Sabato della III settimana di Quaresima
Os 6,1-6 Sal 50
O Dio, nostro Padre,
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che nella celebrazione della Quaresima
ci fai pregustare la gioia della Pasqua,
donaci di contemplare e vivere
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i misteri della redenzione
per godere la pienezza dei suoi frutti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del profeta Osèa Os 6,1-6
Voglio l’amore e non il sacrificio.
«Venite, ritorniamo al Signore:
egli ci ha straziato ed egli ci guarirà.
Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà.
Dopo due giorni ci ridarà la vita
e il terzo ci farà rialzare,
e noi vivremo alla sua presenza.
Affrettiamoci a conoscere il Signore,
la sua venuta è sicura come l’aurora.
Verrà a noi come la pioggia d’autunno,
come la pioggia di primavera che feconda la terra».
Che dovrò fare per te, Èfraim,
che dovrò fare per te, Giuda?
Il vostro amore è come una nube del mattino,
come la rugiada che all’alba svanisce.
Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti,
li ho uccisi con le parole della mia bocca
e il mio giudizio sorge come la luce:
poiché voglio l’amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più degli olocàusti.
Fede evanescente
L’ipocrita presume di poter ingannare Dio pronunciando parole che solo all’apparenza esprimono la fede ma che in realtà nascondo ben altre intenzioni. I riti possono essere forme stereotipate di devozione a cui non corrisponde un cuore veramente desideroso di fare la volontà di Dio. Quella di Osea è una lamentela nella quale Dio si sente preso in giro come se gli risultassero graditi gli elogi e le lodi. Più che le forme esteriori Dio guarda l’interiorità dell’uomo e il suo impegno nel mettere in ogni opera la misericordia. All’esteriorità, spesso accompagnata dall’ostentazione di forme di religiosità tutt’altro che sobrie, Dio preferisce l’intimità e la semplicità grazie alle quali più direttamente la grazia divina raggiunge il cuore dell’uomo e lo trasforma. La grazia di Dio non si conquista a suon di parole ma accogliendo con umiltà la parola del perdono per offrirla a propria volta ai fratelli. L’amore a Dio che si ferma alle sole attestazioni verbali è come rugiada che svanisce al primo sole. Una fede devozionale, fatta di riti tradizionali, che esclude l’incontro con la Parola e la carità fraterna oltre ad essere inutile è anche dannosa perché non fa crescere chi la pratica o addirittura lo fa regredire sul piano spirituale e umano.
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 18,9-14
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Lasciarsi amare senza vergogna
La differenza tra i due uomini che salgono al tempio a pregare non consiste nei loro meriti o nelle loro colpe, ma nel riconoscersi peccatore e bisognoso della misericordia di Dio. Il fariseo, stando ritto con il petto in fuori, si rivolge a Dio alla stessa stregua di chi si mette davanti allo specchio vantandosi orgogliosamente delle proprie opere buone. L’uomo, presuntamente religioso, non si accontenta di esaltare sé stesso ma, per apparire il migliore, si paragona al pubblicano e lo disprezza credendo di uscire vincitore dal confronto. In realtà ritorna a casa sconfitto perché Dio non guarda l’apparenza ma il cuore. Il Signore gradisce la preghiera del pubblicano perché nel suo cuore, al contrario di quello del fariseo, c’è spazio per lui.
Il disprezzo, che il fariseo ha nei confronti del fratello, rivela il peccato di orgoglio che tenta di nascondere attraverso la preghiera di ringraziamento e l’elenco delle buone opere. Così facendo egli si scherma impedendo alla grazia di Dio di giustificarlo. Del pubblicano non sappiamo nulla se non ciò che ci accomuna, ovvero il fatto di essere peccatore. La sua preghiera umile ci offre un esempio di stile di vita. Davanti a Dio non è necessario fare l’elenco né dei meriti né delle colpe, ma bisogna starci come ci si espone ai raggi del sole per goderne i suoi benefici.
La vita si gioca sull’umiltà di spogliarsi della vergogna e lasciarsi amare!
Leggi la preghiera del giorno.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“