don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 15 Agosto 2023

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Danza e canto al ritmo della gioia

ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 11,19; 12,1-6.10

Una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi.

Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza.

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Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.

Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.

Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito.

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Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.

Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:

«Ora si è compiuta

la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio

e la potenza del suo Cristo».

La Chiesa, come Maria, Sposa e Madre

Le immagini della visione del Libro dell’Apocalisse rivelano le dinamiche della storia della Salvezza che appare come una lotta dura e faticosa ma che vede il trionfo finale di Dio. Il duello tra la vita e la morte, consumato nella Pasqua di Cristo, è la chiave di lettura della vicenda storica del cristiano che partecipa al dramma di Gesù.

Le doglie del parto sono i dolori della Chiesa perseguitata la quale vede in Maria il segno della speranza. Lei, Arca dell’alleanza, tempio aperto che ci mostra il suo figlio Gesù, è la testimone della potenza della risurrezione di Cristo.  Sebbene la paura sia tanta, a causa dei frequenti pericoli e delle numerose minacce, la fede si radica nella certezza di essere sotto la protezione di Dio e di Maria.

Ella ci accoglie nel deserto, spazio della nostra umana fragilità ma, al contempo, dell’amore sponsale di Dio che rende bella la sua sposa con i doni della grazia. Come Gesù anche Maria, e con lei tutta la Chiesa, vive la Pasqua come lotta spirituale per compiere il passaggio verso la gloria che Dio ha preparato per i benedetti fin dalla fondazione del mondo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 15,20-26

Cristo risorto è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.

Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

La risurrezione, passaggio da vita a Vita

La risurrezione di Gesù non ha eliminato la morte, comune eredità di tutti gli uomini, ma l’ha sottomessa, ovvero l’ha ordinata alla vita. La vera eredità non è quella di Adamo ma quella di Cristo che dona la vita. La risurrezione è dunque la condizione di vita del Risorto che condivide con i «morti» o mortali. Chi è in Cristo non è più mortale ma vivente. Il vivente non è immortale ma è colui che fa della sua vita un dono d’amore fino alla morte. Sicché con Gesù non temiamo la morte perché essa è stata trasformata in passaggio da vita mortale a Vita vivente per sempre.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,39-56

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.

Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente

e Santo è il suo nome;

di generazione in generazione la sua misericordia

per quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva detto ai nostri padri,

per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Danza e canto al ritmo della gioia

La famiglia di Zaccaria è in festa per l’arrivo di un figlio inatteso e ormai insperato, vista l’anzianità dei coniugi. Al saluto di Maria la casa si riempie di gioia, la stessa che l’ha pervasa accogliendo dentro di sé la Parola di Dio. C’è chi danza, come il piccolo Giovanni che è nel grembo dell’anziana madre, e chi canta, come le due donne accomunate dalla benedizione ricevuta nei rispettivi figli. La gioia esplode perché Dio è vicino, anzi si è fatto prossimo ed è venuto a visitarci. L’esultanza di Elisabetta è il riflesso del sussulto del bambino nel suo grembo che danza come fece Davide davanti all’arca dell’alleanza mentre veniva portata a Gerusalemme (2Sam 6,12; 6,14-15). La gioia non è a comando ma è la reazione di chi realizza di essere vicino a Dio, fonte della vita.

Come quando una sorgente di luce si avvicina illuminando tutto ciò che rientra nel suo raggio di azione, così chiunque sperimenta la visita di Dio è investito dalla gioia. La gioia è la forza dello Spirito che spinge a lodare e a benedire, come fa Elisabetta. Maria, visitando l’anziana parente, diventa la prima missionaria del vangelo. Ciò che la spinge a mettersi in cammino, affrontando tutte le difficoltà del viaggio, è la gioia dell’aver creduto alla Parola di Dio, cioè di aver aderito al suo progetto d’amore. Mettersi al servizio della Parola carica di una gioia tale che traspare dalla voce, dagli occhi e dagli atteggiamenti prima ancora che dalle parole.

Maria, visitata da Dio e chiamata ad essere Sua madre terrena, accetta di accoglierlo e diventa Suo tempio, spazio nel quale il Creatore si fa creatura e viene ad abitare in mezzo agli uomini. Le due donne sono entrambe in attesa che nascano i loro bambini e così inizi a manifestarsi visibilmente l’opera di Dio iniziata attraverso di loro. Anche la donna descritta nell’Apocalisse, vestita di sole, circondata da dodici stelle con la luna sotto i piedi, immagine della creazione che riflette in sé lo splendore del Creatore, è in attesa anche se caratterizzata dalla sofferenza dovute alle doglie del parto.

San Paolo spiega questa immagine dicendo: «Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi», ma poi aggiunge: «Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8, 22.23). L’attesa di Maria e di Elisabetta interpreta la nostra e quella di tutta la creazione. Da una parte è un’attesa sofferta, dall’altra è anche gioiosa perché vissuta nella speranza.

Sempre san Paolo dice che: «Nella speranza siamo stati salvati» (Rm 8,24). La speranza è l’attesa perseverante e fiduciosa che si compia l’opera di Dio e noi possiamo essere totalmente adottati come figli suoi. Siamo noi, infatti, quel bambino che, generato e partorito nel battesimo, mediante la sofferenza di Cristo, viene «assunto» in cielo. La salvezza sperata consiste nell’essere strappati dalle grinfie del peccato e della morte per essere introdotti nel Cielo.

Maria è la profetessa della gioia condivisa con tutti gli uomini che sperimentano la potenza del braccio di Dio. Il viaggio di Maria verso le montagne della Giudea suggerisce l’idea che l’attesa non è qualcosa di statico ma è cammino di liberazione nel quale intonare al Signore un canto di lode come fece Miriam, la sorella di Mosè. Infatti, il Libro dell’Esodo dice che: «Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: “Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!”» (Es 15,20-21). 

Il Canto di Maria è l’inno degli umili felici di identificarsi, non con una nazione ma, con un popolo la cui forza risiede nella misericordia di Dio che libera piuttosto che nei vani ragionamenti degli uomini o nella loro potenza militare che invece rende schiavi. Maria canta la salvezza di Dio benedicendo la sua infinita bontà che si riversa abbondantemente sui poveri. Per tutti coloro che soffrono, soprattutto per il Vangelo, Maria è un segno di speranza perché in lei trovano riscontro le parole di san Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8,18-19).

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna