere, così la Chiesa accoglie i figli che Dio le dona.
«Come il Padre ha mandato me, così io mando voi»; sulla croce Dio Padre dona suo Figlio perché l’uomo, accogliendo lo Spirito dalla sua bocca, sia perdonato e, riconciliato, possa a sua volta donarlo ai fratelli. Lo Spirito Santo ci fa creature nuove le cui parole diventano canali di comunicazione dello stesso Spirito attraverso il quale giunge la misericordia di Dio. Ognuno diventa per la Chiesa missionario dell’amore di Dio e, come tale, un dono prezioso che la rende sempre viva. Più che la bocca del cristiano parlano le sue opere di misericordia.
Come in ogni corpo, anche nella Chiesa, Corpo di Cristo, deve circolare al suo interno la grazia dello Spirito Santo. C’è infatti una missione interna alla comunità dei credenti attraverso la quale le membra vivono una in funzione di tutte le altre unite dal vincolo dell’amore, per il bene comune. La Chiesa vive se evangelizza sé stessa continuamente alimentandosi della Parola di Dio e dei Sacramenti. Da questa missionarietà interna alla comunità dei credenti dipende la forza, il coraggio, l’entusiasmo, la passione, la carità che spingono la Chiesa ad uscire verso il mondo ed essere comunicativa, attraente ed efficace
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“