Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Pregare con il cuore
L’insegnamento di Gesù sulla preghiera costituisce il cuore del discorso delle beatitudini perché essa rappresenta il muro portante che regge l’edificio della nostra vita spirituale. Il Maestro mette in guardia da due atteggiamenti che fanno crescere storto questo muro e che lo rendono pericolante e precario. Si tratta dell’ipocrisia di chi, sebbene si mostri devoto, è vuoto di Spirito ma pieno di sé; gli interessa accreditarsi agli occhi degli altri piuttosto che entrare in intimità con Dio. L’altro pericolo è quello di imitare i pagani nella verbosità della loro preghiera e nella pomposità dei loro sacrifici. Tutto ciò che è «barocco», ridondante, ampolloso, eccentrico, risulta pesante e incapace di raggiungere il cielo. La preghiera rischia di essere un’autocelebrazione e la liturgia una realtà staccata dalla vita. Non sono le chiacchiere che aprono il Cielo, ma la preghiera del povero.
La preghiera per esprimersi, più che di un luogo o linguaggi specifici, ha bisogno dello spazio interiore nel quale l’uomo si pone alla presenza del Padre per ascoltarlo e farsi ascoltare da Lui. Gesù ci insegna a pregare non tanto suggerendoci delle parole da dire, ma indicandoci una postura spirituale da tenere. Con il suo esempio ci aiuta a metterci alla presenza di Dio in un modo tale da permettere a Lui di incontrarci tra le pieghe e le piaghe della nostra vita.
Non diciamo cose nuove o sveliamo segreti; infatti né io, confessando i miei peccati o le mie angosce, rivelo qualcosa che Dio non sappia, né il Signore mi fa conoscere ciò che io non conosca.
Pregare significa tornare dal Padre, cioè volgere il nostro viso verso il Cielo consegnandoci a Lui nudi, come siamo, cioè privi di meriti ma animati solamente dalla speranza e dalla fiducia nel suo amore. Elevare il cuore a Dio nella preghiera ci offre la possibilità di essere davanti a Lui non come un giudice dalla cui sentenza dipende la nostra sorte, ma significa affidarci alle mani di una madre che con amorevolezza cura le ferite e con premura riveste e ridona dignità ai figli che l’hanno perduta.
Pregando ci specchiamo negli occhi di Dio che non sono iniettati di risentimento, ma brillano per la gioia perché contemplano il volto del figlio amato che ritorna a Lui. In quegli occhi non vediamo solo noi, ma anche gli altri, i nostri fratelli per i quali è riservata la stessa ricompensa.
Pregando contempliamo il volto del Padre, ma anche il nostro come Dio ci sogna. I suoi occhi sono come una finestra spalancata sul nostro futuro, la pienezza di vita nella comunione dei santi. Il perdono ai nostri fratelli, superando le resistenze che il Maligno ci mette nel cuore, altro anticipa nel presente la gioia della comunione fraterna nell’eternità.
Signore Gesù, che hai fatto della preghiera la tua oasi di ristoro da cui hai attinto la forza per resistere alle tentazioni del Maligno, la fiducia nella presenza amorevole del Padre e la compassione per farti prossimo ai tuoi fratelli, insegnami a stare in ogni momento della giornata e in ogni situazione della vita alla presenza di Dio per aprirgli il cuore e offrirgli le gioie e dolori, speranze e afflizioni. Fa che la mia preghiera non sia una forma di autocelebrazione ma conducimi nel santuario del mio cuore dove interiorizzare la tua parola, entrare in sintonia con la volontà del Padre e coltivare il desiderio di riconciliazione con i miei fratelli.