don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 23 Ottobre 2023

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L’Eredità da condividere tra i fratelli

Lunedì della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 4,20-25

È stato scritto anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo.

Fratelli, di fronte alla promessa di Dio, Abramo non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.

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E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

Credere nel paradosso della Croce.

L’apostolo Paolo sottolinea della fede di Abramo la caratteristica della perseveranza soprattutto quando l’avanzare dell’età sua e di Sara avrebbe suggerito l’idea di abbandonare la speranza. La prova del tempo non ha indebolito ma ha rafforzato la fede di Abramo perché era profondamente radicato nella convinzione che Dio avrebbe compiuto la sua promessa. Proprio per questo Dio lo riconosce giusto. La giustizia viene accreditata ad Abramo in virtù della sua fede.

La giustizia rende feconda la relazione di Abramo con Sara che fino a quel momento era invece sotto il segno della maledizione per la sua sterilità. Ciò che si dice di Abramo si applica anche a coloro che lo riconoscono loro padre e lo imitano della fede. Dio riconosce giusto Abramo per il fatto che egli crede alla promessa fino alla fine, nonostante le apparenze. La promessa, dice Paolo, è Gesù Cristo. È per mezzo di Lui, discendente di Abramo e benedetto da Dio, e mediante il suo sacrificio, che tutti gli uomini possono dirsi destinatari della promessa di Dio in quanto resi giusti da Gesù Cristo.

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Per l’offerta che Gesù, il solo Giusto, ha fatto della sua vita, tutti gli uomini sono resi giusti come il padre Abramo. La giustizia si manifesta nella fecondità  dell’amore.

+ Dal Vangelo secondo Lc 12,13-21

Quello che hai preparato, di chi sarà?

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».

E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

L’Eredità da condividere tra i fratelli

Dal disappunto di Marta nei confronti della sorella Maria, rea di non aiutarla nei servizi in onore dell’ospite, si passa alla lamentela di un tale che ha un contezioso con suo fratello circa l’eredità paterna. L’uomo che chiama in causa Gesù è esasperato e arrabbiato per l’ingiustizia subita e i suoi occhi non vedono altro che la parte di eredità che gli spetta. È accecato dal risentimento e concentrato su quei beni che gli spetterebbero di diritto. Il Maestro invita a guardare oltre il problema dell’eredità per riconsiderare la questione alla luce delle relazioni personali. Se l’uomo si appella a Gesù per sciogliere il nodo che riguarda un suo interesse particolare, egli lo induce a cambiare punto di vista in modo da sollevare lo sguardo dall’eredità contesa per rivolgerlo verso il padre, datore del patrimonio ma soprattutto origine della comune fratellanza.

In questo contenzioso possiamo leggere le tante liti familiari causate dalla bramosia di possesso e dalla gestione dei beni materiali. La conflittualità tra fratelli è antica quanto l’uomo, come ci ricordano tante pagine della Scrittura, in particolare della Genesi. Il peccato originale è la cupidigia che s’inserisce nel cuore dell’uomo ferito dal peccato. Anch’essa è una eredità che passa di generazione in generazione a partire dal primo Adamo. La parabola parla di un uomo ricco proprietario di una fertile terra che gli regala un raccolto molto abbondante. Nella presentazione del personaggio principale riecheggia il racconto della Genesi nel quale Dio affida ad Adamo il compito di coltivare il giardino del Paradiso. Ha a sua disposizione i frutti di tutti gli alberi tranne quello dell’albero della conoscenza del bene e del male. Similmente l’uomo ricco riconosce di avere a disposizione molti beni. Il tentatore istiga Adamo ed Eva a trasgredire la norma data da Dio e a puntare più in alto verso il traguardo di essere come Dio per prenderne il posto.

La cupidigia è la fame insaziabile di cose, che rende sempre più affamati e mai pacificati. I beni materiali non potranno mai saziare il cuore dell’uomo ma, al contrario, la dipendenza da essi provoca inquietudine e ansia. L’uomo ricco cade nella medesima tentazione dell’uomo delle origini di sostituirsi a Dio. Per cogliere la morale della favola dobbiamo porre attenzione sul ragionamento che fa tra sé il ricco possidente e sul discorso che Dio gli rivolge. Sono posti a confronto due sapienze, quella mondana e quella divina. Nel ragionamento del ricco non c’è traccia di gratitudine nei confronti di Dio, totalmente escluso dal suo orizzonte valoriale. È un imprenditore che progetta partendo dall’esigenza di dove raccogliere il grano e i suoi beni arrivando alla determinazione di demolire i vecchi depositi e di ricostruirne più grandi. Il progetto non si ferma qui perché la sicurezza che ripone nei suoi beni gli dà l’illusione di avere a disposizione anche il tempo. Gran parte dei verbi sono al futuro di cui ha la presunzione di avere la conoscenza e il possesso.

Il ragionamento dell’uomo ricco è tanto fantasioso quanto vano. Basta poco per fare andare in fumo i progetti ambiziosi e autoreferenziali. La parola di Dio viene a demolire le impalcature fragili poggiate sull’avidità, che è il volto drammatico dell’ateismo pratico degli uomini, per riportare il discorso sulla realtà concreta della vita che non si gioca in un lontano futuro ma nell’oggi. Il presente è l’unico tempo veramente fecondo se è vissuto nella gratitudine e nella gratuità. Da una parte, nella gratitudine si instaura un rapporto di umile riconoscimento che tutto quello che si ha è dono della Provvidenza; dall’altra parte, nella gratuità si stringono legami di solidarietà che moltiplicano la gioia secondo il fattore della condivisione. Ciò che la cupidigia esclude, l’umiltà fa scoprire piacevolmente come benedizione della Provvidenza; ciò che l’avidità induce a possedere egoisticamente, la solidale generosità suggerisce di condividere.

La figliolanza e la fraternità non sono inutili utopie ma promesse che diventano realtà nella misura in cui ci si apre con la preghiera, l’Eucaristia in modo particolare, al Tu di Dio e si va incontro al noi della comunità mettendo a disposizione di tutti i carismi ricevuti con spirito di autentico servizio. Il possesso egoistico dei beni rende povero e arido il cuore, mentre l’umile e grata accoglienza dei beni si trasforma in generosa e solidale condivisione fraterna. L’uomo che rivendica la sua parte di eredità forse non era ricco e gli sarebbe tornato utile ricevere quello che gli spettava e che attendeva. La morale della favola non riguarda solo chi è nell’agiatezza ma anche chi è nella povertà perché può essere tentato dalla cupidigia nello stesso modo del ricco.

Non è la condizione economica che ci espone al pericolo o ci dà sicurezza ma il modo di essere interiore. Se infatti manteniamo il nostro cuore umile e povero allora non diventerà duro e insensibile ma intelligente nel cogliere la volontà di Dio, sensibile e compassionevole per andare incontro ai bisogni degli altri condividendo i beni ricevuti dalla mano di Dio. L’ammonimento diventa esortazione a rinunciare all’eredità mondana del peccato, che separa i fratelli contrapponendoli gli uni agli altri, ma a guardare con Gesù all’eredità del Cielo preparata per noi sin dall’origine del mondo, la comunione di vita con i Santi.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna