Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Legàmi slegati
Nella seconda domenica di Quaresima dal deserto siamo condotti su un «alto monte». Più che luoghi fisici sono spazi dell’anima. Lo Spirito spinge Gesù nel deserto dove rimane per quaranta giorni ad indicare che l’amore spinge Dio nel farsi prossimo all’uomo per prendersi cura di lui soprattutto nella prova. Gesù conduce su un alto monte tre dei suoi discepoli per stare con loro soli, in disparte. L’uomo è raggiunto da Dio nella sua condizione di precarietà e limite per rivelarsi come colui che lo ama, lo salva (risorge) dalla morte e dà una forma nuova alla sua vita.
Il Sal 115 offre la testimonianza di fede dell’orante che prega Dio e crede in lui anche se il suo animo è triste. Nella prova sentiamo che le cose non vanno come devono andare, almeno come crediamo noi che debbano andare. Come per Abramo anche a noi la vita sembra costantemente richiederci qualcosa che ci appartiene e a cui ci siamo legati. Isacco è il figlio amato, l’unico, ossia quello al quale il padre si sente unito, una cosa sola. La vicenda di Abramo insegna che la fede è un cammino in salita attraverso il quale siamo educati a «slegare» le persone che amiamo, ossia a sciogliere i legacci che trattengono gli altri come fossero un tesoro da possedere. Comunemente viviamo l’amore come «legarci a qualcuno» e avvertiamo paura quando sentiamo di essere destinatari di un amore del genere. Il cammino di fede è essenzialmente un cammino di purificazione dell’amore affinché esso sia generativo e non possessivo. Non si tratta di «liberarci» dei legami ma di «liberare» le relazioni, ossia rendere l’amore veramente libero attraverso il gesto del sacrificio. Abramo diventa padre d’Isacco, non quando lo concepisce, ma quando lo dona a Dio, slegandolo da sé per riceverlo nuovamente come dono da Lui. La vicenda di Abramo fa intravedere il volto di Dio che non è un despota che getta lacci per controllarci e gestirci, ma è un padre che educa i suoi figli ad amare come lui li ama.
La fede è un cammino di trasformazione, o meglio diremmo, di trasfigurazione, attraverso il quale Dio ci rende partecipe della sua forma, cioè del suo modo di vivere e di amare. L’evangelista Marco si serve dell’immagine della veste che simboleggia la «forma» di vita. San Paolo afferma che Gesù non considerò la sua «forma» (condizione di vita) divina un tesoro da tenere stretto per sé, ma svuotò sé stesso per assumere la «forma» (la condizione di vita) umana, facendosi servo fino alla morte di croce (Fil 2). Gesù nella passione viene spogliato delle vesti e appare in tutta la sua nudità. Sulla croce, povero di tutto, egli offre l’unica cosa che gli rimane, la vita. Essa non gli viene tolta ma lui stesso la offre. È lì che Dio si fa vedere! Nella morte in croce Dio mostra lo splendore della sua gloria, la potenza del suo amore riconosciuta dal centurione: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio». Sulla croce Dio si rivela come Padre che per amore non risparmia suo figlio, non lo trattiene per sé, ma lo «slega», lo offre in dono per noi uomini peccatori.
La trasfigurazione che avviene sul monte è anticipazione e rivelazione dell’evento della croce. Quando siamo tristi e consapevoli di portare la nostra croce la voce del Padre ci ricorda che Gesù la vive con noi. Ascoltarlo significa lasciarci accompagnare da lui perché impariamo a non subirla come un’ingiustizia, ma a viverla come un tempo di grazia nel quale conformarci a Cristo per fare della nostra vita un dono insieme con lui. Il tempo della Quaresima invita all’ascolto più frequente e sostanzioso della Parola di Dio perché solo essa ci nutre e ci guida nel cammino verso la gioia della Pasqua. La Parola di Dio converte il nostro cuore, lo purifica dalla tendenza alla possessività come quella espressa da Pietro e che echeggia l’atteggiamento di Eva davanti al frutto proibito. Tendenzialmente siamo portati a fissare la felicità illudendoci che chiudendola dentro le nostre mani possiamo trattenerla e possederla.
La voce di Dio esprime innanzitutto l’indicativo: «Questi è il Figlio mio, l’amato». Gesù, che s’identifica con il servo sofferente, è come Isacco per Abramo. Gesù è il figlio di Dio, è tutt’uno col Padre, non perché sono uniti da legami di possesso, ma perché, amandosi, sono l’uno un dono per l’altro. Il contenuto fondamentale della rivelazione di Dio sul monte riguarda il suo legame di padre nei confronti del figlio. Gesù crocifisso è il dono di Dio offerto a noi uomini, è il modo con il quale si dichiara nostro Padre. Dopo l’indicativo viene l’imperativo: «Ascoltatelo». Ascoltare Gesù significa accogliere la sua parola nel nostro orizzonte mentale, farci guidare dal suo esempio nelle scelte quotidiane e unirci a lui nelle gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nelle angosce della vita.
Lo splendore della trasfigurazione indica che la meta della nostra vita è la felicità intesa non come godimento possessivo dei beni, ma come relazione di amore con Dio e i fratelli; un amore veramente libero e che genera persone libere.