don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 16 Gennaio 2023

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Dalla lettera agli Ebrei Eb 5,1-10

Figliolanza e fraternità, obbedienza e solidarità

L’autore della Lettera agli Ebrei riconosce che la messianicità di Gesù consiste nel suo sacerdozio del quale sottolinea prima la solidarietà con gli uomini e poi l’obbedienza a Dio. La solidarietà e l’obbedienza sono le due facce dell’unico sacerdozio di Cristo. Viene instaurato un parallelismo tra il sommo sacerdozio ebraico e il pontificato di Gesù. Il Sommo Sacerdote ebraico aveva fondamentalmente la funzione di intercedere per i peccatori presso Dio al fine di ottenere il perdono dei peccati. Questo avveniva mediante dei sacrifici che il sommo sacerdote offriva per i peccati suoi e di tutto il popolo. La solidarietà del Sommo Sacerdote era basata sul fatto che era uomo e, dunque, peccatore. Il perdono lo chiedeva per sé e per i suoi fratelli. Anche Gesù è nostro fratello perché partecipa della debolezza umana e soprattutto della sofferenza subita ingiustamente. 

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Nessuno può auto proclamarsi sacerdote, ma questo ministero si esercita in virtù della chiamata di Dio, come era stato stabilito sin da Aronne. L’autorità del Sommo Sacerdote non lo colloca al di sopra degli altri ma a loro servizio. Il sacerdozio, quale servizio agli altri, è esercizio di fraternità. Come non ci si può autoproclamare Sommo Sacerdote, così non si scelgono i fratelli ma si accolgono come un dono da custodire nella stessa maniera con la quale si riceve l’autorità e la si esercita. Ogni autorità, che sia regale o sacerdotale, viene da Dio perché essa sia esercitata a vantaggio di tutti i fratelli. Gesù riceve la pienezza dell’autorità perché nella Pasqua di morte e di risurrezione ottiene la corona regale della vittoria sul peccato e sulla morte e l’investitura sacerdotale. Sulla croce Gesù non offre sacrifici ma sé stesso con preghiere e suppliche, tra grida e lacrime. Il Cristo non ha scelto di soffrire ma ha celebrato il suo sacrifico unendosi totalmente agli uomini peccatori e caricandosi anche del dolore innocente. Dall’altra parte per la sua piena obbedienza a Dio è stato risuscitato portando la liberazione a tutti gli uomini dal peccato e dalla morte.

La vicenda pasquale di Gesù, letta nell’ottica della fede, ci aiuta a comprendere che essa ci aiuta a crescere nella duplice direzione della maturità umana: essere figlio e fratello. L’ obbedienza a Dio, ovvero l’adesione alla Sua volontà, fatta con libertà e fiducia, s’intreccia con la solidarietà fraterna che può giungere a subire il martirio da innocente. Chi si affida a Dio usa gli strumenti della mitezza per lottare contro il male, il primo dei quali è la preghiera. Essa non è una formula magica segreta elaborata per perseguire fini personali. Si tratta invece del mondo con cui vivere l’intimità filiale col Padre e quella fraterna nei gesti di una solidarietà e compassione.

La compagnia dello Sposo

Le nozze sono un’occasione per fare festa nella quale gli invitati partecipano alla gioia degli sposi. Gesù si manifesta come il Dio sposo che ha organizzato la festa per le sue nozze, simbolo dell’alleanza d’amore stipulata con il suo popolo. Incarnandosi Dio si è unito ad ogni uomo partecipando con lui alla precarietà della condizione mondana. Morendo sulla croce e risorgendo ha fatto di questa unione un matrimonio attraverso il quale ha riscattato l’uomo dal potere della morte e gli ha donato quello della vita eterna. I discepoli di Gesù sono persone dalle quali traspare la gioia di essere con Lui.

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Stare con Gesù è sempre una festa perché egli ci fa partecipi della sua gioia, della sua forza, del suo coraggio, della sua sapienza. Se diamo per scontato questa relazione e non coltiviamo l’amicizia con lui, si finisce per non avvertire più la gioia di essere amati, correndo il rischio di sentirsi soli o abbandonati nei momenti della prova. È in questi frangenti della vita che il discepolo di Gesù è chiamato a digiunare, ovvero a sentire anche nel corpo il bisogno di Dio per ravvivare il desiderio di una vera relazione d’amore con Lui e con i fratelli.

La pratica del digiuno non può essere un modo per acquisire meriti davanti a Dio o una forma di ostentazione della propria religiosità per guadagnare l’approvazione degli uomini. Il digiuno è un esercizio che fa parte della ginnastica del desiderio affinché ci si possa preparare all’incontro con l’amato. Digiunare vuol dire rinunciare al narcisismo che ci rende individui anonimi, chiusi nell’isolamento dell’autoreferenzialità. Rinunciando al peccato ci rendiamo disponibili a lasciarci rinnovare dall’azione dello Spirito che mette nel cuore la gioia di amare Dio e di servire i fratelli in letizia.

Leggi la preghiera del giorno.

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna