don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 18 Dicembre 2022

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Dal libro del profeta Isaìa (Is 7,10-14)

Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».

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Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».

Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Il profeta Isaia, pur essendo un profeta che è alla corte del re, non viene consultato dal sovrano che invece preferisce agire autonomamente da Dio in maniera autoreferenziale. Il re Acaz, della dinastia di Davide, viene sollecitato dal profeta a entrare in dialogo con Dio che è pronto a comunicare con lui mediante un segno. Il sovrano oppone un rifiuto giustificandolo ipocritamente col rispetto del primo comandamento che impone di tentare Dio. in realtà anche con l’indifferenza si esclude Dio dalla propria vita. Il peccato del rifiuto di Dio è grave tanto quello della sua strumentalizzazione a cui Acaz dice di rinunciare. La relazione con Dio può dirsi morta, ma il profeta annuncia ciò che Dio ha intenzione di fare, nonostante l’indegnità del suo re: gli darà un figlio. Il suo nome sarà Emmanuele perché Dio è (sempre) con noi. Il segno che Dio offre non è il “miracolo” della vergine che concepisce e partorisce un bambino, ma è la vita che vince sulla morte ad indicare che la speranza si fonda sull’amore fedele di Dio che genera e sostiene la fede in Lui. Acaz più che resistere a Dio deve arrendersi al suo amore. Nella misura in cui crederà nel suo amore il suo regna sarà saldo e il suo ministero fecondo.

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Sal 23

Ecco, viene il Signore, re della gloria.

Del Signore è la terra e quanto contiene:

il mondo, con i suoi abitanti.

È lui che l’ha fondato sui mari

e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?

Chi potrà stare nel suo luogo santo?

Chi ha mani innocenti e cuore puro,

chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,

giustizia da Dio sua salvezza.

Ecco la generazione che lo cerca,

che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Il Salmo 23 è un inno in cui si professa la fede nel Dio creatore al quale appartiene il mondo intero e chi lo abita. Ha reso il mondo abitabile, la creazione è la casa nella quale l’uomo abita, non per esserne il padrone assoluto, ma per custodirlo in obbedienza al comando-benedizione ricevuto dal Signore. L’uomo è chiamato non solamente ad abitare il mondo ma a fare casa con Dio che lo invita a salire verso il tempio e fare comunione con lui. La preghiera di contemplazione è una forma di preghiera che si coniuga con la giustizia sociale. La comunione con gli uomini è l’altra faccia inscindibile della comunione con Dio. La mitezza, la rettitudine nelle intenzioni e il timore di Dio sono le condizioni per le quali l’uomo può crescere nell’amore a Dio e ai fratelli.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 1,1-7)

Gesù Cristo, dal seme di Davide, Figlio di Dio.

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

Paolo inizia la lettera indirizzata alla comunità di Roma presentandosi come il servo di Gesù Cristo. Il ministero di Paolo nasce dall’incontro con Gesù, il crocifisso risorto, generato da donna come giudeo e “rigenerato” dallo Spirito Santo nella risurrezione che lo ha costituito Messia. L’incontro con Gesù ha segnato anche il passaggio di Paolo dall’essere circonciso nella carne e all’essere una nuova creatura in Cristo. L’apostolato è interpretato da Paolo come ministero generativo affinché chiunque accoglie l’annuncio del Vangelo possa sperimentare l’amore di Dio che interpella la coscienza e suscita l’amen con il quale il fedele pone la sua vita a servizio del regno di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 1,18-24)

Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Il Vangelo di Matteo si apre con la «genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (1,1). Si tratta di una lunga lista di uomini che va dal primo patriarca a Giuseppe, figlio di Giacobbe, presentato come lo sposo di Maria (1,16). L’evangelista traccia una sorta di sentiero nella storia d’Israele suddivisa in tre grandi fasi, ciascuna composta da quattordici generazioni. La prima va da Abramo a Davide, la seconda da Davide fino all’esilio in Babilonia e, in fine, la terza da Babilonia a Cristo.

La strategia narrativa mira a ripercorrere tutta la storia d’Israele sottolineando l’intreccio tra l’opera di Dio e quella dell’uomo. Le vicende storiche narrate dai libri biblici, e riassunte nella genealogia, rivelano quanto sia importante per la vita del popolo il dialogo con il Signore. L’obbedienza è condizione di crescita, mentre la disobbedienza è causa di fallimento. Infatti, quando la parola di Dio viene accolta e messa in pratica, soprattutto dai suoi capi, il popolo cresce e si fortifica. La storia registra una parabola ascendente che fa di un piccolo clan nomade, guidato da Abramo, un regno governato dal re Davide.

Come accade a tutti i regni, anche quello d’Israele entra in crisi. La supera nella misura in cui riconosce che solo Dio è il Signore e che il suo regno non avrà fine perché sarà dato in mano al suo consacrato. Dopo la fase crescente e quella decrescente fino quasi a sparire, viene quella del compimento della promessa che Dio aveva fatto ad Abramo e confermata a Davide. L’evangelista vuole dimostrare che Gesù è il Cristo atteso, che porta a compimento l’impegno preso da Dio con le generazioni precedenti. La fedeltà di Dio diventa evento grazie all’obbedienza dell’uomo. La catena generativa biologica è attraversata dal flusso generativo dello Spirito che guida la storia verso il suo compimento.

Scorrendo la genealogia scopriamo che tutti i personaggi nominati sono soggetti del verbo generare. Tutti tranne Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale fu generato Gesù Cristo. Al contrario di quello che accade per Tamar, Racab, Rut e Betsabea, dalle quali nacquero figli generati rispettivamente da Giuda, Salmon, Booz e Davide, Giuseppe non generò Gesù da Maria. Il v. 16 usa due passivi teologici per indicare l’azione divina: Gesù «fu generato» e «chiamato». Matteo diventa esplicito nel v. 18 dove lo Spirito Santo è indicato come l’artefice della gravidanza di Maria, attribuendo così la paternità direttamente a Dio. Per eliminare ogni dubbio viene specificato che questo avvenne prima che Giuseppe l’avesse accolta nella sua casa e avesse avuto un rapporto sessuale con lei. Sembra che Giuseppe sia vittima di una ingiustizia perché viene bypassato. La scoperta della gravidanza di Maria non deve essere stato un momento facile per Giuseppe. L’evangelista lo chiama uomo giusto. Egli era consapevole di essere legalmente lo sposo di Maria ma anche che i legami affettivi con lei erano profondi e sinceri. Cosa intende Matteo con l’aggettivo giusto riferito a Giuseppe? Nella tradizione sapienziale, espressa nel Sal 1, il giusto è colui che fa aderire la sua volontà alla Legge del Signore perché la medita giorno e notte (cf. Sal 1,2). Le sue opere sono buone non perché sono una pedissequa esecuzione della lettera ma perché, mediante la preghiera, lo Spirito dell’uomo è in comunione con quello di Dio. L’uomo giusto non è privo di coscienza e di volontà. Giuseppe, infatti, proprio perché giusto è un uomo che ragiona confrontandosi con la parola di Dio ricercando il senso degli eventi storici e il segno della volontà divina. La giustizia di Giuseppe non consiste nella fedeltà alla Legge ma, prima di essa, impone la fedeltà a Maria. Il rispetto nei suoi confronti gli suggerisce innanzitutto di non umiliarla accusandola pubblicamente e di conseguenza di lasciarla andare in modo segreto. Matteo rimane volutamente sul vago circa i propositi di Giuseppe perché i pensieri si accavallavano in maniera tumultuosa incapace di prendere una decisione netta.

Nel bel mezzo di una crisi di coscienza interviene la voce di Dio che rivela a Giuseppe la verità. Nell’Antico Testamento i sogni sono un mezzo attraverso il quale Dio comunica. Il sogno evoca lo stato di torpore o di sonno nel quale, trovandosi in una condizione di totale incoscienza e vulnerabilità, l’uomo è paradossalmente meglio disposto ad accogliere la rivelazione.  Il sonno richiama la morte con la quale cessa ogni attività umana per lasciare spazio all’azione di Dio e alla forza della sua Parola che ha il primato su tutto. Il contenuto della rivelazione riguarda l’intervento di Dio su Maria. Prima di Giuseppe è arrivato lo Spirito Santo che ha fecondato Maria rendendola madre.

La paternità di Giuseppe non viene esclusa ma integrata nel progetto di Dio. La Legge imponeva al marito tradito di ripudiare la propria moglie motivando la sua scelta con l’evidenza della gravidanza. Con quel gesto più che liberare la sposa dai vincoli matrimoniali era un modo per sbarazzarsi di lei. La norma sul ripudio, pur essendo sbilanciata decisamente dalla parte dell’uomo, era un modo per tutelare la donna dalla possibile ritorsione violenta del marito. In teoria, il tradimento consumato prima della coabitazione degli sposi comportava la lapidazione della donna.

S’intendeva così lavare nel sangue l’onta subita dall’uomo. Il ricorso al ripudio da parte di Giuseppe aveva l’intento di non mettere in pericolo la vita di Maria. Con queste intenzioni Giuseppe dimostra che pur nella rabbia e nella confusione egli è giusto perché pone avanti al proprio onore la dignità della vita della sua sposa. La decisione di ripudiarla in segreto potrebbe anche significare che Giuseppe abbia fatto la scelta di non avere con Maria alcun rapporto coniugale pur abitando sotto lo stesso tetto. In altri termini, voleva salvare la forma, vivendo da sposi, pur mantenendo nella sostanza la distanza che si era venuta a creare a causa della gravidanza.

L’intervento dell’angelo corregge il tiro dei ragionamenti di Giuseppe. Lo invita ad abbandonare i dubbi e gli indugi per accogliere la sua sposa Maria perché il figlio che porta in grembo, pur essendo stato concepito dallo Spirito Santo, è suo. Giuseppe è chiamato ad accogliere Maria non come la donna da cui avere il proprio figlio ma come la sposa con la quale accogliere il dono del figlio dalle mani di Dio. Dunque, quell’evento sconvolgente mette in crisi i principi di giustizia dati per scontati fino a quel momento. Giusto non è solamente l’uomo fedele alla lettera della legge che si sente meritevole di ricevere quello che il suo cuore desidera.

Con Giuseppe si ridisegna la figura del giusto e si anticipano i lineamenti della figura messianica del Servo giusto che giustificherà molti. L’angelo è latore del messaggio divino nel quale si propone a Giuseppe la sua missione di sposo e di padre. Dopo essere diventato sposo accogliendo Maria nella sua casa, Giuseppe è chiamato a diventare padre dando al figliolo il nome indicato da Dio: Gesù. Imponendo quel nome, non scelto da lui, Giuseppe avrebbe confermato il suo essere pienamente a servizio della volontà di Dio. Il nome indica la missione salvifica universale affidata a Gesù.

Egli viene per rigenerare l’umanità riconciliandola con il Signore. Il cammino indicato a Giuseppe dall’angelo è un itinerario di riconciliazione, passaggio dal ripudio all’accoglienza, dalla sanzione alla riconciliazione, dall’essere giusti di fronte alla Legge all’essere santi davanti a Dio. Il titolo «figlio di Davide» accomuna Gesù (1,1) e Giuseppe (1,20) perché entrambi coinvolti nell’unico progetto di Dio anche se con ruoli diversi. Infatti, con la venuta di Gesù si compie la parola di Dio ed è grazie a Giuseppe che il compimento della volontà divina inizia a realizzarsi. Il ministero di Giuseppe è propedeutico e preparatorio affinché la promessa di Dio diventi realtà e la missione di Gesù possa essere evento di salvezza.

La citazione del profeta Isaia richiama la vocazione dell’intero popolo. La condizione di verginità sta ad indicare l’integrità e la purezza che caratterizza il giusto. Essa è dono di Dio che l’accoglienza della Parola non fa perdere ma esalta ancora di più perché la rende feconda. Vergine non è più sinonimo di rinuncia per conservare la propria purezza, ma è la condizione di rigenerazione operata da Dio, per essere fecondi e generativi. Nella verginità generativa di Maria Giuseppe, alla luce della Scrittura comprende anche il valore della sua paternità verginale che esercita e conserva, insieme alla sua sposa, mediante l’obbedienza fiduciosa alla parola di Dio.

Meditatio

Paternità frustrata

Giuseppe ci guida all’imminente festa del Natale nella quale anche noi accoglieremo il bambino generato dallo Spirito Santo in Maria. Il patriarca raccoglie l’eredità della promessa fatta ad Abramo e a Davide, attraverso la lunga catena delle generazioni che attraversa tutta la storia d’Israele. Tuttavia, questa concatenazione sembra spezzarsi nel momento in cui Giuseppe constata amaramente che la sua sposa porta in grembo un figlio che non è suo.

Facile immaginare la rabbia nel sentirsi defraudato del primato sulla sua sposa e la paura, mista a vergogna, per i giudizi degli uomini. La gravidanza inaspettata di Maria gli impone di reagire e di prendere una decisione. È combattuto su quale scelta orientarsi perché l’amore rispettoso per Maria mitiga l’istintività della rabbia che certamente lo avrebbe portato a usufruire della possibilità offertagli dalla legge di accusarla pubblicamente per difendere il suo onore. Giuseppe non è un freddo e cinico calcolatore ma è un uomo giusto che usa misericordia. Perciò, prendendo atto del matrimonio fallito, vorrebbe sciogliere il contratto sponsale senza clamore e senza creare polemiche scandalose.

Dalla paura della novità alla fiducia nella Parola

Giuseppe è molto diverso dal suo antenato, il re Acaz, il quale è pure in difficoltà perché teme di essere aggredito dalla congiura ordita dai due re vicini, quello del regno fratello d’Israele e quello di Damasco. Il re trema come una foglia e il suo cuore è scosso e agitato perché qualsiasi ragionamento che fa, basato su calcoli squisitamente umani e materialistici, lo portano a vedere scenari futuri di sconfitta e distruzione. Dio gli invia il profeta Isaia che lo invita a credere in Dio per avere pace e per vedere il realizzarsi della Sua volontà. Credere significa aggrapparsi alla solida roccia dell’amore di Dio nei momenti in cui perversa la tempesta. Solo in Dio possiamo trovare non le risposte a tutte le nostre domande, ma la forza di rispondere alla Sua domanda con la quale ci invita a collaborare nella sua opera per realizzare il suo sogno.

Il sogno è saper leggere il presente alla luce del futuro di Dio. I due discendenti del re Davide, Acaz e Giuseppe, sono in crisi perché ciò che vedono nel loro presente è letto come segno premonitore di un disastro oramai decretato. Davanti a loro si presenta un futuro nebuloso e incerto che proietta nel presente ombre minacciose che incutono paura e suscitano agitazione e smarrimento.

La parola di Dio ci raggiunge nelle nostre paure e nei rifugi che ci costruiamo nel tentativo di difenderci. Non temere, ripete ancora una volta l’angelo. La Parola di Dio offre una luce per uscire dai labirinti mentali, dai calcoli i cui conti non tornano mai, dalle interpretazioni negative dei segni dei tempi che alimentano paura e rancore. L’angelo annuncia il Vangelo che apre gli occhi e permette di vedere oltre la paura per riconoscere l’operato di Dio. Il bambino custodito nel grembo di Maria è il segno della presenza di Dio nella nostra vita. Non ci abbandona in balia degli eventi che sembrano travolgerci, ma ci precede nel dono che è frutto del suo amore gratuito.

Discernere significa leggere i segni dei tempi riconoscendo in essi la presenza di Dio che opera a nostro favore perché il suo amore è gratuito in quanto è da sempre e per sempre, è eterno.

Il discernimento non è una semplice analisi della realtà che ci lascia così come ci trova, ma ci spinge ad una determinazione, ci induce a fare una scelta e ad assumere una decisione, anzi, a deciderci per qualcuno.

Di Giuseppe non è registrata alcuna parola, ma solo i suoi gesti i quali sono il vangelo più eloquente dell’obbedienza. Come Abramo obbedì silenziosamente al comando di Dio di prendere suo figlio per offrirlo in sacrificio, così Giuseppe, uomo giusto, perché uomo di fede, fa come l’angelo gli aveva ordinato. A Giuseppe non viene chiesto di rinunciare al suo progetto di sposo e di padre, ma di realizzarlo insieme con Dio. L’accusa pubblica o il ripudio segreto avrebbero interrotto quella storia di amore che Giuseppe e Maria avevano iniziato a scrivere insieme.

Il ministero generativo

L’episodio si conclude con la ratifica del matrimonio nel momento in cui Giuseppe, accogliendo Maria in casa sua, iniziano a vivere insieme. Non li unisce la parola datasi reciprocamente, ma la scelta, fatta insieme, di darsi a quel figlio che loro stessi ricevono dalle mani di Dio. Giuseppe pronuncia il suo amen a Dio e diventa custode della santa Famiglia di Nazaret, prima Chiesa domestica.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna