Destinazione Paradiso – I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B) – Lectio divina
Dal libro della Gènesi Gen 9,8-15
L’alleanza fra Dio e Noè liberato dalle acque del diluvio.
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra».
Dio disse:
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«Questo è il segno dell’alleanza,
che io pongo tra me e voi
e ogni essere vivente che è con voi,
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per tutte le generazioni future.
Pongo il mio arco sulle nubi,
perché sia il segno dell’alleanza
tra me e la terra.
Quando ammasserò le nubi sulla terra
e apparirà l’arco sulle nubi,
ricorderò la mia alleanza
che è tra me e voi
e ogni essere che vive in ogni carne,
e non ci saranno più le acque per il diluvio,
per distruggere ogni carne».
L’alleanza di pace
Dopo l’evento del diluvio, segno profetico del dramma dell’esilio che avrebbe ridotto Israele ad un piccolo resto, Dio stabilisce una nuova alleanza con Noè e tutti coloro che avevano attraversato la prova nell’arca. È un’alleanza unilaterale nella quale non ci sono clausole o condizioni ma solamente il solenne impegno di Dio a favore della vita, in tutte le sue forme.
L’arcobaleno diventa il simbolo della pace, ovvero della promessa di Dio di ricercare sempre la riconciliazione rinunciando a qualsiasi diritto di rivalsa contro chi viene meno all’alleanza. L’arcobaleno, facendosi spazio tra le nubi minacciose cariche di pioggia che evocano il pericolo di ritornare nel caos, rivela l’intenzione di deporre le armi e ogni forma violenta di imposizione della sua volontà e della giustizia.
Il segno, posto tra cielo e terra, diventa memoriale per tutti: per Dio, affinché rinnovi costantemente la sua scelta ispirata alla misericordia e per gli uomini perché ricordino che l’unica verità credibile e affidabile è l’amore di Dio. Il Creatore si rivela non come un sovrano che punisce per educare il suo popolo ma come un padre e una madre che forma i suoi figli alla scuola della carità.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 1Pt 3,18-22
Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi.
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua.
Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Il battesimo
L’apostolo Pietro fa una catechesi battesimale mettendo in parallelo l’evento della Pasqua e quello del diluvio. Gli eventi narrati nell’Antico Testamento trovano il loro compimento in Gesù Cristo. L’obbedienza di Noè anticipa quella di Gesù il cui sacrificio genera una nuova fecondità di vita. L’evento della Pasqua si colloca tra i fatti narrati nella Scrittura veterotestamentaria che riguarda le origini e il battesimo che segna l’inizio della vita nuova in Cristo. I segni sacramentali sono portatori dell’annuncio della salvezza. La concretezza del linguaggio sacramentale dice che la salvezza non è una verità astratta ma la reale azione di Dio che tocca e trasforma la vita di chi accoglie la parola di Gesù. La vicenda di Noè aiuta a comprendere ciò che è iniziato ad accadere con la Pasqua di Cristo e che si rinnova nel sacramento del Battesimo. L’alleanza stipulata da Dio con Noè profetizza quella nuova ed eterna sancita col sangue di Cristo ed attualizzata nel battesimo. Pietro ricorda ai cristiani, soprattutto quelli che attraversano la prova della persecuzione e delle varie forme di tentazione, che il passaggio nell’acqua del battesimo li ha introdotti nella condizione di figli di Dio da cui non decadono mai, neanche con il peccato. Perciò c’è sempre una via in cui la salvezza, anche quella che sembra perduta a causa del peccato, può essere recuperata insieme alla riconciliazione con Dio e i fratelli.
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 1,12-15
Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Lectio
Subito dopo il battesimo al Giordano, in cui lo Spirito Santo è sceso su Gesù al quale la voce del Padre si rivolge chiamandolo Figlio l’amato, lo stesso Spirito Santo lo spinge nel deserto. La descrizione che fa l’evangelista non è la banale cronaca di un fatto, ma è una narrazione che assomiglia ad un piccolo dipinto che funge da chiave di lettura di tutto il racconto evangelico.
Il soggetto attivo della prima frase è lo Spirito Santo ad indicare che Gesù è condotto da una forza interiore che determina la direzione del suo cammino. Il verbo «spingere» è al presente per indicare un’azione duratura nell’oggi. Il deserto è menzionato due volte ad indicare l’importanza che riveste nella scena. Non si tratta solo di un luogo fisico ma essenzialmente della condizione umana. Marco, usando le immagini della tradizione d’Israele, sia antica che quella a lui contemporanea, descrive sinteticamente la missione di Gesù sottolineando che egli è un profeta, inviato di Dio, mosso dallo Spirito Santo, per vivere totalmente e pienamente l’esperienza umana e per compiere la volontà di Dio. Gesù è presentato come il nuovo Adamo che non ristabilisce semplicemente una condizione paradisiaca come è sognata dagli uomini, ma inaugura per l’uomo una via nuova che conduce al vero paradiso, a vivere la condizione di risorti. Il deserto, quaranta giorni e la prova ad opera di Satana richiamano senza dubbio la storia d’Israele.
Il deserto rievoca il cammino dell’Esodo. Luogo nel quale è l’uomo che mette alla prova Dio spesso accusandolo di essere la causa della sua rovina. La mancanza di cibo e di acqua fanno gridare contro Dio il quale sempre prontamente interviene. Il Deuteronomio invita a ricordare tutto il cammino che Dio ha fatto fare nel deserto ad Israele per quarant’anni. Lo ha condotto nel deserto, non per abbandonarlo, ma per guidarlo attraverso di esso in modo tale da essere pronto per entrare nella terra promessa e averne il possesso. Nel deserto Dio si è fatto compagno di strada dell’uomo affinché il suo cuore potesse essere libero dal peccato per imparare ad amarlo e amare anche i fratelli. Il deserto non è solo il luogo del pericolo in cui si potrebbe soccombere sotto il peso delle difficoltà superiori alle sole forze umane, ma è soprattutto la cifra simbolica dell’esperienza dell’amore di Dio che si prende cura della sua creatura. Senza Dio l’uomo rimane solo con sé stesso e muore, con Dio egli si salva perché si lascia amare da Lui. Questo è l’invito che Dio rivolge ad Israele la sua sposa infedele che preferisce inseguire gli idoli piuttosto che seguire il suo Sposo.
Nel Vangelo di Marco il deserto è lo spazio della preghiera personale e dell’incontro intimo col Padre dal quale lasciarsi istruire sulla via della vita (1,35; Sal 24), il luogo in cui condividere la sorte con gli emarginati (1,45), riposarsi con i discepoli (6, 31-32) e della solidarietà moltiplica i pani e sfama la moltitudine.
Il numero quaranta è ricco di suggestioni bibliche perché indica il tempo dell’oppressione che è misurato ed ha quindi un termine: quaranta giorni dura il diluvio (Gn 7,12), quaranta anni il dominio dei Filistei di Israele (Giud. 13,1). Quaranta è la cifra simbolica dell’arco di tempo nel quale si sviluppa il cammino della salvezza: quarant’anni del pellegrinaggio d’Israele nel deserto (Es 16,35; Dt 8,2-4), i quaranta giorni di Mosè sul Sinai (Es 34, 28), il cammino di quaranta giorni di Elia (1 Re 19,8).
Per Gesù i quaranta giorni è la cifra simbolica che indica tutto il suo cammino insieme agli uomini per condividere con essi la prova, ovvero sostenerli nella lotta continua contro Satana che tenta in ogni modo di ostacolare e deviare il cammino della salvezza. Satana è l’artefice dello scandalo, cioè di ogni forma di resistenza all’azione salvifica di Dio. Pietro viene chiamato satana perché cerca di far desistere Gesù dal continuare il suo cammino verso Gerusalemme e portare a compimento la volontà di Dio. Il verbo «mettere alla prova» è usato da Marco altre tre volte ed è sempre riferito all’opposizione dei farisei che chiedono conto a Gesù di qualcosa che riguarda il suo insegnamento oppure un segno che confermi la sua presunta autorità nell’ammaestrare. Gesù non entra in dialogo con Satana quando lo istiga a manifestare con segni prodigiosi la sua identità divina, al contrario lo zittisce oppure gli volta le spalle e continua per la strada sulla quale lo Spirito Santo lo conduce.
«Stava con le bestie e gli angeli lo servivano». Anche questa immagine con i verbi all’imperfetto ha il significato di un piccolo sommario che funge da chiave di lettura di tutto il racconto evangelico. Marco risente della tradizione ebraica del I sec. d. C. e rintracciabile in alcuni scritti apocrifi. Il riferimento alle bestie selvatiche e agli angeli che servono è da inquadrare nel contesto del tema paradisiaco presente in Gn 2,9 e ripreso nella visione profetica di Isaia (11,6-9) in cui si descrive la condizione pacifica che si realizza quando si instaura la comunione tra Dio e l’uomo.
La prima lettura, tratta dal Genesi (9, 8-15), aiuta a comprendere il significato teologico delle immagini impiegate dall’evangelista Marco. Dio sancisce in maniera unilaterale l’alleanza con l’uomo e con tutta la creazione ponendo come segno l’arcobaleno che indica la scelta di Dio di deporre le armi della vendetta e impegnarsi nella fedeltà al suo giuramento d’amore. Il peccato dell’uomo mette in crisi la relazione con Dio, ma mina alla base anche l’armonia con le altre creature. Gesù è il segno di Dio che sta in mezzo agli uomini per ristabilire con loro un rapporto di comunione che si regge non sul rispetto formale della legge, ma sull’amore che si fa servizio. Il verbo servire descrive il modo con cui Dio interpreta l’alleanza con l’uomo. Infatti Gesù dice: «Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti» (10,35). Il servizio è ciò che contraddistingue gli uomini che vivono la vita divina, la vita risorta, la vita dello Spirito.
San Pietro nella sua prima lettera spiega che il Figlio di Dio incarnandosi è sceso fino agli inferi dove sono le anime prigioniere del peccato per annunciare loro la salvezza e inaugurare nel deserto, in cui Satana sembra avere il dominio, la via per il ritorno al Padre.
MEDITATIO
Destinazione Paradiso
Giovanni Battista battezzava nel deserto (Mc 1, 4) e lì Gesù lo raggiunge per farsi battezzare da lui nel fiume Giordano (Mc 1, 9). Il battesimo di Gesù è il momento in cui viene consacrato da Dio. Avviene una liturgia nella quale lo Spirito Santo scende su di lui e la voce del Padre gli rivela la sua vocazione: «Tu sei il Figlio mio, l’amato». È quello che avviene anche nel nostro battesimo! Dio ci dona il suo Spirito per diventare tutti figli suoi. È dunque questa la nostra vocazione, ovvero la meta del nostro cammino esistenziale. Gesù, il Crocifisso Risorto battezzato nel Giordano, rappresenta ogni uomo con il quale Dio vuole stipulare una nuova alleanza, non fondata sul dovere e i precetti, ma sull’amore. Dio vuole essere Padre e Madre per l’uomo e spera che ogni uomo voglia essere figlio suo. Nella prima lettura (Gn 9, 8-15) Dio parla con Noè, salvato dalle acque del diluvio, immagine del nostro battesimo, per annunciargli la sua intenzione. Parla del segno dell’alleanza basata sulla sua misericordia. Il segno è l’arcobaleno che indica la rinuncia al male e alla vendetta ed è il simbolo del suo amore fedele per il quale s’impegna verso l’uomo ad usare solo il bene. È Gesù il segno dell’alleanza di Dio. Egli viene in mezzo agli uomini per mostrare di Dio il volto della misericordia, del Padre che nutre nel deserto i suoi figli (Os 11) e dello Sposo che sempre nel deserto sposa la sua amata (Os 2-3).
Gesù è il vero profeta di Dio perché annuncia la sua parola, si fa prossimo all’uomo non per giudicarlo e condannarlo, ma per liberarlo dal male, guarirlo dalla incredulità e guidarlo sulla via della libertà. Gesù, spinto nel deserto, si fa povero con i poveri. Nel deserto manca tutto, ma è proprio lì che sperimenta che Dio è tutto per lui; può vivere solo se accetta di lasciarsi amare e condurre da Dio. Come Dio rinuncia alla vendetta e pone le condizioni per una nuova vita, così l’uomo deve pentirsi (convertirsi), ovvero sgomberare il cuore dai desideri di possesso per fare spazio nel cuore allo Spirito di Dio che guida sulla via della salvezza.
I quaranta giorni nel deserto sono la cifra simbolica di tutta l’esistenza umana che si snoda lungo il cammino terreno. Dove ci portano i nostri passi? Quale è la meta del nostro cammino? Lo Spirito Santo ci offre la speranza, ossia il senso e l’indirizzo verso cui puntare. Satana offre prospettive esaltanti, il successo, il possesso, il piacere. Sono miraggi alimentati dall’egoismo e dall’autoreferenzialità. Satana mette al centro il proprio io ed esalta il benessere individuale. Dio indica un altro obbiettivo: l’alleanza, la relazione con l’altro. Si tratta di una relazione d’amore che mette la propria persona a servizio del bene dell’altro senza annullarsi.
Sempre siamo posti davanti al bivio: chi vuoi essere, uomo secondo Satana o secondo Dio? Ogni scelta determina la meta del nostro cammino, la vita o la morte. Vivere significa amare come Gesù che «è morto una volta per sempre, giusto per gli ingiusti» (1Pt 3,18). Satana ci fa continuamente deviare dal cammino della fede. L’unico modo per tenerlo a bada è lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio. Solo per mezzo suo sconfiggiamo la diffidenza e ci fidiamo di Dio, combattiamo la paura e ascoltiamo la sua Parola, vinciamo l’egoismo e diventiamo come Gesù, il Cristo, che è venuto per servire e dare la sua vita.
Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera
Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna“