don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 28 Maggio 2020

Sacerdoti, ministri a servizio della gioia

Giovedì della VII settimana di Pasqua

«Prego … perché tutti siano una sola cosa, affinché il mondo creda»; Gesù prega mentre offre la propria vita sulla croce, perché la preghiera è il sacrificio di sé. Giustamente questa preghiera prende il nome di «sacerdotale» perché essa è elevata da Gesù nell’esercizio del suo sacerdozio. Gesù non era un «sacerdote», nel senso che non apparteneva alla tribù di Levi che era deputata da sempre alla liturgia nel tempio di Gerusalemme, ma era un «laico». La funzione principale del sacerdozio e del sacrificio è riconciliare Dio e l’uomo. Il peccato, che rompe la comunione, ha pure le sue liturgie, i suoi sacrifici, i suoi sacerdoti e anche le sue divinità. Sull’altare del nostro egoismo gettiamo nel fuoco e consegniamo a Satana i nostri beni affettivi ma anche le nostre risorse intellettuali, fisiche e materiali. In una delle tentazioni Gesù viene invitato ad adorare il Principe di questo mondo con l’illusione di possedere e controllare tutto. Satana ha posto davanti a Gesù la falsa gioia del possesso e del potere, mentre il Padre gli prospetta quella della comunione, cioè la beatitudine dell’amore.

«Di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Eb 12, 2). Gesù, tenendo fisso lo sguardo sul Padre e puntando tutto sulla gioia piena della comunione con noi suoi fratelli, inaugura un nuovo sacerdozio nel quale non si offrono le carni degli animali ma il sacrificio del proprio corpo. Le liturgie al tempio di Gerusalemme, come anche negli altri templi pagani, erano finalizzate ad ottenere favori divini. Sulla croce Gesù diventa unico e sommo sacerdote di una nuova liturgia nella quale tutti coloro che la celebrano invocano con Cristo, per Cristo e in Cristo, il dono dello Spirito Santo al fine di diventare una sola famiglia nella comunità dei figli di Dio. La Pasqua ha inaugurato una liturgia in cui giorno e notte, da un capo all’altro della terra, si eleva il sacrificio della lode. Da quel momento Gesù continua ininterrottamente a offrire sé stesso perché chiunque partecipi del suo sacrificio diventi un solo corpo e un solo spirito. L’evangelista Giovanni ricorda che Gesù infatti doveva morire per riunire insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52). È lo Spirito Santo che riunisce tutti in un unico canto di lode, come il maestro di un grande coro nel quale ognuno armonizza la sua voce con quella degli altri. 

Lo Spirito Santo fa cantare al Signore un canto nuovo. È il canto della vita che narra la misericordia di Dio: l’anima mia magnifica il Signore … grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo Nome – canta Maria nel Magnificat, e noi con lei. Cosa significa cantare un canto nuovo, cantare con la vita? Lo dice san Paolo quando esorta i Romani «per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Tutti abbiamo ricevuto a Cristo il dono dello Spirito Santo per essere consacrati sacerdoti che offrono insieme con Gesù la propria vita affinché possiamo essere un solo corpo e un solo cuore. In concreto il cristiano, in virtù del battesimo e nutrendosi dell’Eucaristia, vive ed esercita il suo sacerdozio quando agisce mosso dall’amore e per edificare la comunione fraterna. Aggiunge san Paolo: «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12,4-5).

L’autoreferenzialità, la ricerca egoistica della gratificazione, la cura esclusiva dei propri interessi snaturano e rendono inutile il sacerdozio del cristiano perché nel momento in cui volta le spalle al fratello o si serve di lui, egli si allontana da Dio, rompe la comunione con Lui e perde la sua vita. Il peccato non riguarda solamente la persona che lo commette perché i suoi effetti si riflettono sull’intera chiesa che è come un corpo fatto di molte membra. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono e se un membro gioisce tutte le altre gioiscono con lui». Quindi se per il peccato un fratello soffre anche gli altri vengono coinvolti nella sofferenza, così come se un cristiano compie il suo servizio per amore e gioisce quella gioia contagia e conforta anche gli altri fratelli. 

Il nostro sacerdozio, in unione a quello di Cristo, si esercita quando con la carità delle azioni feriali viviamo come servi della gioia. La nostra vita diventa una continua liturgia nella quale, attraverso le opere di misericordia, intoniamo un grande inno di lode a Dio che invita anche i fratelli ad unirsi per formare un unico coro che canta l’alleluia pasquale. 

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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