don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 27 Novembre 2022

348

Lectio

Is 2,1-5 

Il Signore unisce tutti i popoli nella pace eterna del suo Regno.

Il profeta Isaia indica nel monte Sion di Gerusalemme, sul quale sorgeva il tempio del Signore, il luogo del raduno di tutte le genti provenienti da ogni parte della terra attorno alla Parola di Dio. Il desiderio di conoscere la verità, che alberga nel cuore di chi non si accontenta di una vita mediocre, spinge a mettersi in cammino per cercarla. Colui che non si rassegna davanti all’ingiustizia sente che deve lottare per la pace con le armi della giustizia che solo Dio può fornire. La Parola di Dio non ha semplicemente un valore informativo ma formativo e performativo perché trasforma il cuore di chi cerca la Sapienza e si mette in ascolto di essa. La novità traspare dalle opere che, non ispirandosi alla bramosia del potere, traducono in gesti fecondi di bene l’umile obbedienza alla volontà di Dio. L’assemblea che si riunisce, accogliendo l’invito del Signore, non fugge dalla realtà ma nell’incontro comunitario con la Parola trae forza e creatività per essere nella storia in cui vive e nel mondo che abita germe di rinnovamento, seme di gioia e di pace, luce profetica del regno di Dio.

- Pubblicità -

Sal 121

Andiamo con gioia incontro al Signore 

Il Sal 121 è un canto delle ascensioni che intonavano i pellegrini giunti alle porte di Gerusalemme. Si avverte tra le righe l’entusiasmo di coloro che pregustano la gioia di essere nella Città santa dove abita il Signore. La presenza di Dio è garanzia di forza e coesione. Le fazioni, che alimentano dissidi e incomprensioni, rendono il cammino della vita più lento e faticoso. Sollevando lo sguardo dalle miserie umane lo si dirige verso la città del cielo la cui bella armonia suscita nel cuore di chi la contempla con gli occhi della fede il desiderio di abitarla e appartenerle.

- Pubblicità -

Rm 13,11-14 

La nostra salvezza è più vicina

San Paolo, dopo aver trattato il tema della giustificazione, sottolineando il fatto che la santificazione è opera di Dio per mezzo dello Spirito Santo effuso da Gesù crocifisso e risorto, traccia la linea da seguire affinché la vita nuova ricevuta dal Signore si traduca in vita santa. Per ogni battezzato l’amore di Dio diventa regola di vita che orienta le sue scelte in ogni ambito dell’esistenza. In tal modo qualsiasi situazione, anche dolorosa, è il tempo propizio per amare. Il discernimento cristiano non deve ridursi ad analisi e giudizio ma si effettua mettendosi in ascolto di quello che Dio sta dicendo alla propria vita con animo disposto alla realizzazione della sua volontà.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (24,37-44)

Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Il brano del vangelo è tratto dal quinto e ultimo discorso della narrazione di Matteo che occupa i capp. 24-25. Attraverso il linguaggio apocalittico si trattano gli argomenti delle «cose ultime», sicché è chiamato «discorso escatologico». Il primo evangelista colloca questo discorso sul monte degli Ulivi creando un collegamento con quello detto «della Montagna» (Mt 5-7) e l’invio missionario del Risorto (Mt 28, 16-20). L’insegnamento di Gesù è introdotto dal racconto di un episodio che culmina con la domanda dei discepoli. Essi chiedono al Maestro spiegazioni sull’annuncio della fine del tempio che egli aveva profetizzato. I discepoli colgono nelle parole di Gesù l’indicazione di un evento che avrebbe segnato la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova inaugurata con l’avvento del Messia.

La fine del mondo (Mt 24,3) era considerata non in termini catastrofici ma rivelativi della giustizia di Dio. I discepoli di Gesù colgono nelle sue parole l’annuncio dell’avvento del regno di Dio e chiedono di sapere quali sarebbero stati i segnali premonitori. Gesù, con linguaggio apocalittico (rivelativo) già utilizzato dai profeti d’Israele, parla dei «dolori del parto» (Mt 24, 8) per indicare che la tribolazione subita è parte di un processo di cambiamento e di compimento. La luce della Pasqua renderà intelligibile il discorso di Gesù ma ancor di più la condizione di sofferenza patita dai primi cristiani perseguitati.

Il contesto nel quale la Chiesa rilegge le parole del suo Maestro è caratterizzato da una profonda crisi dovuta all’esperienza del dolore che genera conflittualità all’interno della comunità, ma al contempo rivela su quali basi è fondata la fede dei discepoli. La prova a cui è sottoposta la comunità giudeo-cristiana suscita smarrimento perché è stretta tra l’accusa di essere “fuori dal mondo” e l’istinto di fuggire dal mondo in cui si trova, quasi rinnegando le proprie origini e nascondendo la propria identità. Un desiderio di rivalsa e di riscatto genera l’attesa di un Messia giustiziere, più che giusto.

Il linguaggio apocalittico, fatto di immagini dai colori molto accesi, evoca il giudizio di Dio come un capovolgimento della realtà. Crolla tutto ciò che appariva, al giudizio di tutti, come indistruttibile – il tempio ne è un esempio – affinché si manifesti la gloria di Dio in tutta la sua potenza. La Pasqua, morte e risurrezione di Gesù, è il segno del cambiamento e il tempo del compimento.

La Pasqua non è semplicemente la conclusione della storia che lo riguarda, ma Gesù la presenta come il fine della sua vita e di quella dei suoi discepoli. Tutta l’esistenza terrena di Gesù è sotto il segno della Pasqua che rappresenta l’orizzonte imprescindibile per comprenderne il valore salvifico. Senza questa prospettiva pasquale non si riesce a cogliere il significato dell’esistenza attraversata da profonde crisi e la loro portata nel progetto di Dio.

Le parole di Gesù più che un avvertimento minaccioso suonano come un annuncio che informa per preparare a vivere il doloroso cambiamento e per sperimentare il gioioso compimento (beatitudine). In tutto questo Dio non è semplicemente il regista che dirige gli attori dall’esterno del set, ma è coprotagonista della storia insieme agli uomini. La relazione con Lui diventa fondamentale nella salvezza, ovvero nella riuscita della vita soprattutto quando si attraversano le prove. Esse rivelano la qualità del rapporto con Dio che non può ridursi a verbalismo vuoto di sentimento e sterile di opere buone.

L’esempio di Noè è portato perché chi ascolta Gesù (il Crocifisso risorto che parla alla Chiesa nell’assemblea liturgica riunita anche nei momenti di profonda crisi) possa leggere la sua storia riconoscendo il valore della Parola di Dio che va messa in pratica e non semplicemente conosciuta. Quelli che vivevano insieme a Noè conducevano una vita normale ma incapsulati nel loro mondo nel quale il cambiamento non era coniugato al compimento. Vivere l’oggi senza il domani di Dio significa scivolare verso il buco nero della morte che tutto divora.

Il messaggio di Gesù aiuta a vivere l’oggi alla luce del domani di Dio, il “giorno terzo”, che è la vita risorta. La Pasqua è la «venuta del Figlio dell’uomo». Il termine greco (parousia) tradotto con «venuta» letteralmente significa «presenza» e nel linguaggio greco-romano indicava la visita ispettiva ufficiale e solenne del re o del generale. Nel contesto della letteratura profetica il termine «parousia» evoca il giudizio finale di Dio che si erge quale giudice universale per separare i santi dagli empi. La separazione è evidenziata nella duplice immagine della coppia di uomini che lavorano nei campi e di donne che macinano alla mola. Cosa determina questa diversità di sorte?

Essi non si distinguono tra loro per le opere ma per le intenzioni. I santi non si distinguono dagli empi per il numero di opere buone che compiono ma dal fatto che esse sono fatte in obbedienza a Dio oppure a prescindere dalla sua Parola. In altri termini, le opere buone possono essere il mezzo per autorealizzarsi o il modo con il quale mettere in pratica la volontà di Dio collaborando con Lui alla storia della salvezza. Noè si salva e salva anche chi accoglie la sua proposta, che agli occhi degli altri appariva assurda, perché, conoscendo l’approssimarsi del diluvio, segue il comandamento ricevuto da Dio. Il diluvio non è una punizione di Dio ma rappresenta le crisi della vita.

Esse le appartengono e sono lo strumento del suo cambiamento: in meglio se vissuto come occasione di rinnovamento, in peggio se affrontate con superficialità e arroganza. La parabola del padrone che custodisce la sua casa dalle intrusioni del ladro spiega bene quali sono i sentimenti che devono albergare nel cuore di chi sa che deve affrontare delle prove dolorose ma ne ignora il tempo e le modalità. Le tribolazioni sono passaggi necessari, benché dolorosi, affinché il cambiamento diventi compimento.

È necessario prepararsi all’incontro con il Signore che viene vigilando su sé stessi con una condotta di vita sobria. Vegliare significa lottare contro il sonno della paura che induce a regredire ripiegandosi su sé stessi e i propri interessi. La lotta contro la paura si ingaggia con le armi della Parola di Dio che illumina con la speranza gli enigmi del presente e permette di tenere desta l’attenzione verso Dio e i fratelli.

Meditatio

Nel tempo liturgico dell’Avvento risuona l’annuncio della «parousia», ossia della presenza di Dio nella storia, e l’esortazione all’attesa, intesa in senso dinamico, quale tensione verso Dio che viene a salvarci. Con un linguaggio volutamente provocatorio Gesù vuole attirare l’attenzione distogliendola dall’esclusiva cura dei nostri interessi. Nella pagina evangelica della domenica che inaugura un nuovo anno liturgico, Gesù parla della sua venuta. La celebrazione del Natale, con cui culminerà il tempo dell’Avvento, ci ricorda che in Gesù bambino si manifesta la bontà di Dio che si fa uno di noi in tutto.

Infatti, canteremo con Sant’Alfonso Maria De Liguori: «Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo». Nel Libro dell’Apocalisse Gesù, crocifisso e risorto si presenta come «Colui che è, che era e che viene». Dio viene in mezzo a noi per camminare insieme a noi, abitare la nostra casa, essere partecipe e condividere le nostre gioie e i nostri dolori, fatiche e successi. Egli viene per accompagnarci verso la Casa di Padre e fare festa con Lui. La presenza di Dio non è invasiva ma discreta e propositiva. Egli viene, bussa alla porta del cuore, chiama per nome, si appella alla coscienza e nel silenzio resta in attesa della nostra risposta.

Il richiamo ai giorni di Noè e il racconto che gli evangelisti fanno della nascita di Gesù, mettono in evidenza il clima nel quale Dio viene in mezzo a noi. La freddezza, richiamata nel canto popolare di Natale, si riscontra nelle nostre relazioni spesso vissute in maniera meccanica perché sganciate dalla fede e dall’attesa dell’incontro con Dio. «I giorni di Noè» sono anche i nostri nei quali abbiamo trasformato la prima benedizione di Dio all’uomo, «crescete e moltiplicatevi», nella maledizione dell’avidità e dell’indifferenza.

I nostri giorni sono una corsa contro il tempo in cui l’affanno dell’attivismo ruba lo spazio al respiro silenzioso dell’ascolto e contemplazione. Più che seguire la voce dello Spirito rincorriamo i sogni propri e le attese (o pretese) altrui. La parola d’ordine è ottenere tutto e subito. Dal vocabolario di uso quotidiano sono scomparse le parole quali riflessione, pazienza, discernimento, ponderazione, prudenza. La compulsività con la quale affrontiamo la vita ci dà l’impressione di essere in una notte buia senza punti di riferimento per orientare le nostre scelte. Presi dalla paura dell’incognito afferriamo qualsiasi cosa ci venga sottomano con l’illusione che sia un punto d’appoggio sicuro.

Gesù, venuto e presente in mezzo a noi, chiede di vigilare, cioè di tenere gli occhi aperti per riconoscerlo e amarlo. Il desiderio di Lui ci aiuta a tenere desta l’attenzione contro il ladro, che vuole rubarci la speranza, ma anche a trasformare l’ansia in trepidazione che si traduce in sollecitudine e cura premurosa ai più piccoli.

L’attesa cristiana non è statica e rassegnata aspettativa della realizzazione di un fato. Il tempo dell’Avvento ci forma ad attendere con cuore aperto per accogliere il Signore che viene. L’attesa è risposta al suo invito ad abitare con Lui, sul monte. Ci chiama a salire lasciando la valle delle nostre beghe di bassa lega, trasformando le armi con le quali ci facciamo guerra in strumenti con i quali coltivare le relazioni che già abitiamo.

Attendere è avere uno sguardo attento per cogliere tutte le possibilità d’incontro, di dialogo, senza fuggire i conflitti, ma affrontandoli in maniera matura e costruttiva. Essi sono opportunità nelle quali prendere coscienza delle differenze e decidere se trasformarle in spazio d’incontro e reciproco dono oppure usarle come alibi per marcare le distanze e creare divisioni.

L’attesa non è l’insieme delle nostre attese da soddisfare, ma è la faticosa ricerca del senso degli eventi. La vita, come la terra, la si possiede veramente non quando la si difende con le armi, ma quando la si coltiva per renderla feconda di frutti.

L’attesa cristiana è preparazione all’incontro con il Liberatore che non viene per mettersi dalla parte di uno contro qualcun altro, ma per renderci veramente liberi costruttori della civiltà di pace.

L’attesa è già incontro con il Signore che viene nel sole che sorge inaugurando un nuovo giorno, nella pioggia che bagna la terra perché faccia germogliare, fiorire e fruttificare il seme custodito in essa. Dietro ogni sguardo, negli occhi di chi si affaccia alla vita e di chi si congeda da essa, nelle membra doloranti di chi soffre e di quelle di chi si unisce per amore, in ogni persona che lotta per la giustizia e s’impegna con lo studio e il lavoro a costruire un futuro più bello per sé e per gli altri, Dio viene, Dio c’è. Dove c’è Carità lì c’è Dio che mi attende!

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna