don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 20 Settembre 2020

Umili operai del vangelo e gioiosi testimoni della Misericordia

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

La liturgia della Parola di questa domenica si apre con l’esortazione del profeta Isaia a cercare il Signore mentre si fa trovare e a invocarlo mentre è vicino. A questo invito fa eco il Salmo 144 nel quale l’orante benedice Dio per la sua bontà e la sua misericordia; Lui è buono verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature e si fa prossimo a chiunque lo invoca con sincerità.

Le parole del salmista potrebbero adattarsi benissimo agli operai di cui parola il vangelo, protagonisti, insieme con il padrone di casa, della parabola narrata da Gesù. Il racconto all’inizio sembra descrivere una scena usuale nella quale il proprietario di una vigna ha bisogno di operai e va in piazza per cercarli. La particolarità sta nel fatto che il padrone esce ben cinque volte nell’arco di tutta la giornata e ingaggia gli operai i quali non vengono chiamati dopo una selezione ma sono direttamente inviati a lavorare nella vigna. 

È evidente che il padrone di casa sia Dio che vive in permanente stato di missione perché ogni tempo è quello giusto per incontrare gli uomini e per far loro la proposta di vita eterna. La proposta intercetta l’attesa degli uomini, così come il proprietario della vigna incontra il bisogno degli operai. Ciò che muove Dio ad andare incontro all’uomo e chiamarlo con sé non è una sua necessità, ma il bisogno più profondo dell’uomo stesso di dare senso al tempo della vita. Dio non soddisfa semplicemente i bisogni ma porta a compimento la vocazione di ciascuno. Infatti, gli operai, sia quelli della prima ora sia gli ultimi sono accomunati dal medesimo invito ad andare a lavorare nella vigna. Gli operai dell’ultima ora non erano stati scelti da nessuno e tutti li avevano scartati. Questi tali rappresentano gli uomini e donne che per tanti motivi non sono riusciti a realizzarsi nella vita e a concretizzare il loro desideri più profondi; pur avendo sogni e progetti non hanno trovato spazi e occasioni per valorizzare i loro carismi. Dopo una vita passata a girare a vuoto hanno incontrato il Signore che ha dato loro un senso per vivere. Essere ricompensati per primi vuole significare che Dio ha una preferenza verso gli ultimi, gli esclusi, gli emarginati. Agli occhi degli uomini non valgono nulla mentre agli occhi di Dio sono preziosi. 

Il racconto non lo dice, ma è facile immaginare lo stupore degli ultimi diventati i primi ad essere pagati. Non importa per quanto tempo hanno faticato e cosa hanno fatto, ma ricevono la ricompensa promessa a chi è stato ingaggiato sin dall’inizio. La meraviglia con la quale assistiamo ai miracoli quotidiani, lo stupore legato alla scoperta di un volto di Dio molto diverso dal sentito dire, permette di entrare più in profondità nel mistero del suo amore. Dio non ci tratta secondo i nostri meriti e non ci ripaga secondo le nostre colpe (Cf. Sal 102). 

Cercare il Signore significa desiderare di conoscerlo e amarlo di più, non più come schiavi ma come figli. San Paolo, parlando ai Filippesi, confida il suo imbarazzo nel seguire due desideri che sembrano contrapposti ma sono complementari: essere con Cristo oltre questa vita ed essere con i fratelli nella Chiesa e lavorare con frutto in questa vita. L’apostolo è uno di quegli operai chiamati a «lavorare nella vigna del Signore» dopo i Dodici, che invece hanno seguito Gesù fin dall’inizio. Eppure, quando ha incontrato il Signore sulla via di Damasco che lo chiamava alla salvezza, ha visto la sua vita trasformata radicalmente. Ha sperimentato la misericordia di Dio che, chiamandolo, lo ha liberato dalla schiavitù del peccato, quello dell’orgoglio e dell’autoreferenzialità. 

All’origine della fede non c’è una idea, ma l’incontro con Gesù, crocifisso e risorto, immagine visibile del Dio invisibile, Parola del Padre, carezza dello Spirito. Chi accoglie Gesù e risponde al suo invito a seguirlo nel cammino del discepolato vede cambiare l’orizzonte della propria vita e con esso anche la direzione dei propri desideri. In ogni evento della vita Dio si fa incontrare, perché non è il “totalmente altro” ma “l’assolutamente prossimo”. Dio ci ama così come siamo, ma non ci lascia come ci trova. Ci invita ad «abbandonare i pensieri iniqui» per imparare ad assumere il suo stesso pensiero. Il Signore ha per così dire un “pensiero fisso”: la vita e la felicità dei suoi figli. 

Lavorare con frutto nella vigna del Signore significa vivere la missione come la vive Dio. La fatica è fruttuosa se risponde alle istanze dei fratelli con i quali si condivide la comune figliolanza di Dio, la medesima vocazione alla gioia e lo stesso bisogno di essere aiutato e salvato. Dobbiamo evitare il pericolo di dimenticare quello che siamo, figli peccatori, e come siamo stati sanati dalla misericordia del Signore. Farne continua memoria nella preghiera di ringraziamento ci aiuterà a debellare la malattia dell’invidia che alimenta la ribellione a Dio e le lotte fratricide. 

La ricompensa che Dio promette agli operai non si misura in base alla quantità del lavoro svolto ma è il frutto della missione svolta con gli stessi sentimenti di Dio. Chi serve amando con lo stesso cuore di Gesù rimane gioioso anche nelle difficoltà. Anche la prospettiva della morte non fa paura perché chi è riconoscente a Dio per la sua misericordia altro non desidera che far sperimentare agli altri la stessa dolcezza che lui ha gustato nel perdono e la stessa forza che ha ricevuto quando, rifiutato e giudicato dagli uomini, ha trovato nella Chiesa rifugio e aiuto per ricominciare.

Auguro a tutti una serena domenica e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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