don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 2 Ottobre 2022

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l servizio obbediente, sostegno della fede vacillante

Nelle domeniche precedenti abbiamo ascoltato un lungo discorso di Gesù fatto di molte allegorie e parabole. Attraverso di esse Gesù evangelizza rivelando il volto del Padre la cui bellezza traspare dal suo atteggiamento misericordioso soprattutto nei confronti dei poveri e degli esclusi. 

Alla luce della Pasqua i discepoli comprendono che il pastore coraggioso, la donna decisa, il padre paziente, l’amministratore scaltro, il povero Lazzaro è Gesù, il figlio sul cui volto risplende la gloria di Dio, che va in cerca di chi si è smarrito, accoglie e riabilita il figlio che ritorna, rinuncia a ciò che gli spetterebbe di diritto per guadagnare in amici, si fa mendicante dell’amore e accoglie tutto come un dono. 

Questo volto di Dio è molto distante da quello che alcuni farisei e dottori della legge hanno in mente e nel cuore e mostrano con il loro atteggiamento. La parola di Gesù risuona oggi nella nostra chiesa che è sempre tentata dall’assumere il punto di vista farisaico inficiato dalla mentalità commerciale del dare-avere. 

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L’insegnamento di Gesù, fin sulla croce e a partire dalla tomba vuota, vuole rompere lo schema logico che inquadra ogni cosa secondo il criterio del merito e della colpa, del premio o della punizione. Questa logica distorce l’immagine di Dio e crea le più grandi ingiustizie, le stesse che sono lamentate dal profeta Abacuc nella prima lettura. 

La misericordia che Gesù richiama continuamente è l’anima della fiducia che Dio ha nei nostri confronti. Non è Dio ad essere distante, assente o silenzioso, ma è l’uomo che non riesce a cogliere il suo stile di prossimità. Trasferendo i suoi pensieri e le sue attese in Dio, l’uomo si crea un idolo che giocoforza, al momento in cui è invocato, non è capace di essere vivo e farsi presente.

I discepoli recepiscono quanto distante sia il loro modo di pensare da quello di Gesù, perciò gli chiedono: aumenta la nostra fede! Probabilmente gli apostoli richiedono un surplus d’intelligenza per comprendere la logica nuova indicata da lui. La prima lettura ci offre una chiave di lettura per comprendere più profondamente la richiesta dei discepoli. Essi, come il profeta Abacuc, rivolgono una preghiera. La supplica si eleva da un cuore e una mente confusi. Il profeta, portavoce del turbamento del popolo che proietta in Dio il suo senso di giustizia, non comprende perché non intervenga prontamente contro i malvagi dando loro la punizione che si meritano. I discepoli, parimenti, hanno difficoltà ad accettare la pedagogia di Gesù che invita ad accogliere i peccatori, anzi a cercarli, ad abbracciarli, a conquistarli con la benevolenza, a perdonarli ogni volta che riconoscendosi colpevoli, chiedono pietà. Le parole del profeta sembrano una sfida lanciata verso il Dio silenzioso e apparentemente assente. Quelle dei discepoli esprimono la consapevolezza della loro povertà. La preghiera dell’uno e degli altri rivela la loro fede sebbene debole come una fiammella che Gesù però riconosce anche potenzialmente feconda. 

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La risposta di Dio nella prima lettura è duplice: il male ha un limite ed esso è posto dal bene che gli uomini possono fare. Nella risposta che Gesù dà ai suoi discepoli troviamo maggiore completezza della parola profetica. Gesù aveva già invitato a vedere il peccatore oltre il peccato, il fratello oltre la trasgressione della legge per desiderare di costruire o ricostruire una relazione personale. 

Gesù in un dittico indica cosa sia la fede e come la si vive. La prima icona è tratta dalla natura con le immagini del granello di senapa e l’albero del gelso o del melograno, la seconda è presa dal mondo domestico e agricolo in cui si mette in evidenza il rapporto che c’è tra il servo e il padrone. 

La fede dei discepoli, anche se messa alla prova dalle ingiustizie, dalle difficoltà incontrate nella vita e nella missione, è un dato di fatto perché è dono di Dio. La consapevolezza di avere una piccola fede e segno che si ha la fede dei piccoli, di quelli cioè che, coscienti di non bastare a sé stessi, chiedono l’aiuto di Dio. È la fede dei piccoli che può fare cose che la presunta fede dei grandi non riuscirebbe a fare. La fede dei piccoli si apre all’azione di Dio che è capace di fare quello che da soli non riusciremmo. L’albero dalle profonde radici indica le abitudini mentali e pratiche da cui è difficile staccarsi. I discepoli sanno che da soli non riuscirebbero a cambiare mentalità e sradicare quel modo di pensare, di parlare e di agire mondano, anche se religioso, che viene denunciato e stigmatizzato da Gesù nell’insegnamento offerto precedentemente. 

L’uomo che riconosce di essere schiavo di sé stesso e dell’egoismo, che ha messo radici profonde nel suo cuore, con il dono della fede impara innanzitutto ad essere padrone di sé e con l’esercizio della carità verso sé stesso diventa veramente libero. La fede è comunione con Gesù in modo tale che non solo agiamo come Lui, ma agiamo con Lui. Solo ciò che è fatto con Dio realizza l’impossibile. Nessuno si rende libero da sé, ma la vera libertà si conquista vivendo in comunione con Cristo l’unico vincitore sul peccato e sulla morte.

La seconda parte del dittico descrive una situazione comune all’epoca in cui un padrone normalmente possiede dei servi che lavorano nei campi e in casa. Il rapporto tra il padrone e il servo non è di scambio di favori. Il servo, in quanto tale, non si aspetta dal padrone che lo accolga per servirlo a tavola quando ritorna dal campo, ma sa, che finito un servizio lo aspetta un altro. Il servo ancora non si aspetta che il padrone gli dica grazie. Un servo vive serenamente la sua funzione quando accetta di stare al suo posto e vive il suo servizio non ambendo a essere qualcos’altro rispetto a quello che è. L’accettazione serena di sé inibisce qualsiasi desiderio di riscatto o l’ambizione che scatena competizioni e liti.

Il servizio gratuito e senza pretese interessate da una parte fa crescere la fede, intesa come libertà interiore e padronanza di sé, e dall’altra innesca un meccanismo virtuoso per cui il servizio quotidiano, silenzioso e ordinario fatto con gratuità e generosità ha la forza di abbreviare il tempo del male e attutisce o risana le ferite causate dall’ingiustizia.

La fede dei piccoli, dunque, rende autorevoli padroni di sé e servi, umili e generosi, dei fratelli.

Servi inutili (gratuiti) per non essere inutili uomini 

Gli apostoli un giorno chiedono a Gesù: «Accresci in noi la fede!» e lui, di rimando, risponde che basta la fede grande quanto un granello senape per comandare ad un albero di gelso di sradicarsi e piantarsi nel mare venendo obbediti. È un’immagine paradossale che ben dice il valore della fede, quella vissuta nella vita di tutti i giorni, quella che non viene sfoggiata in eventi straordinari, ma che quotidianamente genera la carità e sostiene la speranza. La fede è la relazione personale con Dio che, come qualsiasi rapporto umano importante, cresce e matura nella misura in cui la si cura. La fede è l’esperienza dell’incontro con Dio che mi cambia perché, nel dialogo con Lui, il Signore mi plasma e mi crea a sua immagine e somiglianza, al punto che, come affermava S. Paolo, «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me». 

Domandare una fede più grande significa chiedere di diventare come Gesù, Maestro perché discepolo del Padre, Signore perché servo dell’uomo. Lui ci mostra come l’autorevolezza della sua parola, con la quale scaccia i demoni, guarisce gli infermi, annuncia il Vangelo e converte, gli viene dal suo amore per Dio e per gli uomini e si traduce in servizio.

La fede di Gesù sostiene la sua speranza anche quando non comprende il senso di ciò che gli accade, soprattutto dell’opposizione che incontra nella sua opera, e rigenera continuamente la sua carità confermando l’obbedienza al Padre e la prossimità ai fratelli. 

Come quella di Gesù, anche la nostra fede cresce con l’incontro con il Signore, nell’ascolto della sua Parola, nella celebrazione dei sacramenti, nella fraternità. Così, la nostra fede, maturando poco alla volta, ci rende consapevoli del fatto che ogni gesto d’amore è un servizio offerto a Dio e un dono ai fratelli. L’ascolto e l’interiorizzazione della Parola di Dio e il contatto con Lui nei sacramenti ci permette di tradurre la fede in carità operosa il cui fine non è l’utile personale o l’ottenimento di qualche forma di gratificazione ma semplicemente la gloria di Dio che risplende nell’uomo che vive. 

Quando avremo regalato un sorriso ad un fratello o una sorella tirandoli fuori dalla solitudine e dalla tristezza, quando avremo fatto scoprire, attraverso la mitezza e la gioia, la bellezza del servizio gratuito, avremo permesso loro di prendere in mano la propria vita, non per usarla e poi buttarla via come un limone spremuto, ma per farne un capolavoro. 

Signore Gesù, modello di uomo libero, grazie perché cammini in mezzo a noi sulla via dell’esodo in cui veniamo sradicati dalla terra arida della schiavitù del peccato per essere trapiantati nel giardino del Tuo Regno. Tu che hai piantato il seme della tua Parola nel nostro cuore fa anche che cresca affinché porti frutti di carità autentica. Dilata i confini dell’animo nostro fino a tendere agli infiniti orizzonti della tua misericordia. Rendici magnanimi perché nell’obbedienza alla tua volontà si superino le barriere mentali del pregiudizio che ci separano e ci contrappongono gli uni agli altri. Accresci in noi la fede per fare insieme a Te cose grandi. Insegnaci a non misurarci con i parametri umani basati sul criterio dell’utile, ma a valutarci confrontandoci con Te che, per farci adulti, ti sei fatto bambino, per restituirci la libertà ti sei fatto servo, per donarci la gioia della vita l’hai offerta al Padre con fiducia e speranza.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
FonteMater Ecclesiae Bernalda
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]