don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 28 Agosto 2022

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Nella tradizione ebraica il sabato è un giorno di festa non soltanto perché ci si ferma dal lavoro ma soprattutto perché il tempo, liberato dalla fatica, è vissuto nell’incontro familiare con Dio e i fratelli. Nel lavoro infatti in un certo qual modo si lotta per conquistare il pane con il sudore della fronte. Come in ogni battaglia, si compete, si cerca di strappare la preda all’avversario, cioè si ragiona e si vive in una tensione tale che appaiono inevitabili contrasti e litigi. 

Il sabato è festa non solamente perché è tempo libero ma è il tempo della libertà nel quale ritornare ad apprezzare la bellezza dell’umanità vissuta nella fraternità. La liturgia nella sinagoga ha il compito di riaffermare la centralità della Parola di Dio che convoca e invita come padre premuroso riunisce i suoi figli attorno a sé nel banchetto. Il pranzo festoso che segue la liturgia vorrebbe portare nella vita concreta, nel tessuto delle relazioni quotidiane, ciò che si è celebrato. S’innesca un circolo virtuoso nel quale dalla liturgia, in cui si gode da figli della provvidenza di Dio, si passa alla vita nella quale si condivide da fratelli i beni ricevuti dal Padre. Questo passaggio richiama quello attraverso la porta stretta di cui parlava Gesù nel vangelo di domenica scorsa.  

Nella pagina evangelica di questa domenica c’è un passaggio che viene saltato ma che varrebbe la pena richiamare per comprendere le parole di Gesù.

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Mentre è in casa del fariseo che lo sta ospitando per il pasto, Gesù nota un uomo malato di idropisia, malattia che comporta dei gonfiori per accumulo di liquidi. Quando veramente si ascolta il Padre e da lui si viene istruiti, allora si acquista la capacità di vedere le cose come Dio stesso. Nella liturgia si contemplano le grandi opere di Dio. Ma si esce dalla liturgia cercando Dio lì dove ha scelto di abitare. Gesù, uscito dalla sinagoga, entra a casa di un uomo per il pranzo. Lì nota uno dei “piccoli”, uno di quegl’ “invisibili” agli occhi di coloro che cercano la gloria mondana. 

Quell’uomo non sarebbe dovuto essere lì con gli altri perché la malattia, vista come uno stigmata punitivo di Dio per il peccato, era una condizione che costringeva la persona a stare ai margini della comunità per non avere contatti con alcuno. Gesù lo fa uscire dall’anonimato, dall’indifferenza e lo pone al centro dell’attenzione. Sì, solo chi passa attraverso la porta stretta dell’umanità sa piegarsi e vedere coloro che sono invisibili ai più. Spesso ci si nasconde dietro l’alibi di non poter far nulla per risolvere il problema. In realtà basta ridare alla persona la dignità che merita attraverso il piccolo gesto della compagnia, dello stargli accanto, del scegliere il posto dietro l’ultimo. 

Gesù lo prende per mano, lo guarisce e lo lascia andare. Il gesto di Gesù è silenzioso ma eloquente perché compie ciò che è stato udito nella sinagoga. Nella liturgia si ascolta ciò che Dio dice e fa per l’uomo, nella vita l’uomo replica nei confronti dei suoi fratelli ciò che Dio fa per lui. Gesù offre nella paternità amorevole la chiave di lettura della Parola di Dio che è sempre un evento di salvezza. Guarire è restituire all’uomo la capacita di relazione e la possibilità veramente di fare festa. 

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Venendo alla pagina del vangelo di questa domenica, Gesù nota come “i chiamati alla festa” scelgono i posti migliori, quelli più centrali. Gli invitati cercano di avvicinarsi al padrone di casa e agli ospiti di maggiore riguardo, che di solito erano i capi religiosi. In questa corsa non mancano le lotte per occupare i posti più ambiti. 

Da qui il duplice insegnamento di Gesù che parte richiamando implicitamente ciò che si era celebrato nella sinagoga e ciò che era accaduto poco prima con la guarigione della persona malata. 

Scegliere l’ultimo posto non è un semplice stratagemma per realizzare la propria ambizione, travestendola di falsa umiltà. Si tratta invece di uno stile di vita che rivela di aver ben assimilato quello che Dio ha detto e fatto nella liturgia: Dio chiama tutti i suoi figli alla felicità, ma ha un occhio di predilezione verso gli ultimi, quello che non hanno meriti da vantare per avvicinarsi a Lui. Colui che si siede all’ultimo posto è già contento di essere stato invitato e ammesso al banchetto. Colui che sceglie l’ultimo posto, cioè il posto degli esclusi, dei giudicati, dei calunniati, dei perseguitati, sceglie il posto di Dio. Vuoi trovare Dio? Lo troverai lì dove nessun uomo, che cerca la gioia del mondo, si scomoderà per farsi compagno del fallito, dello straniero, del prigioniero, dell’affamato, dell’assetato, del malato.

La prima lettura ci ricorda la necessità di farci ultimo, cioè occupare il posto che la società assegna ai poveri perché solo in loro Dio può trovare accoglienza. 

La seconda lettura invece ci rivela il senso autentico dell’incontro con Dio che non è assimilabile a quello col giudice che emette la sentenza, ma alla festa che il gran re organizza in occasione delle nozze del suo figlio, a cui si partecipa con l’abito festoso dell’umiltà, della mitezza, della gentilezza, della misericordia. 

La differenza tra gli invitati che cercano di accaparrarsi i posti centrali e coloro che scelgono gli ultimi è resa anche dalla parabola giovannea del pastore buono, che entra nell’ovile dalla porta, che si oppone al ladro, il quale invece scavalca il recinto per rubare e uccidere. 

Così accade anche nel regno di Dio, cioè nella comunità cristiana, in cui ci sono quelli che, come il Signore, nel silenzio e nella ordinarietà si fanno piccoli per guarire e salvare, e chi invece si arrampica alla ricerca di visibilità, titoli (anche di giornali) o solamente per fare i propri interessi. 

Gesù, pur essendo pieno della gloria di Dio, ha rinunciato ad ogni privilegio, come quello di poter trasformare la pietra in pane, ha declinato l’invito a pensare prima a se stesso salvandosi la pelle dalla minaccia di Erode, ha rifiutato la tentazione di usare la giustizia come un’arma per punire e distruggere i suoi nemici. È diventato povero per accogliere dal Padre ogni suo fratello come un dono. 

Mettersi all’ultimo posto significa essere piccolo seme che rende feconda la terra o piccolo lievito che fa crescere la massa. 

Dio può guarire solamente se trova accoglienza e disponibilità, può rivestirci di gloria solamente se ci spogliamo delle nostre armature.

Il posto d’onore è in mezzo agli ultimi

Gesù osserva quello che è nella natura umana e che corrisponde ad un bisogno innato nell’uomo:

il farsi notare, l’essere riconosciuti, avere la prova di esistere per qualcuno. La scelta dei primi posti è data dalla necessità di uscire dall’ombra dell’anonimato e di collocarsi in un posto visibile, cioè porsi in una situazione in cui avvertire di «essere qualcuno». Se questo è naturale riscontrarlo nei bambini e negli adolescenti, non è sano che tale atteggiamento determini le scelte degli adulti.

Essi, infatti, devono assumere altri obbiettivi più conformi alla loro maturità umana e alla loro responsabilità sociale.

L’adulto che prende coscienza dell’essere «invitato», cioè della sua vocazione, non segue l’istinto ma la ragione del cuore, cioè la Parola di Dio. Gesù, che agisce per amore, uomo adulto nella fede e maturo nell’affettività, ci dà l’esempio da seguire: sceglie l’ultimo posto, cioè quello nel quale nessuno ci sta di sua volontà ma perché costretto dagli altri o dagli eventi della vita. L’ultimo posto diventa il primo, quello d’onore, perché è proprio lì che Dio ha scelto di abitare.

L’umile è colui che sceglie non di servire i grandi, per stare loro vicino e godere del loro potere, ma chi dedica la propria vita ai piccoli perché non hanno altro da offrire se non il calore di una carezza e la luce del loro sorriso.

Signore Gesù, Tu che sei stato superesaltato dal Padre nella risurrezione perché ti sei umiliato per amore nostro fino alla morte di croce, aiutami a non cercare la vanagloria ma a desiderare d’incontrarti e sperimentare la gioia di essere amato da Dio. Tu prepari per noi il banchetto e ci inviti alle nozze; donami la grazia di partecipare al convito eucaristico perché impari a fare comunione con i fratelli e, sul tuo esempio, ad amarli fino a dare la mia vita per loro. 

Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]