don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 20 Aprile 2020

Nella contemplazione il figlio apprende l’arte del vivere come il suo Dio

Lunedì della II settimana di Pasqua

Nicodemo è uno dei personaggi presenti nel Vangelo di Giovanni con il quale Gesù ha un dialogo di notte. Se il giorno è il tempo dell’azione e delle relazioni con gli altri, la notte è il tempo privilegiato della contemplazione e della relazione con sé stessi. La notte è il tempo della inattività, del non far nulla, del riposo, in senso biblico. Non si tratta di un ritiro dalla realtà, ma di abitarla per cogliere il senso di ciò che viviamo. Anche la nostra vita di fede deve necessariamente avere momenti di riflessione e pensamento. Pensare la fede è come decidersi di prendere il largo lasciandoci andare dopo aver tolto gli ormeggi che ci tengono legati al porto sicuro. Non si tratta di fare esplorazioni, ma un viaggio verso dove è più profondo, verso quei luoghi interiori che sono avvolti dal mistero e ci appaiono enigmatici. 

Come Nicodemo siamo discepoli di Gesù, lo riconosciamo maestro la cui sapienza viene da Dio, ne apprezziamo le parole e rimaniamo affascinati ascoltando i racconti dei suoi miracoli. La fede che si riduce a conoscenza libresca di Dio non è una vera fede, anche se si conosce molto di Lui. Nicodemo, facendo visita al maestro, dice a Gesù quello che sa di lui. Mi pare di intravedere in questa scena i nostri incontri di catechesi o di preghiera nei quali il grande assente è proprio Gesù, non perché non si parli di Lui, ma perché non si permette a Lui di parlare a noi e di noi.

La fede è innanzitutto una questione di visione. «Se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio … se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio». Gesù parla di vedere ed entrare nel regno di Dio che non è qualcosa di materiale da vedere con gli occhi e da raggiungere con le proprie gambe, cioè non è frutto di una propria ricerca e esercizio della volontà. Il regno di Dio è la parte più profonda e vera di noi stessi nella quale Dio è riconosciuto come nostro Padre e noi sentiamo la gioia di essere Suoi figli amati. 

La nostra vita si sviluppa in un arco di tempo nel quale ci esprimiamo attraverso ogni nostra azione che è frutto di scelta, per così dire, partorita dalla nostra volontà. Questo tempo è chiuso tra due parentesi, la nascita e la morte, che non dipendono da noi. Tutta la nostra vita si regge, come un quadro, agganciata a due eventi estremi e decisivi, la nascita e la morte, la cui origine non risiede nella nostra volontà ma nel mistero della volontà divina. Non siamo il prodotto del caso e neanche di una mente sovrana e ordinatrice, versione filosofica dell’intelligenza artificiale, ma siamo creature generate, non solo pensate, ma anche, e soprattutto, amate e volute. Solo chi ama vuole e quello che vuole lo genera. 

Sant’Agostino ha affermato: «Colui che ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te». È vero che la nascita e la morte non dipendono dalla nostra volontà, ma la nostra vita ha un senso se cerca, trova e si unisce a Colui che ci ha generati per amore. I nostri genitori sono stati i mediatori del dono della vita che oggi è posta nelle nostre mani perché in essa si compia la volontà di Dio. La salvezza è realizzare la nostra vocazione. Non si tratta di occupare posti, svolgere funzioni o ricoprire incarichi, ma diventare figli di Dio. Questo è il senso ultimo della nostra vita, questa la vocazione che appartiene a ognuno e che tutti accomuna. 

Nascere dall’alto significa lasciarsi rigenerare dall’azione dello Spirito che agisce misteriosamente. Lui è come il vento di cui si avverte la presenza ma che non si può gestire. È libero nella sua azione, ci fa nascere dall’alto, cioè ci rigenera, a partire dall’acqua del Battesimo, come figli di Dio. Nella preghiera di contemplazione, illuminati dallo Spirito, possiamo vedere Dio all’opera nella nostra vita e decidere di entrare a far parte del Suo regno con le nostre azioni. 

Domandiamoci se dedichiamo del tempo ad entrare in contemplazione, nella solitudine con noi stessi, e pensare la nostra fede senza compiere un’opera di giudizio. Ci poniamo in ascolto dello Spirito che ci fa gustare e gioire della libertà dell’amore di Dio verso di noi? La nostra azione è frutto della contemplazione? I nostri sforzi per creare il futuro nascono dalla disponibilità a farsi generare dallo Spirito di Dio che rinnova la nostra fiducia, la speranza e la carità?

Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!


Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
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