Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Abbracci benedicenti
Il vangelo di Luca racconta alcuni aneddoti significativi dell’infanzia di Gesù che sono rivelativi della sua identità messianica. Il bambino, in quanto maschio primogenito della giovane coppia di sposi, «è sacro al Signore», come afferma la legge del Signore. Il gesto liturgico che Giuseppe e Maria si apprestano a fare nel tempio di Gerusalemme vuole riconoscere, attraverso la presentazione del bambino al tempio e il sacrificio di una coppia di tortore o due giovani colombi, che il loro primo figlio maschio è figlio di Dio.
Agli occhi dei coniugi di Nazaret il bambino Gesù è il dono attraverso il quale Dio si mostra loro come Padre. Il figlio è il segno visibile con cui Dio si fa presente nella famiglia umana. Gesù, figlio di Maria e Giuseppe e figlio di Dio, è il punto in cui s’incontrano il cielo e la terra e avviene lo scambio dei doni: Dio dona suo Figlio agli uomini e i genitori donano il loro figlio a Dio.
Quel rito è un atto di fede come quello che Abramo compì sul monte Moria quando offrì in sacrificio suo figlio Isacco. Anche in quel caso il Patriarca obbedì alla legge del Signore interpretando alla lettera e nella maniera più esigente la sua parola: «fai salire per il sacrificio tuo figlio, l’unico, quello che ami» (Gn 22). Con quel gesto Abramo sulla vetta del monte raggiunge il punto più altro della sua fede. Lì il suo cuore diventa trasparenza dell’amore Dio che per gli uomini sacrifica Suo Figlio, l’Unico, l’Amato. Nell’offerta del figlio Isacco Abramo diventa profeta del dono di amore che Dio offre nel sacrificio di Gesù sulla croce.
Il filo rosso dell’amore di Dio lega gli eventi della salvezza che vanno dalla Genesi all’Apocalisse. Nell’offerta che Gesù fa di sé al Padre per la salvezza degli uomini si scorge un abbraccio, ovvero l’incontro tra braccia. Ci sono le braccia di Maria e Giuseppe, come quelle di Abramo, che innalzano verso l’altare il loro figlio Gesù. Esse sono profezia delle braccia della croce, segno di quelle di Dio Padre, dalle quali è presentato e offerto al mondo il Cristo, il Figlio di Dio.
Lo Spirito Santo fa «sentire» a Simeone la stessa gioia di Dio quando ci accoglie tra le sue braccia misericordiose. È l’abbraccio benedicente di Dio! Quando l’uomo benedice Dio accoglie la sua benedizione e diventa lo strumento della sua diffusione.
Nell’eucaristia si rinnova questo abbraccio in cui si incrociano le mani e s’incontrano i cuori, nostri e di Dio. Nel pane e nel vino posti sull’altare presentiamo a Dio tutta la nostra vita, le gioie e le fatiche di tutti i giorni. La offriamo a Dio con gratitudine e fiducia perché lo Spirito Santo, unendoci al sacrificio di Cristo, faccia della nostra vita un dono d’amore.
L’eucaristia ci educa ad abbracciare la nostra croce quotidiana e in essa a lasciarci abbracciare da Dio. Come quelle della croce, anche le braccia del Padre sono sempre aperte ad accogliere la nostra preghiera fatta con forti grida e lacrime e prodighe nell’offrire consolazione. Così le nostre braccia, come quelle di Maria e Giuseppe e dello stesso Gesù sulla croce, seppure indebolite dal peso delle prove, s’innalzino per offrire la preghiera a Dio di lode e di supplica. Il nostro abbraccio sia anche tenero come quello di Simeone e benedicente come quello del Padre.
Benedetto sei Tu Signore, perché dalla tua mano ricevo ogni giorno la vita, con gioie e fatiche. Accetta l’offerta della mia lode e della mia supplica che depongo sull’altare del mio cuore innalzato verso di Te. Non ho altro da offrirti se non la mia povera umanità, quella che Tu stesso hai assunto facendoti uomo come me. Abbracciami, come un padre fa col proprio figlio e benedicimi con il dono del Tuo Spirito. La tua misericordia spalanchi le mie braccia perché possano consolare chiunque si trova nell’afflizione ed essere rifugio per chi si è smarrito.