don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 16 Aprile 2023

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Il Grembo fecondo della Chiesa
II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO A)

Signore Dio nostro,
che nella tua grande misericordia
ci hai rigenerati a una speranza viva,
accresci in noi la fede nel Cristo risorto,
perché credendo in lui
abbiamo la vita nel suo nome.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

Dagli Atti degli Apostoli At 2,42-47

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune.

[Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.

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Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.

Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.

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Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Le quattro perseveranze della Chiesa

In At 2, 42 si parla di quattro «perseveranze»: nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione (koinonía), nella frazione del pane e nelle preghiere. Fin dalle origini del cristianesimo si è infatti capito che la sequela Christi non è questione di un’ora né di una stagione: nella vita cristiana l’essenziale è perseverare, durare nel tempo, dare continuità, mediante un’obbedienza costantemente rinnovata, alla scelta iniziale. Non a caso Gesù ha affermato: «Chi persevera fino alla fine, questi sarà salvato» (Mt 10, 22; 24, 13; Mc 13, 13), oppure, nella versione lucana: «Con la vostra perseveranza guadagnerete le vostre vite» (Lc 21, 19). La forma vitae descritta in At 2, 42-45 esemplifica dunque lo stato di conversione, mediante un comportamento capace di dare continuità al mutamento intrapreso con il battesimo.

Il soggetto principale è il Signore che aggiunge alla comunità dei credenti gli uomini che salva. Il battesimo nello Spirito Santo è il passare dalla riva dell’individualismo a quella della comunione. È dunque un continuo cammino di conversione e di perseveranza. Il termine perseveranza dice il “rimanere in”, “insistere in”, per sottolineare la continuità e la tenacia imperterrita dei discepoli.

La didaché, l’insegnamento è la base della dottrina e della disciplina cristiana, costruita sulle parole e le azioni di Gesù stesso e sulle istruzioni comunicate agli apostoli e a quei seguaci destinati ad essere suoi testimoni autentici (cf. At 1,1-2s). E’ l’insegnamento di coloro che sono sempre discepoli, in ascolto della voce dello Spirito attraverso il quale Gesù continua a essere presente con la sua forza salvifica e sanante. L’ombra di Pietro è l’immagine usata per dire la potente e misteriosa presenza che opera attraverso l’apostolo. L’insegnamento degli apostoli non è semplice comunicazioni di dati o nozioni, norme di comportamento, ma è l’esperienza della comunione e continuità con quella prima comunità apostolica che funge da fondamento per il proprio cammino di fede.

La chiesa che nasce a Pentecoste ha un’identità ben precisa, riassumibile nella perseverante koinonía, esperita nella radicale condivisione dei beni: «tenevano ogni cosa in comune (ápanta koiná)» (At 2, 44).

Occorre esplorare la realtà della koinonía in tutta la ricchezza con cui essa è presentata nel Nuovo Testamento:

·      la koinonía è innanzitutto l’inaudita possibilità di partecipare della vita divina (cf. 2Pt 1, 4), apertaci dal Padre, nella sua infinita misericordia, attraverso il Figlio (cf. Ef 2, 4-5);

·      la koinonía è comunione al corpo e al sangue di Cristo (cf. 1Cor 10, 16-17), segno della partecipazione del credente a tutta la vita del Figlio, riassunta nella sua passione, morte e resurrezione (cf. Fil 3, 10-11);

·      la koinonía è «comunione dello Spirito Santo» (2Cor 13, 13), attraverso la quale il cristiano «si dispone ad abitare con Dio» [ Basilio, Lo Spirito santo 62,23-24.];

·      da questa koinonía alla vita trinitaria (cf. 1Gv 1,3) discende per il credente la possibilità di fare della propria vita una parabola capace di narrare la «comunione all’Evangelo» (cfr. Fil 1, 5);

·      la koinonía è infine la colletta in favore di chi si trova nel bisogno, il ministero svolto da Paolo a favore dei «poveri di Gerusalemme» (cf. Rm 15, 26-27; 1Cor 16, 1-3; 2Cor 8-9).

Se Luca, l’autore degli Atti, nel presentare la chiesa nascente di Gerusalemme sorta dopo la Pentecoste (cf. At 2, 1-13) avverte la necessità di redigere due testi diversi, lo fa con un’intenzione ben precisa. Egli vuole cioè insegnare ai cristiani che non esiste un modello unico di condivisione dei beni, da ripetersi o da imitare pedissequamente: spetta alla responsabilità delle comunità cristiane, disseminate nel tempo e nello spazio, trovare le forme per tradurre adeguatamente in pratica l’esigenza evangelica della koinonía.

«Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune» (At 2, 44). Con la parola «insieme» viene resa l’espressione greca epì tò autó (cf. At 1, 15; 2, 1.47; 4, 26), che può significare sia «nello stesso luogo» sia «insieme, comunitariamente» (Cf., per es., Sal 133 (132),1: «Ecco, com’è bello, com’è dolce vivere come fratelli insieme!»). Una traduzione più libera, ma pienamente fedele al senso complessivo della frase potrebbe dunque essere: «Tutti coloro che erano diventati credenti formavano una comunità» (nella versione dei LXX questa locuzione traduce l’avverbio ebraico jahad; ebbene, nei testi di Qumran questa parola viene utilizzata quale sostantivo per designare quella particolare comunità che, negli anni in cui la koinonía cristiana muoveva i primi passi, da oltre un secolo viveva sulle rive del Mar Morto, non molto distante da Gerusalemme).

Luca ricorda certamente l’esempio della primissima comunità, quella itinerante formata da Gesù insieme a una decina di uomini e ad alcune donne: era una comunità fondata su una radicale comunione di vita e di beni, tanto che in essa vi era addirittura una cassa comune (cf. Gv 12, 6; 13, 29). Coloro che erano chiamati dal rabbi di Nazaret, vendevano i beni, li donavano ai poveri ed entravano a fare parte della comunità, come testimoniano alcune parole di Gesù riportate dal terzo vangelo: Vendete i vostri beni e dateli in elemosina (Lc 12, 33); Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi beni, non può essere mio discepolo (Lc 14, 33); Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi (Lc 18, 22; cf. Mt 19, 21; Mc 10, 21).

Vita in comune, beni in comune: siamo di fronte al radicalismo vissuto da quanti hanno condiviso la vicenda storica di Gesù, i quali «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5, 11; cf. anche Lc 5, 28; 18, 28). Il primo sommario degli Atti riecheggia tutto questo con l’intenzione di mostrare che la comunità cristiana di Gerusalemme – formata dai Dodici, da Maria, da alcune donne (cf. At 1, 12-14.26), e da altri che «il Signore ogni giorno aggiungeva» (At 2, 47) – praticava questo stesso stile di vita, eccezion fatta per una differenza pratica: «nel tempo di Gesù, il discepolo rinuncia alla proprietà per seguire Gesù, nel tempo della chiesa i cristiani praticano la condivisione dei propri beni per venire incontro ai bisognosi» (B. Papa, «”La comunità dei credenti era un cuore e un’anima sola…” (At 4,32)», in Parola, Spirito e Vita 11 (1985), p. 155). L’esigenza delineata è quella di un autospogliamento libero, gratuito e risoluto, il cui approdo consiste nella radicale comunione dei beni: «chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2, 45).

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1Pt 1,3-9)

Ci ha rigenerati per una speranza viva, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti.

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

La speranza dei vivi

Risorgendo dai morti, Gesù ci dona lo Spirito grazie al quale da moti, per il peccato, diventiamo viventi. Egli, infatti ci fa partecipi della eredità che Lui stesso ha ricevuto dal Padre. Proprio perché riceve dal Padre lo Spirito, che dà la vita, Egli può a sua volta effonderlo sugli uomini rendendoli figli di Dio. Questa dignità è un dono gratuito che riceviamo per la bontà di Dio ma è anche ciò che orienta le nostre scelte di vita affinché questa speranza si compia in pienezza. A cosa tende l’uomo che accoglie lo Spirito Santo da Gesù risorto? Ad abitare nella Casa del Signore, ovvero fare famiglia con Lui nella piena comunione.

La vita terrena dell’uomo è posta tra la Pasqua del Battesimo, quando è posto nel cuore il seme della santità, è la Pasqua finale con la quale si fa ingresso nella vita eterna. In mezzo c’è il cammino della fede nel quale lo Spirito santo guida il battezzato all’apprendimento della volontà di Dio e lo sostiene affinché, attraverso le prove della vita, possa aderirvi in piena libertà. La vocazione alla santità richiede che si affermi ogni giorno il proprio amen a Dio.

Anche se non si ha un’esperienza sensibile di Dio, la fede, quanto più si purifica dalle illusioni e aspettative mondane, tanto più aiuta il credente ad amarLo, ad occhi chiusi ma con cuore e mente aperta. Amare non significa cercare prove, ma desiderare di incontrare Dio per accoglierlo e donarsi a Lui. Anche se i sensi devono abbandonare la pretesa di afferrare un mistero che trascende le umane capacità di comprensione, tuttavia, il cuore che cerca il volto di Dio lo trova nei fratelli verso i quali riversa lo stesso amore con cui vorrebbe toccare il Signore.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20,19-31

Otto giorni dopo venne Gesù.

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Lectio

Il capitolo 20 del vangelo di Giovanni è dedicato agli eventi accaduti nel primo giorno della settimana che inizia la mattina presto, quando è ancora buio, con la scoperta della tomba vuota. I protagonisti delle prime scene sono Maria Maddalena e i discepoli che corrono verso il sepolcro trovato aperto. Seguono altre due scene in cui Gesù risorto appare a Maria Maddalena al sepolcro e ai discepoli riuniti nel cenacolo. L’ultima scena accade otto giorni dopo, quindi sempre nel primo giorno della settimana. In quello che prenderà il nome di domenica, il giorno del Signore, Gesù appare nuovamente ai discepoli riuniti nel cenacolo tra i quali questa volta c’è anche Tommaso che era assente la settimana precedente e che non aveva creduto all’annuncio dei suoi compagni.

Maria Maddalena vede la tomba aperta perché la pietra sepolcrale posta all’ingresso era stata tolta. Conclude che il corpo di Gesù è stato trafugato e corre ad informare i discepoli. Due di essi corrono verso la tomba e vi entrano. All’interno vedono solo i teli e il sudario. Non sanno cosa pensare. Quei segni rimangono muti perché ancora non avevano compreso la Scrittura che annunciava la risurrezione dai morti.

Maria Maddalena, convinta del trafugamento del cadavere, rimane vicino la tomba a piangere. Il suo dolore è talmente forte che non riesce a riconoscere la novità di ciò che è accaduto sia quando vede i due angeli nel sepolcro, sia quando Gesù stesso le è davanti ma confonde con il custode del giardino. Il dialogo con questi personaggi verte sul suo dolore: «Donna, perché piangi?». Maria Maddalena si lascia interrogare ed ella risponde manifestando il suo dolore ma anche la volontà di recuperare il corpo di Gesù, costi quel che costi. Solo quando sente pronunciare il suo nome la Maddalena riconosce Gesù e lo chiama Maestro. Maria rispondendo alla chiamata di Gesù accetta di essergli discepola. Gesù le rivela che il suo cammino si sta compiendo andando verso il Padre. È questa la risurrezione, il cammino verso il Padre. Le affida anche un messaggio per i suoi fratelli per invitarli a seguirlo verso la casa del Padre suo che è diventato anche Padre nostro. La discepola del Risorto annuncia il messaggio di Gesù non prima di aver offerto le sue credenziali di credibilità dicendo di aver visto il Signore.

Prima della fine di quel giorno anche i fratelli di Gesù, riuniti nel cenacolo ancora molto timorosi per la reazione dei Giudei, ricevono la sua visita. Infatti, è Gesù che viene e sta in mezzo alla comunità alla quale offre la pace. Questa è la caratteristica del Giorno del Signore quando la comunità si riunisce. Essa è in un luogo dalle porte chiuse segno del fatto che la Chiesa terrena ha sempre dei limiti, delle chiusure. La comunità dei discepoli, contrariamente al sepolcro aperto, è chiusa nella sua paura. In essa ci sono assenze che pesano. Contrariamente al sepolcro, Gesù è vivo e presente in mezzo alla comunità. La sua non è un’assenza colmata di segni che ne evocano la presenza. Gesù è presente nella Chiesa come forza che genera vita e che trasforma i testimoni oculari in ministri della misericordia. Gesù è nella Chiesa e partecipa ad essa la missione di essere nel mondo via di pace e di riconciliazione.

Gesù afferma la sua presenza che non è vincolata al permesso accordatogli dagli uomini. La Chiesa è sua e la sua presenza è stabile, centrale e sorgente di benedizione. Gesù non è un fantasma o uno spirito, ma egli è nella Chiesa presente con il suo corpo, tant’è che mostra le ferite della passione impresse nelle mani e nel costato. Con questo gesto Gesù fa memoria del suo sacrificio sulla croce dal quale è scaturita la benedizione di Dio simboleggiati dal dono dello Spirito e dall’acqua e sangue sgorgati dal costato aperto. Il mostrare le piaghe del suo corpo e il soffiare rimandano al momento della morte di Gesù, quando consegnò lo Spirito e il soldato gli aprì il costato da cui uscì sangue e acqua. Gesù nell’ora della morte afferma che tutta la Scrittura è ormai compiuta. La consegna dello Spirito è l’atto con il quale si compie la volontà del Padre e ciò per cui egli era stato inviato nel mondo. Gesù è mandato dal Padre non per condannare ma per salvare. Innalzato sulla croce attira tutti a sé. Gesù non è stato portato via ma è stato innalzato verso il Padre. Egli non è stato portato via, ma è diventato «Via» verso il Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro. Il dono dello Spirito Santo è dato ai discepoli perché essi, credendo, partecipino alla stessa missione del Maestro. Come Gesù è stato inviato dal Padre per condurre a Lui tutti i figli dispersi, così anche i discepoli, riuniti attorno a Gesù diventano missionari del perdono affinché tutti, credendo, possano ricevere il dono della salvezza, la vita eterna.

Sulla croce Gesù è stato consacrato Sacerdote, l’unico che con l’offerta della sua vita ha permesso la purificazione di tutti gli uomini e la loro riconciliazione con il Padre. Con la sua morte Gesù è diventato fratello di ogni uomo offrendoci la possibilità di diventare figli di Dio. Il perdono dei peccati, mediante l’effusione dello Spirito dalla croce, ci ha fatto rinascere come figli di Dio. Questo dono diventa anche missione verso gli altri fratelli condividendo con loro il dono della misericordia di Dio. La benedizione, il gesto di alitare e la parola che lo spiega, rivelano e comunicano ai discepoli la stessa missione di Gesù nel mondo. La vocazione dei discepoli è quella di rendere visibile a tutti la misericordia di Dio e offrire i benefici del perdono. 

La testimonianza della propria esperienza con Gesù risorto non è il contenuto essenziale della missione ma la spinta iniziale ad andare dai fratelli per camminare insieme incontro a lui. Il cuore della fede non è l’esperienza dei singoli, ma l’incontro con Cristo risorto che viene a farsi toccare e così introdurci nel grande mistero dell’amore di Dio attraverso le sue ferite. Questo avviene la domenica nell’eucaristia. Gesù prende la nostra mano, come quella di Tommaso perché il contatto con la sua carne apra gli occhi non solamente per riconoscere che la resurrezione è un fatto storico ma che ha valore per me anche oggi. Oggi riconosco quanto è grande l’amore di Dio per me: ha dato suo Figlio per salvarmi e riconciliarmi con Lui.

Meditatio – Gemelli diversi

La pagina del vangelo di Giovanni narra ciò che avviene nel primo giorno della settimana, che noi chiamiamo domenica. Gesù prima si è rivelato a Maria Maddalena presso il giardino dove si trovava la tomba poi, la sera dello stesso giorno e dopo otto giorni, ai discepoli che invece erano chiusi nel cenacolo. I cristiani vivono la domenica come il giorno santo nel quale incontrarsi per incontrare Gesù. É lui il centro della comunità. L’evangelista lo ribadisce chiaramente quando ripete che Gesù «venne, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi”». La presenza di Gesù cambia la fisionomia di quell’assemblea.

La Chiesa, infatti, non si autoconvoca e non si riunisce semplicemente per stare insieme o farsi compagnia illudendosi in questo modo di potersi difendere dalle minacce esterne. Le porte chiuse del cenacolo indicano una comunità ripiegata su sé stessa e preoccupata solo dell’autoconservazione. I discepoli sono accomunati dalla medesima paura ma questo non significa che sono uniti. La differenza tra la comunità prima e dopo l’incontro con Cristo sta nell’essere concordi e unanimi. Il vero volto della Chiesa è fatto da uomini e donne che, incontrando Gesù, si lasciano cambiare il cuore e con esso il proprio modo di pensare e di vivere. La concordia e l’unanimità sono le caratteristiche di una Chiesa in festa perché attinge dalla mensa eucaristica i beni spirituali necessari per condividere con i fratelli anche i beni materiali.  La domenica è il giorno della festa e della famiglia perché nell’incontro con Gesù condividiamo con lui la gioia dello Spirito e ci scambiamo come fratelli il dono della Pace. Il corpo di Gesù, che supera le barriere del tempo e dello spazio, non solamente viene mostrato ma anche donato. Attraverso la sua parola, simboleggiata dall’alito, Gesù ci dona lo Spirito Santo affinché il nostro corpo, come quello suo, comunichi agli altri il bene della gioia con lo sguardo benevolo, l’ascolto attento, le parole benedicenti, i contatti delicati e rispettosi.

L’incontro con Gesù nell’eucaristia domenicale è una forte esperienza di fede che inizia col vedere, prima forma di contatto, e che poi giunge al toccare il suo corpo non per afferrarlo, ma per riceverlo in dono. Questo perché non rimaniamo spettatori distanti che provano momentaneamente l’emozione della gioia ma che non sono capaci di comunicarla agli altri. Sapere che il Signore ci ha amato fino a morire per noi può commuoverci come quando vediamo un film, ma non convertirci. Tommaso, detto Dìdimo, che significa gemello, è il fratello che ci rimanda alla realtà dei fatti e ridimensiona l’euforia dell’evento. La gioia è cosa diversa dall’entusiasmo. La fede non si trasmette attraverso riti collettivi e neanche attraverso meeting di massa, ma mediante il contatto personale, corpo a corpo, cuore a cuore, vita a vita.

Tommaso da una parte è il nostro fratello gemello che stigmatizza il fatto di vivere la fede semplicemente nella sua dimensione cerebrale e rituale e rivendica il bisogno di fare esperienze concrete e dirette con Gesù che coinvolgano tutti i sensi; dall’altra ci mostra che diventare credenti significa diventare fratelli gemelli di Gesù. Tommaso, con la sua professione di fede, è modello del cristiano che è tale non perché è membro di un gruppo di fratelli, ma perché vuole appartenere a Cristo ed essergli gemello in morte e in vita.

LEGGI LA PREGHIERA DEL GIORNO

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna