Il potere salvifico della preghiera
Lunedì della VII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Sceso Gesù con tre dei dodici apostoli dal monte sul quale era avvenuta la trasfigurazione, s’imbattono nella discussione che i discepoli, rimasti a valle, stanno avendo con gli scribi. Gesù s’inserisce nella disputa chiedendone il motivo. Qui entra in scena un uomo che, credendo di trovare Gesù, si era rivolto ai suoi discepoli per guarire suo figlio posseduto, a suo dire, da uno spirito impuro. Essi però non erano riusciti a liberarlo. Probabilmente essi avevano tentato di cacciare il demonio senza aspettare l’arrivo di Gesù che li apostrofa come generazione incredula. Anche il papà del ragazzo riconosce la sua incredulità.
La poca fede ha due aspetti, uno manifesto nell’atteggiamento presuntuoso e autoreferenziale dei discepoli che hanno troppa sicurezza di sé e agiscono in maniera autonoma, ma con scarsi risultati; l’altro aspetto dell’incredulità emerge dalle parole rivolte dall’uomo a Gesù: «se tu puoi … aiutaci» in cui si rivela una scarsa fiducia di sé e un profondo senso di impotenza nell’affrontare il problema e salvare suo figlio.
La risposta di Gesù indica nella fede la potenza che salva. Chi crede può tutto! L’uomo ha compreso che deve partire dal credere maggiormente in sé stesso accettando di essere padre anche quando si sente impotente davanti alla sofferenza del figlio. La preghiera non è un atto di delega perché Dio intervenga allorquando siamo incapaci di risolvere i problemi. Al contrario, è innanzitutto una confessione di fede e una professione di umiltà. Non basta avere consapevolezza dei propri limiti ma è necessario farsi poveri, mendicanti dell’aiuto di Dio.
La preghiera, quale espressione della fede, da una parte fa riconoscere la propria povertà dall’altra crea lo spazio interiore perché Dio possa agire in e attraverso di noi.
Il potere appartiene a Dio, solo Lui può salvare da ciò che ci rende schiavi e ci fa rischiare di morire. Tuttavia, Dio associa alla sua opera ogni credente che celebra la liturgia. Se essa è ridotta a devozione personale o a sterile ritualismo facciamo scadere i riti liturgici in gesti magici che non sortiscono nessun effetto se non quello di scoraggiarci davanti alla sofferenza.
Riscopriamo la preghiera quale esperienza di dialogo con Dio nel quale riponiamo la nostra fiducia e dal quale traiamo la forza per amare i nostri fratelli. Essi infatti non sono le cavie su cui esercitarsi per misurare le proprie forze ma i destinatari della condivisione dell’amore attinto al cuore di Dio. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza dei piccoli ma importanti riti familiari attraverso i quali permettiamo a Dio di entrare nelle nostre case e sanare le nostre relazioni. Così gusteremo e vivremo con frutto anche la liturgia che celebriamo nella comunità la domenica in cui Gesù si prende per mano e ci risolleva dai nostri peccati affinché possiamo gustare la vera libertà dei figli di Dio nell’amore fraterno.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!
Credo, Signore: aiuta la mia incredulità.