HomeVangelo del Giornodon Pasquale Giordano - Commento al Vangelo del 12 Novembre 2023

don Pasquale Giordano – Commento al Vangelo del 12 Novembre 2023

✝️ Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 25,1-13

L’olio della sapienza che fa brillare il giusto nella notte della prova

Dal libro della Sapienza Sap 6,12-16

La sapienza si lascia trovare da quelli che la cercano.

La sapienza è splendida e non sfiorisce,

facilmente si lascia vedere da coloro che la amano

- Pubblicità -

e si lascia trovare da quelli che la cercano.

Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano.

Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà,

- Pubblicità -

la troverà seduta alla sua porta.

Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta,

chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni;

poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei,

appare loro benevola per le strade

e in ogni progetto va loro incontro.

Il Libro della Sapienza fa parte del «Pentateuco» sapienziale del quale fa parte il Libro dei Proverbi, di Giobbe, Qoelet e Siracide. In questi cinque libri 

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,1-13

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Contesto

I capitoli 24-25 contengono il cosiddetto «discorso escatologico». È l’ultimo dei cinque discorsi che è chiamato anche «apocalisse sinottica» perché questi detti si trovano nei passi paralleli di Marco e Luca. La collocazione è sul Monte degli Ulivi creando, in questo modo un collegamento con il primo discorso chiamato, appunto, «della montagna» o «delle beatitudini» (cc. 5-7)e con il congedo di Gesù dagli Undici nel c. 28. L’introduzione in forma narrativa culmina con la domanda dei discepoli (24, 1-3) a cui Gesù risponde descrivendo la venuta del Figlio dell’uomo accompagnati dai segni rivelativi della sua presenza (24, 4-36). Segue una raccolta di tre brevi parabole (24, 37-51) e altre due più ampie (25, 1-13 e 25, 14-30). Il discorso si chiude con la scena del giudizio (25, 14-30). Il genere letterario è escatologico nei contenuti e profetico nel linguaggio. Sono trattati tre temi fondamentali: la distruzione di Gerusalemme, la persecuzione dei cristiani da parte di giudei e pagani, la vita futura della comunità cristiana superstite delle persecuzioni che deve guardare alla «finedei tempi».

La comunità dell’evangelista Matteo vive una fase critica all’interno del contesto politico e sociale più ampio. Il giudaismo palestinese è in crisi a causa della tensione con l’impero romano che fa sentire la sua pressione. Al contempo anche la comunità cristiana sta subendo la separazione dalla Sinagoga. Coloro che in questo contesto si sentono alienati e minacciati sperano in un futuro migliore. I traumi venivano letti come le sofferenze propedeutiche ad un cambiamento radicale della situazione nella quale l’intervento diretto del Signore avrebbe ristabilito l’ordine e la giustizia premiando i giusti e punendo i malvagi.

Il contesto immediato della parabola delle vergini sagge e stolte è l’atteggiamento della vigilanza su sé stessi. Non si tratta di essere sentinelle che avvertono gli altri del pericolo esterno ma di attenzionare il proprio cuore affinché non devi dal custodire la volontà di Dio perdendo la speranza, ovvero l’attesa e il desiderio dell’incontro con Dio. La conclusione del capitolo 24 presenta la figura del servo saggio e prudente e di quello cattivo. Il binomio saggezza-stoltezza è ripresa nella prima parabola del capitolo 25. La saggezza e la stoltezza si rivelano negli atteggiamenti nei confronti degli altri nel tempo dell’assenza del padrone. La parabola delle vergini che attendono lo sposo per formare con lui il corteo nuziale presenta la saggezza e la stoltezza da un’altra angolazione che è la prospettiva della «fine». È in quell’ora che si rivela la saggezza o la stoltezza.

Struttura

La narrazione è racchiusa tra il v.1 e il v. 13 del capitolo 25. Nel v.1 il Regno dei cieli è presentato come una realtà futura, quella dell’ora dell’arrivo dello sposo. Il v. 13 riprende l’esortazione alla vigilanza per essere trovati pronti (a servire) e non sprovveduti, soprattutto nella notte della prova.

Le protagoniste sono dieci ragazze che con le lampade escono per andare incontro allo sposo. Il narratore distingue tra le sagge e le stolte e ne spiega il motivo. La differenza la fa l’olio nelle lampade. Il ritardo dello sposo complica la situazione e tutte si addormentano. La soluzione inizia quando le ragazze sono svegliate dall’annuncio dell’arrivo dello sposo. Il gruppo, che prima era compatto nell’uscire per andare incontro allo sposo e poi si era assopito a causa del suo ritardo, si divide tra chi entra e chi rimane fuori. Le sagge, infatti sono state trovate pronte mentre le altre hanno perso l’occasione perché presumevano di fare dopo quello che avrebbero dovuto fare prima. 

L’olio delle lampade fa la differenza. Nell’imaginario biblico l’olio ha uno stretto legame con il culto perché è la materia di riti di consacrazione, ovvero di riconoscimento che qualcosa o qualcuno appartiene a Dio e non a sé stesso. Con l’olio i patriarchi avevano unto le pietre che segnalavano la misteriosa presenza di Dio, era versato sul capo di Aronne per consacrarlo sacerdote offerente così come su quello dei re Saulo e Davide. Nella letteratura sapienziale l’olio è simbolo della ricchezza, della forza, della gioia e dell’abbondanza. In particolare, l’olio nelle lampade serviva per tenere viva la fiamma che ardeva nel tabernacolo (Es 27, 20-21) ed è menzionato nella pagina conclusiva del Libro dei Proverbi (31, 10-31) dove si fa l’elogio della «donna forte». Al v. 18, mentre si descrive l’atteggiamento previdente e prudente della donna di casa dalle cui cure dipende il benessere di coloro che la abitano, si afferma che «non si spegne di notte la sua lampada».La donna è il simbolo della persona sapiente e l’olio sta ad indicare è ciò che permette che la sapienza si manifesti nelle sue opere con le quali è capace di gestire la vita in ogni suo tempo. La risposta delle vergini sagge alla richiesta di quelle stolte di condividere l’olio, sopperendo alla loro mancanza, può sembrare scortese ed egoista. In realtà, dice una cosa vera di cui prendere consapevolezza. La sapienza non è qualcosa che si può condividere come se fosse una cosa propria. Ognuno deve sforzarsi di cercarla e comprarla. Non sarebbe un vero aiuto quello che porta a sostituirsi all’altro nell’inderogabile e indelegabile dovere di prendere con sé l’essenziale. Comprare l’olio significa privarsi di qualcosa per acquistare qualcos’altro per cui vale la pena rinunciare a ciò che si possiede. L’olio è la Parola attraverso cui la Sapienza diventa patrimonio della persona che ascolta, medita e pratica la volontà di Dio. 

Le vergini sono protagoniste della festa nuziale, insieme allo sposo. Esse compiono dei gesti che non possono essere solamente rispettosi di un protocollo o di un rituale. Le vergini sono chiamate a rendere bello il corteo nuziale con la luce. Essa potrà splendere a condizione che nelle lampade ci sia il combustibile senza del quale esse sono inutili. Se, dunque, l’olio indica la Sapienza di Dio vuol dire che le sagge sono coloro che l’hanno fatta propria per tempo in previsione dell’esercizio del loro servizio. Esso, proprio perché è finalizzato a rendere bella la festa nuziale, non è improvvisato ma è ben preparato. La mancanza di olio rivela l’assenza della sapienza. Le vergini sagge portano con sé con l’olio la presenza dello sposo verso cui si dirigono per incontrarlo e partecipare con lui alla festa. Le vergini stolte sono mancanti di quelle motivazioni che fanno del loro operato un vero servizio. Esse si sono messi in cammino con gli altri ma aspettavano uno sposo che esse non conoscevano e non desideravano. L’olio, dunque, rappresenta l’esperienza della conoscenza di Dio. Non si tratta di una conoscenza nozionistica ma di quella ricchezza, gioia e pace che solo la parola di Dio, ascoltata, meditata e praticata, può dare.  

Nei cambiamenti epocali il cuore vegli con Cristo per rimanere uniti a Lui

Domenica scorsa il libro dell’Apocalisse ha indicato nella moltitudine dei salvati l’assemblea dei santi che, risorti dai morti, sono adunati insieme da Dio per cantare con gioia le sue lodi. Il vangelo di questa domenica, in continuità con quello delle beatitudini, ci fa guardare all’ultimo giorno della nostra vita come al momento nel quale incontrare lo Sposo. L’ultimo giorno non è il termine della nostra esistenza, ma il fine della vita che si compienell’unione sponsale con il Signore. Nel vangelo di Matteo il primo discorso di Gesù inizia sul monte dove i suoi discepoli, di ogni tempo e di ogni luogo, si sentono chiamare beati perché sono poveri in spirito, piangono per un lutto, sono desiderosi della giustizia, miti, misericordiosi, operatori di pace, perseguitati. Anche l’ultimo insegnamento è tenuto sul monte, quello degli ulivi a Gerusalemme, alla vigilia della Pasqua, evento alla luce del quale leggere le parole di Gesù. In questo scenario s’inseriscono le ultime due parabole, la prima delle quali è ascoltata in questa domenica e la seconda nella prossima. Il contesto è dato dall’accenno che fa Gesù alla crisi innescata dalla distruzione di Gerusalemme e del tempio con la conclusione dei sacrifici che in esso si offrivano. Il linguaggio, tipicamente apocalittico e profetico, è ricco d’immagini drammatiche che descrivono a tinte forti il cambiamento in atto. Le parole di Gesù non vogliono atterrire ma, al contrario, alimentare la speranza, la stessa che il popolo d’Israele ha coltivato nei suoi momenti più bui quando il Signore è venuto in aiuto per salvarlo attraverso i vari “messia” inviati. Papa Francesco ha più volte affermato che non stiamo semplicemente vivendo un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca. Cambiamento è trasformazione di cui noi stessi dobbiamo essere i protagonisti insieme col Signore. Ogni cambiamento richiede di passare dalla conclusione del vecchio all’inizio del nuovo. Questo passaggio non è automatico, perché il rischio è di rimanere prigionieri del vecchio. La speranza è la chiave di volta che ci permette di compiere il passaggio.

L’immagine delle dieci vergini che prendono le loro lampade e vanno incontro allo sposo indica che tutti gli uomini sono accomunati dalla medesima esperienza. La vita di ciascuno è simile ad un cammino in un presente immerso nel chiaroscuro fatto di certezza e dubbio, sicurezza e indecisione. Non si tratta di vagabondare ma di andare incontro a Dio che si presenta nei panni dello Sposo. La meta comune del cammino esistenziale indica la vocazione universale alla santità. Questo è il primo annuncio che emerge dal racconto. Oltre al comune destino, anche la prova unisce tutti gli uomini che sperimentano quanto sia duro perseverare nell’attesa e quanto sia facile cadere nel sonno della ragione. C’è però anche un particolare che fa la differenza tra i saggi e gli stolti. La scorta di olio in piccoli vasi permette di dare senso al cammino e all’attesa perché si è pronti per accogliere lo sposo ed essere introdotti con lui alla festa.

Vegliare non significa avere sempre gli occhi aperti perché è umanamente impossibile resistere al peso della prova che ci abbatte e ci scoraggia. Addormentarci significa anche accettare di non riuscire a dare risposte ragionevoli ad ogni perché. In cammino tra il passato che non abbiamo più e il futuro che non abbiamo ancora, viviamo il presente come attesa. È proprio qui che decidiamo da quale parte stare, se identificarci con le ragazze sagge o replicare la stoltezza delle altre. In definitiva siamo chiamati a verificare se ci accontentiamo di consumare quell’olio che abbiamo nella nostra lampada oppure abbiamo cura di farne scorta di altro perché non sappiamo quanto tempo durerà l’attesa. L’olio è il combustibile che tiene accesa la lampada simbolo della speranza e del desiderio. Anche se ci si addormenta e il corpo si ferma, anche quando siamo inattivi e non possiamo più fare quello che abbiamo fatto prima, anche quando non è chiaro il senso di quello che ci accade, la lampada del cuore deve continuare ad ardere di desiderio. L’olio in piccoli vasi indica l’atteggiamento di chi, giorno dopo giorno cerca il Signore, si mette in ascolto della sua Parola, discerne di volta in volta come amarlo e servirlo. La saggezza consiste nel mantenere sempre aperto il canale di dialogo con il Signore. Solo Lui può alimentare la nostra speranza; solo la sua Parola fa ardere il cuore come ai discepoli di Emmaus che discutendo tra loro su quello che era accaduto a Gesù ma rimanevano acciecati dalla disperazione. Vegliare dunque significa tenere sempre il cuore aperto verso Dio e verso il prossimo. Dio sempre ci viene incontro nelle vesti del povero da accogliere e aiutare. Sono loro quelli che ci forniscono le ragioni ultime per vivere e per morire. Gli stolti sono coloro che credono di bastare a sé stessi e che in quello che fanno non cercano il Signore ma la loro gratificazione e l’autorealizzazione. «Non vi conosco»: forti sono le parole che Gesù rivolge a coloro che lo invocano: «Signore, Signore, aprici». Chiaro il richiamo alla conclusione del discorso delle Beatitudini: «Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli». In quell’occasione, così come anche nell’ultimo discorso, Gesù mette in guardia dai falsi profeti e dai sedicenti messia. Sono quelli che, presumendo di avere la verità in tasca, puntano il dito contro gli altri, creano il nemico da combattere, innescando meccanismi di lotta e di contrapposizione. Essi sono i venditori a cui ironicamente fanno allusione le vergini sagge rivolgendosi alle stolte. L’olio della speranza, della fede e della carità non si compra, ma si riceve in dono da Dio giorno dopo giorno, poco alla volta. Stolto è chi invece di coltivare ogni giorno la relazione con il Signore ascoltando la sua Parola, meditandola, interiorizzandola e mettendola in pratica con concrete opere di carità verso il prossimo, dissipa il suo tempo alla vana ricerca del benessere psicofisico nell’illusione di poterlo trovare in ciò che gli procura piacere o moltiplicando pratiche devozionistiche che a nulla valgono se non si traducono in amore al prossimo. Maria, che custodisce la parola di Dio e la medita nel suo cuore, è l’immagine più bella della persona saggia. Ella come la sposa del Cantico dei Cantici cerca il suo Sposo, non si arrende davanti alle difficoltà e nella notte della prova rimane vigile e pronta ad ascoltare la sua voce: «Vieni mia tutta bella».

Previdenti o improvvisati?

Le dieci ragazze sono accomunate dal fatto di uscire tutte incontro allo sposo, ciascuna con la sua lampada, e di addormentarsi per l’attesa prolungata. C’è solo un particolare che contraddistingue cinque di esse dalle altre: il fatto che le sagge fanno scorta di olio in piccoli vasi mentre le stolte non sono previdenti come le compagne più avvedute. Le cinque vergini sagge sono tali perché non si preparano solamente all’incontro con lo sposo ma anche all’imprevisto; infatti, nessuna di loro conosce quanto lungo sarà il tempo dell’attesa. Proprio perché nessuno di noi conosce il numero dei suoi giorni la vita non si può improvvisare. L’improvvisazione è invece la caratteristica delle vergini stolte che credono di affrontare il tempo dell’attesa facendosi bastare quello che hanno o pretendendo di poggiarsi sull’aiuto degli altri. La crisi arriva per tutti ma essa ha un termine che coincide con l’ingresso nella festa per le sagge e l’esclusione delle stolte. La crisi diventa un’opportunità di crescita se ci si prepara prima che arrivi, altrimenti essa ci travolge. Fare scorta di olio significa conservare e fare tesoro delle piccole cose nelle quali è custodita la grazia di Dio. Attraverso parole e gesti di gratitudine a Dio, che chiamiamo eucaristia e carità fraterna, accumuliamo ciò che sul momento potrebbe apparirci anche inutile, ma che al tempo opportuno invece fa la differenza tra chi supera la crisi e chi invece ne rimane vittima. La vita è il tempo nel quale fare scorta di “grazia” attraverso l’ordinaria carità che non connota di straordinarietà eventi sporadici e occasionali ma caratterizza la ferialità della vita cristiana. In tal modo la carità diventa abitudine e, come tale, permette di attraversare anche la notte oscura della prova per essere introdotti nella vita eterna e partecipare per sempre alla gioia del Signore. 

Commento a cura di don Pasquale Giordano
Vicario episcopale per l’evangelizzazione e la catechesi e direttore del Centro di Spiritualità biblica a Matera

Fonte – il blog di don Pasquale “Tu hai Parole di vita eterna

Articoli Correlati