don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 26 Marzo 2023

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Il risveglio della fede

Dal libro del profeta Ezechièle Ez 37,12-14

Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete.

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele.
Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio.
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.

Il capitolo 37 del Libro di Ezechiele si apre con la visione di un ammasso di ossa. Esse rappresentano gli Israeliti inariditi dalla disperazione nella terra dell’esilio. Essi hanno perso la fede e la speranza di fare ritorno nel loro paese. Ezechiele è inviato da Dio a consolare l’afflizione del suo popolo. Dio promette il dono dello Spirito che restituisce la vita a chi giace nell’ombra della morte dove manca la speranza, un motivo per cui vivere. La sofferenza di essere lontani dalla propria terra è tale da considerarsi ormai morti dentro. Dio si mostra ancora una volta pastore buono di Israele che strappa dagli inferi il popolo che gli appartiene e, restituendogli l’alito di vita, lo reintegra nella sua dignità. Per la potenza di Dio Israele risorge dai morti e ritorna a casa.
È evidente che per la tradizione ebraica la risurrezione è la restaurazione di una realtà precedente, perduta una volta a causa del peccato e poi recuperata col perdono. La Pasqua di Cristo offrirà un’altra chiave di lettura di questa profezia che non annuncia semplicemente un ritorno allo status quo ante ma una realtà nuova, la vita eterna. Con la risurrezione dai morti di Gesù si inaugura la risurrezione dei morti che non è da considerarsi solo l’ingresso nella vita eterna nel giorno ultimo ma è l’ingresso della vita eterna nel cuore del credente.  

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Salmo responsoriale Sal 129

Il Signore è bontà e misericordia.

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.

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Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora.

Più che le sentinelle l’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 8,8-11

Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi.

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

S. Paolo sta argomentando alla comunità cristiana di Roma la giustificazione operata da Gesù Cristo. Gli interlocutori dell’apostolo sono in gran parte di provenienza ebraica. Sta difendendo la tesi per la quale la salvezza non viene dalle opere della Legge ma dall’opera di Gesù Cristo. Egli è l’inviato da Dio per liberarci dal potere del peccato e della morte la cui legge è iscritta nella carne mortale dell’uomo. Rendendosi solidale con l’uomo, Gesù Cristo ha assunto la natura umana. Offrendo in sacrificio la sua vita sulla croce, ha partecipato allo stesso uomo lo Spirito Santo mediante il quale Egli ha vinto la morte ed è stato risuscitato. Ricevendo il dono dello Spirito l’uomo mortale e peccatore diventa vivente perché risorto con Cristo. L’uomo risorge ogni volta che, volgendo le spalle alla legge del peccato, vi rinuncia per lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio, che è libertà e amore.
Lo Spirito Santo, «ospite dolce dell’anima», abitando nel cuore di chi lo accoglie lo edifica nella carità perché, insieme ai fratelli e alle sorelle nella fede, diventi il tempio di Dio tra gli uomini. 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 11,1-45

Io sono la risurrezione e la vita

1 Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”.
4All’udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. 8I discepoli gli dissero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. 9Gesù rispose: “Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui”.
11Disse queste cose e poi soggiunse loro: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. 12Gli dissero allora i discepoli: “Signore, se si è addormentato, si salverà”. 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: “Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”. 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!”.
17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. 23Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. 24Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. 25Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. 27Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.
28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: “Il Maestro è qui e ti chiama”. 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”. 37Ma alcuni di loro dissero: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”.
38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”. 40Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. 43Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: “Liberàtelo e lasciàtelo andare”.
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Lectio

Struttura narrativa del racconto

I Atto (vv. 1-16)
Introduzione (vv. 1-2)
I dialogo (vv. 3-5)
II dialogo (vv. 6-16)
II Atto (vv. 17-37)
Introduzione (vv.17-19)
I incontro (vv. 20-27)
II incontro (vv. 28-37)
III Atto (vv. 38-45)
Introduzione (v. 38)
I comando (vv.39-41a)
II comando (vv. 41b-44a)
III comando (vv. 44b-45)

Il racconto è strutturato in tre atti ambientati in luoghi diversi: vv. 1-16 Gesù si trova al di là del Giordano; vv. 17-37 Gesù giunge nei pressi di Betania; vv. 38-45 Gesù si reca al sepolcro di Lazzaro. Nella prima scena vengono presentati i personaggi e la situazione iniziale. Gesù viene raggiunto dalla notizia della malattia del suo amico Lazzaro la cui condizione diventa oggetto del dialogo con i suoi discepoli. La seconda scena è occupata dal dialogo tra Gesù e le sorelle di Lazzaro, mentre quella finale culmina con il segno della risurrezione dai morti di Lazzaro. Il racconto, che si svolge nell’arco di una settimana, è scandito da tre momenti: nel primo giorno giunge la notizia della malattia di Lazzaro, nel terzo Gesù annuncia la sua morte, nel settimo avviene la risurrezione.

Il dialogo con i discepoli: il risveglio della fede
Il primo atto, introdotto dalla presentazione dei componenti della famiglia di Betania (vv. 1-2), è composto di due dialoghi. Il primo dialogo è a distanza tra Gesù e le sorelle di Lazzaro riguardo alla malattia del fratello (vv. 3-5). Il secondo dialogo s’intesse tra Gesù e i suoi discepoli e riguarda il viaggio da Betania oltre il Giordano a Betania di Giudea (vv. 6-16).
La famiglia di Betania è composta da Lazzaro, di cui si sottolinea la sua malattia, e le sue sorelle Marta e Maria. Di quest’ultima si anticipa il gesto dell’unzione che viene narrato successivamente.
L’evangelista annota l’amore che Gesù nutriva per i fratelli di Betania (v.5), confermando le parole delle sorelle: «Signore, colui che tu ami è malato». Le sorelle di Lazzaro, conoscendo l’amore di Gesù per il loro fratello, lo informano della sua malattia. Esse, come diranno successivamente, si aspettavano che Gesù partisse subito per raggiungerli perché credevano che la sua presenza avrebbe invertito il senso di marcia del malato verso l’esito letale. È la stessa preghiera che il funzionario del re aveva rivolto a Gesù a Cana di Galilea: «Scendi a casa prima che mio bambino muoia!» (Gv 4,49). Come a quel papà disperato Gesù annuncia che il figlio vive, così rivela che l’epilogo della malattia non sarà la morte ma la gloria di Dio. Con un fraseggio enigmatico si allude alla morte del Figlio di Dio attraverso la quale Egli verrà glorificato. Nell’Antico Testamento Dio mostra la sua gloria, tremenda e affascinante, quando fa uscire il popolo d’Israele dall’Egitto facendolo passare all’asciutto attraverso il mar Rosso e quando dal monte Sinai parla a Mosè per consegnargli i dieci comandamenti e stabilire l’alleanza con il popolo eletto. La profezia di Ezechiele annuncia che Dio sta per rivelare la sua gloria quando farà uscire Israele dai sepolcri della terra di esilio, ma non per farli entrare di nuovo nella terra promessa, ma per far entrare lo Spirito nei loro cuori (cf. Ez 37, 12-14). La vita, infatti, non dipende dall’essere in un luogo ma dall’essere luogo in cui Dio abita. La gloria di Dio è il suo amore per l’uomo. Lazzaro, Marta e Maria sono amati da Gesù. Li considera amici come chiama i discepoli (Gv 15, 12-15) che sono anche i destinatari del suo amore vissuto fino alla fine (Gv 13,1). Betania, che significa casa dell’afflizione, è il luogo che simboleggia il dolore dell’uomo ma anche il suo desiderio di vedere il volto di Dio. Le sorelle di Lazzaro si fanno portavoce del loro fratello che, nella sua malattia, chiede la presenza di Gesù. Egli offre una parola profetica che mira ad illuminare di speranza la sofferenza dell’uomo.
Gesù, dopo due giorni di silenzio, cogliendo di sorpresa i suoi discepoli, li invita ad andare con lui in Giudea. All’obiezione dei suoi risponde ricorrendo all’immagine del giorno e della notte per indicare che c’è un tempo nel quale camminare senza il pericolo d’inciampare, perché c’è la luce del sole, e un tempo nel quale questa luce non c’è e se uno s’arrischia a camminare nel buio, cade. Gesù sa bene il rischio che corre ma è consapevole anche del fatto che lo guida l’amore di Dio a Lazzaro. Chi ama rischia, ma non inciampa. Invece inciampa chi cammina senza la luce della speranza. Senza di essa nel buio del lutto si cade più facilmente e con difficoltà ci si rialza per andare avanti. Nel proverbio citato da Gesù vi è uno slittamento di significato. La luce di questo mondo è il sole ma anche Lui stesso, che si era definito «luce del mondo» (Gv 9, 5); similmente la notte è propriamente quella interiore quando si fa esperienza dell’ “assenza” di Dio e della condizione di abbandono. Gesù mostra di conoscere il dramma dell’uomo che nel dolore grida a Dio la sua afflizione e chiede conto anche del Suo silenzio (cf. Sal 22; Sal 129).
Gesù aggiunge il motivo del viaggio: andare a svegliare l’amico Lazzaro che si è addormentato. All’intenzione di Gesù si oppone un’ulteriore obiezione dei discepoli. L’autore chiosa sottolineando il fraintendimento degli apostoli delle parole del Maestro che in realtà non alludeva al riposo del sonno ma a quello della morte. Effettivamente c’è una tensione tra le parole di Gesù nell’apprendere la malattia di Lazzaro e il successivo annuncio della sua morte. Infatti, la rassicurazione del fatto che la malattia di Lazzaro non lo avrebbe portato alla morte viene contraddetta dall’annuncio della sua dipartita. Perciò da parte dei discepoli c’è una levata di scudi perché ritengono il viaggio pericoloso. E poi, perché rischiare se l’amico Lazzaro si è addormentato e quindi è sulla via della guarigione? A maggior ragione, quando chiaramente viene rivelato che Lazzaro è morto, sorge il dubbio sulla opportunità del viaggio, tanto che Tommaso sbotta: «Andiamo anche noi a morire con lui».
Il temporeggiare di Gesù suscita un interrogativo espresso dalle sorelle di Lazzaro e da alcuni che, osservando il pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico, domandano: “Non poteva far sì che Lazzaro non morisse, proprio lui che ha aperto gli occhi al cieco?”.
Andare incontro alla morte, questa sembra essere la proposta di Gesù, ma in realtà il Signore invita a seguirlo sulla via che porta alla vita e di percorrerla guidati dalla sua parola di speranza: «io vado a svegliarlo». Gesù va da Lazzaro perché, tramontata la luce di questo mondo, lui possa aprire gli occhi per contemplare la luce eterna. Come il riposo del sonno è il tempo del passaggio dalla veglia al risveglio, così Gesù guida il passaggio dal vigilare in questa vita all’essere svegli come i figli della luce. Ora che Lazzaro è morto non può camminare e attende Gesù, come le sentinelle nella notte attendono l’aurora che segna l’inizio di un nuovo giorno. Sappiamo che la nostra vita terrena ha i giorni contati come le ore del giorno, ma abbiamo fede anche che, come la notte ha le ore contate, così la morte non è l’ultima parola della vita dell’uomo. La paura induce a cadere nella tentazione di credere che il buio calato sulla vita sia interminabile e definitivo; solo la speranza illumina l’attesa della venuta del Signore che viene a salvare.
A Betania Gesù non andrà solo a risvegliare Lazzaro ma anche a risvegliare la fede dei discepoli che non comprendono il senso delle sue scelte, considerate da loro almeno imprudenti. Anche se in maniera inconsapevole, Tommaso esprime un grande atto di fede: «Andiamo anche noi a morire con lui». Credere in Gesù vuole significare esattamente questo: partecipare alla passione di Cristo per condividere con Lui la sua gloria.

Il dialogo con Marta e Maria: Io sono la risurrezione e la vita
Il secondo atto si svolge il settimo giorno a Betania dove Gesù giunge quattro giorni dopo la sepoltura di Lazzaro quando, secondo la tradizione la morte inizia il suo inarrestabile processo corruttivo. Betania significa «la casa dell’afflizione». Da Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni battezzava, Gesù va a Betania che dista meno di tre chilometri da Gerusalemme. Il collegamento tra le due Betania sta nel fatto che il luogo in cui Giovanni battezzava custodiva la memoria del passaggio del popolo d’Israele attraverso il fiume per entrare nella terra promessa. Il sepolcro di Gerusalemme con la risurrezione di Gesù diventerà il luogo che custodisce la memoria del suo passaggio, per mezzo dello Spirito Santo, da questo mondo al Padre (Gv 13).
Questo secondo atto, dopo l’introduzione (vv. 17-19), seguono due scene. Nella prima Gesù incontra Marta (vv. 20-27) e nella seconda incontra Maria (vv. 28-35). Nella conclusione dell’atto si registra la reazione dei Giudei (vv.36-37).
All’arrivo di Gesù Marta prende l’iniziativa di andargli incontro mentre Maria rimane a casa. Una casa in lutto è come un sepolcro dal quale uscire. Marta e Maria incarnano due modi diversi con cui si reagisce alla morte. Sapere della presenza di Gesù, che si ferma fuori del villaggio, induce Marta ad uscire da casa per andargli incontro. La fede la spinge a lasciare il proprio «sepolcro» per incontrare Gesù al quale gli rivolge un rimprovero: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!», ma subito dopo aggiunge: «Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Dio te la concederà». Marta non nasconde di essere delusa da Gesù e di aver messo in dubbio l’autenticità del suo amore per il fratello; dubbio che è ripreso da coloro che, pur vedendo piangere Gesù per la commozione, si domandano: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Davanti alla morte, soprattutto quando molto si è pregato perché non accadesse, inevitabilmente sorge l’interrogativo sulla reale bontà di Dio. Questa è anche la nostra fede che è poggiata più su ciò che si sa piuttosto su ciò che si crede, più su verità astratte e precetti che su esperienze concrete di vita. Marta crede che Gesù sia un profeta la cui intercessione potrebbe restituirle il fratello. La donna riconosce che Gesù è amico di Dio e, in quanto tale, capace di essere ascoltato ed esaudito da Lui. Gesù in Gv 15 rassicura che chi crede in lui entra nell’amicizia con il Padre che si mostra pronto ad ascoltare ogni richiesta, soprattutto ad esaudire la domanda di vita. Essa non è semplicemente quella biologica, ma è la vita eterna, ossia l’amore che si donano scambievolmente i fratelli come quello che unisce il Padre al Figlio.
Nel dialogo con i discepoli il fraintendimento riguarda la morte di Lazzaro. Gesù parla del sonno di Lazzaro dal quale vuole svegliarlo. Per i discepoli è il segno dell’inizio della guarigione dalla malattia, mentre Gesù, che annuncia la sua morte, allude anche alla sua risurrezione. Parlando a Marta Gesù è più esplicito: «Tuo fratello risorgerà». Marta spera nella risurrezione dai morti nel giorno finale, mentre Gesù rivela di essere «la risurrezione e la vita». Gesù è la risurrezione perché è la vita dei morti, e non semplicemente colui che riporta in vita i morti. L’espressione «credere in» è la stessa di «rimanere in». Gesù usa l’immagine della vite e dei tralci per spiegare che si è vivi nella misura in cui si porta frutto. Ma si può portare frutto, ovvero amare facendo del bene, a condizione di rimanere uniti a Lui. Credere in Gesù significa rimanere radicati nell’amore di Dio aprendosi all’azione dello Spirito che purifica e vivifica. La risurrezione è la condizione di vita del credente che ama con lo stesso amore che riceve da Dio per mezzo di Gesù, crocifisso e risorto. Anche la malattia del peccato e l’afflizione che da essa ne consegue, può essere un’occasione di risveglio della fede e di rinascita nella speranza. Chi vive e muore credendo in Gesù attraversa la morte per conseguire la vita eterna, ovvero la capacità di amare e generare vita. Vedere la gloria di Dio significa sperimentare la forza dell’amore che genera vita in sé e fa diventare generatori di vita.
Nel dialogo con Gesù Marta giunge alla professione di fede riconoscendo in lui il Figlio di Dio che viene nel mondo. La fede non è semplicemente sperare e attendere il giorno della risurrezione perché essa, prima che essere un articolo del credo, è una persona. La risurrezione è Gesù, il figlio di Dio che viene nel mondo mandato dal Padre.
Marta, con la fede accesa nel suo cuore dal dialogo con Gesù, porta l’annuncio a Maria: «Il Maestro è qui e ti chiama». La voce di Marta è sussurrata all’orecchio della sorella quasi a suggerire la delicatezza con la quale Gesù la chiama. La vocazione non è un comando imperioso ma una proposta di vita rispettosa della dignità e della condizione di vita di ciascuno. Entrambe le sorelle esprimono il dolore dell’assenza di Gesù nella loro vita e in quella di Lazzaro nel momento del bisogno. Il dolore dell’abbandono si esprime con le lacrime. Gesù, il Figlio di Dio che viene nel mondo, è coinvolto psichicamente e corporalmente nella sofferenza e nella rabbia che la morte provoca in chi rimane.
Il pianto di Maria diventa il compianto di coloro che sono con lei e anche di Gesù. Lui, che aveva consolato Marta annunciando «la risurrezione e la vita», davanti al dolore dell’uomo scoppia in pianto. L’amore di Gesù per Marta e Maria è tale che si esprime da una parte nell’annunciare il vangelo della vita, e dall’altro, nel farsi totalmente solidale con il loro dolore. Le lacrime di Gesù raccontano la profondità del suo amore verso l’uomo. Dio non solo conosce il nostro dolore ma ne diviene pienamente partecipe. Davanti all’afflizione della morte Gesù si presenta come un amico che si lascia accompagnare nella zona più oscura del cuore, in quella sorta di buco nero che rischia di fagocitare tutto. Il turbamento interiore di Gesù rivela i sentimenti del suo cuore mentre va incontro alla morte. L’emozione colora la sua personalità di una profonda umanità. Prima di andare noi a morire con lui, come aveva affermato Tommaso, è Lui che muore con noi e per noi. La compassione di Gesù è colta da alcuni come luce e consolazione, da altri con scetticismo e critica.
L’evangelista Giovanni non narra le tentazioni, come fanno i vangeli sinottici. Tuttavia, nel corso della narrazione si possono cogliere i momenti nei quali Gesù è stato messo alla prova. Quella alla tomba di Lazzaro può essere ascritto tra le tentazioni subite. Anche il giusto viene messo alla prova e, come Lazzaro, muore. Come leggere questi eventi drammatici e come viverli? È indubbio che la fede vacilla «quando sono scosse le fondamenta… il giusto cosa può fare?» (Sal 11).

Il segno: Dall’abitare nel sepolcro all’essere abitati dallo Spirito
Il terzo atto è strutturato in tre parti quanti sono i comandi dati da Gesù. Il primo e il terzo ordine non hanno destinatari definiti, mentre il secondo è indirizzato personalmente a Lazzaro.
La comunità è riunita davanti alla grotta che custodisce il corpo di Lazzaro. La grande pietra, che chiude il sepolcro, segna un limite invalicabile tra il regno dei morti e quello dei vivi. Il comando di togliere la pietra trova una resistenza in Marta che ragiona secondo i criteri umani. La pietra è una protezione perché il puzzo della morte non invada ambiti più ampi. La paura di Marta riguardo l’opera corruttiva che la morte ha iniziato è più forte della fiducia nell’opera di Dio che fa risorgere i morti. Gesù ricorda che la fede non nasce dalla visione dei segni, ma al contrario, la fede rende possibile e visibile l’opera di Dio. La fede consiste nell’obbedire al comando di Dio anche quando sembra impossibile o imprudente compierla. Il comando significa togliere di mezzo i pensieri che alimentano lo scoraggiamento e la disperazione del lutto. Bisogna lasciar stare i vani ragionamenti umani psudo-consolatori e rivolgere la parola a Dio affinché Egli possa pronunciare la sua. Gesù invita a credere, liberandoci dai pesi che causano rassegnazione, rabbia, risentimento, rimpianto, dubbio, nostalgia e sensi di colpa.
La preghiera, centro della scena culminante del racconto, rivela l’intimità della relazione con il Padre. Con il cuore colmo di gratitudine, ma anche scosso dall’angoscia, offre a Dio la supplica dell’uomo che, afflitto dal dolore, corre il rischio di perdersi a cercarne la causa e il colpevole. Gesù insegna a vivere il dolore del lutto e la paura della morte chiedendo a Dio il dono della vita eterna. Essa non è la vita dopo la morte, ma la vita che fa uscire dalle grinfie della morte e la sconfigge. Nelle parole di Gesù si può riconoscere l’eco del Sal 22. Questo Salmo è una preghiera di lamentazione e di supplica di un uomo sofferente: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (cf. Sal 22,22b). Il giusto sofferente nel silenzio della morte sperimenta la gloria di Dio che lo salva. Perciò la lamentazione diventa inno di ringraziamento e di gioia (cf. Sal 22, 22c-32). Il Salmo è la preghiera del Crocifisso Risorto. La forza del Vangelo chiama fuori Lazzaro dal sepolcro, il quale esce avvolto ancora con i segni della sua umanità mortale. Gesù parla a Lazzaro che tutti credevano ormai tagliato fuori dalla comunicazione e impossibilitato ad ascoltare. Invece avviene il miracolo quando il morto, obbedendo al comando di Gesù, esce dal sepolcro anche se avvolto nelle bende e con il sudario sul viso. La parola di Gesù è più forte della morte che separa, nasconde e blocca.
La Chiesa tutta è destinataria dell’ultimo comando che diventa per lei la sua missione. Lazzaro è affidato alle cure della comunità che ha il compito di aiutarlo a liberarsi dai suoi condizionamenti per poter proseguire il cammino della vita cristiana.
Lazzaro è il cristiano che, nonostante sia ancora invischiato col peccato e avvolto dai segni della fragilità umana, obbedendo alla parola di Gesù crede in Lui. Lazzaro è ciascuno di noi che sperimenta quello che il suo nome significa: Dio aiuta. Sì, Gesù viene non per farci mettere una pietra sopra le cose che ci accadono, ma per farcela togliere. La parola di Gesù non è come quella dei conoscenti che cercano di consolare rimandando la speranza ad un remoto futuro, alla resurrezione dell’ultimo giorno. Gesù parla oggi dall’alto della croce sulla quale «Egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eb 5,7). Piangendo con gli uomini Gesù chiede al Padre di salvarlo, e di salvarci, dalla morte.
Mentre molti suggeriscono di elaborare il lutto dimenticando e mettendo una pietra sopra, Gesù ci chiede invece di toglierla per credere e fare memoria della bontà di Dio. Essa si è manifestata in tutta la sua gloria quando ha donato suo Figlio e lo ha risuscitato aprendo anche per noi il varco attraverso la morte per la vita eterna. Gesù si rivolge a noi, come a Lazzaro, chiamandoci fuori. Ci credevamo morti e imprigionati nel dolore e invece Gesù, chiamandoci per nome, ci tira fuori dalla schiavitù della paura e ci fa rendere conto che siamo vivi perché la vita divina è in noi, anche se siamo avvolti ancora dalle bende della nostra debolezza e dal velo che, posto sul viso, ci impedisce di vedere bene e mostrarci definitivamente. Dalla croce Gesù ci ha donato il suo Spirito, lo stesso Spirito che lo ha liberato dai vincoli della morte e lo ha lasciato andare. Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a liberarci da ciò che ci impedisce di vivere a pieno la vita cristiana e di andare liberamente dietro Gesù sulla via dell’amore che è la vita eterna. Gesù affida alla Chiesa la consegna di essere mediatrice di liberazione perché possiamo passare dal dominio del peccato, che incute paura e provoca la morte, alla Signoria dello Spirito che ci rende liberi.

Meditatio
Generare adulti nella fede

Betania significa “Casa dell’afflizione”. Effettivamente la famiglia di Lazzaro, Marta e Maria è segnata dalla malattia. Si avverte una tensione tra l’amore che Gesù nutre per i suoi amici e la condizione in cui essi si vengono a trovare. Le sorelle di Lazzaro si fanno portavoce del loro fratello che dal profondo della sua malattia chiede aiuto a Gesù. La supplica ansiosa di Marta e Maria tradisce una drammatica preoccupazione come quella di chi sente la sua famiglia minacciata dalla sofferenza che potrebbe portar via il pilastro su cui si fonda. Anche gli apostoli sono preoccupati per la sorte del loro Maestro, e di conseguenza anche della loro. La paura la fa da padrona. L’immagine della famiglia di Betania e quella dei discepoli che sono con Gesù si sovrappongono. C’è una malattia che incute paura perché minaccia la vita di Lazzaro, di Gesù e delle rispettive famiglie. Per Lazzaro si tratta di un male fisico, per Gesù, invece, di uno sociale, che è l’ingiustizia. Ma la paura è la vera malattia che minaccia la fede e mette in crisi la relazione. La paura spegne la luce dentro facendo notte e provoca la caduta e lo scandalo. La fede malata dei discepoli di Gesù contagia anche il loro amore. I sintomi della malattia della fede sono da una parte la tendenza a mondanizzarla, appiattendo la speranza sulle realtà terrene, e dall’altro a spiritualizzarla cadendo nel fatalismo e nella rassegnazione confusa con l’obbedienza alla volontà di Dio. Davanti al pericolo la fede vacillante si esprime nelle obiezioni mosse a Gesù. Tra le righe viene accusato di essere incosciente e indifferente. È messo in dubbio il suo amore. La morte minaccia la fiducia sulla quale si fonda il rapporto personale di amore. Dietro consigli saggi ispirati alla prudenza può nascondersi la tendenza a gestire l’altro secondo i propri progetti. Espressioni, che alimentano i sensi di colpa, come quelli che le sorelle di Lazzaro vorrebbero suscitare in Gesù, sono un modo per tenere l’altro sotto controllo. Il giudizio sull’operato altrui sottintende il tentativo di screditarlo.
La fede è un cammino progressivo e graduale di maturità dell’amore che passa necessariamente attraverso le crisi. Il fraintendimento, la discussione, la lite, il confronto sono passaggi obbligati perché maturi una fede autentica che fruttifica in amore veramente generativo. L’itinerario pasquale della fede è un continuo esercizio di purificazione da ciò che non permette alla fede maturare e all’amore di generare. Bisogna innanzitutto rinunciare a dettare i tempi ma a rispettare i tempi di Dio e dell’altro. Credere significa non voler riportare indietro il tempo nel vano tentativo di recuperare ciò che il tempo ha portato via. Gesù invita a vivere il presente, tempo nel quale Dio opera. Dio opera nel presente, ecco perché opera per sempre. Come dice Marta a Maria: «il Maestro è qui (e ora) ti chiama». Credere non significa inseguire il filo dei propri pensieri, ma rispondere alla voce di Dio che attira a sé e che chiede di uscire per incontrarlo. Gesù si mette in cammino verso l’uomo chiuso nel sepolcro del suo peccato e l’uomo è chiamato a mettersi in cammino verso di Lui che lo attende. In questo si manifesta l’amore di Dio per l’uomo: esce da sé, si spoglia, per donarsi all’uomo e fare casa con lui. In questo cammino Dio educa l’uomo ad amare dando l’esempio che diventa normativo, ovvero la via maestra per passare dal dominio della paura e della tristezza alla signoria della gioia.
La tristezza è un malessere che appartiene alla nostra dimensione umana. È un dolore che è entrato anche in Dio. Tuttavia, più forte della morte è l’amore. Gesù vince in sé la paura con l’obbedienza fiduciosa e amorevole al Padre. Nonostante le umane obiezioni Gesù tiene rivolti gli occhi della mente e del cuore al Padre per ascoltare la sua Parola e discernere la sua volontà. Pur nella tristezza della solitudine Gesù ha nel cuore la gioia perché in Lui abita lo Spirito grazie al quale rimane unito al Padre. Gesù non solo crede che Dio lo risusciterà ma, nel dolore egli crede in Lui ponendo la vita nelle Sue mani. Egli soffre non per morire ma per vivere e dare la vita. Dalla morte di Cristo nasce la nostra vita che è data a noi mediante lo Spirito effuso sulla croce.
È lo Spirito che rende presente Gesù dentro di noi anche quando sentiamo il malessere che ci scava dentro, creando il vuoto interiore, o che erige muri di incomunicabilità con l’esterno e barriere di solitudine. Lui rende attuale la Parola che comanda di togliere la pietra sepolcrale del pregiudizio o dei sensi di colpa, di uscire da quei luoghi protetti e dai mondi virtuali che rendono dipendenti e senza volto, di liberare e lasciare andare amando da adulti. Un uomo e una donna adulti nella fede chiedono a Dio ciò che lo Spirito suggerisce nel loro cuore e si rimettono alla Sua volontà, non con sterile rassegnazione, ma con gioiosa disponibilità a essere nel mondo evangelizzatori della gioia e generatori di vita.

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Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna