Commento a cura di don Pasquale Giordano
La parrocchia Mater Ecclesiae è stata fondata il 2 luglio 1968 dall’Arcivescovo Mons. Giacomo Palombella, che morirà ad Acquaviva delle Fonti, suo paese natale, nel gennaio 1977, ormai dimissionario per superati limiti di età… [Continua sul sito]
Lectio Divina
Gesù, nella pagina evangelica proclamata, parla della verità che ha due aspetti: la unicità e la molteplicità di espressione. La verità è unica perché non ne esistono più versioni, ed è una perché al suo interno trovano armonia le sue molteplici espressioni. L’unità non è sinonimo di unicità, ma di comunione e non si dà comunione senza l’armonia di realtà diverse tra loro. Così Dio non è solo uno ma anche trino. Un solo Dio non vuol dire che è un Dio solo ma che la sua unità è data dall’amore che fa abitare insieme, vivendo l’uno per l’altro, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La liturgia più che farci comprendere questo mistero, che sfugge alla mente umana nella sua complessità, ci permette di viverlo presentando la creazione e la storia come due lenti attraverso i quali vedere e contemplare Dio. Il libro dei Proverbi accenna alla creazione i cui elementi, come canta il Sal 8, inneggiano alla gloria di Dio. Ciò che muove Dio a uscire da sé stesso e a creare è l’amore. Anche la storia, fatta di eventi, va letta alla luce dell’amore di Dio che si fa prossimo all’uomo per educarlo ad essere suo figlio. La Verità viene incontro all’uomo e gli parla nella creazione e nella storia che trovano il loro culmine nella Pasqua. La creazione e la storia
Gesù accenna ad un “passaggio di testimone” tra lui e “lo Spirito della Verità”. Lui ritorna al Padre, che lo ha inviato, perché venga lo Spirito Santo. Entrambi sono testimoni la cui funzione, come avviene in contesti giudiziari, è quella di contribuire perché sia fatta giustizia. Essa non si riduce semplicemente a ricompensare i giusti con il premio e i colpevoli con la pena perché la giustizia di Dio non è retributiva ma redentiva, ovvero è in vista della nuova creazione. Gesù è il primo “Testimone di Giustizia” perché si compia la giustizia di Dio, il suo progetto di amore e di vita. In un mondo nel quale si proietta su Dio il proprio giustizialismo, Gesù viene a rivelarne un volto nuovo. Egli è giusto perché misericordioso. La misericordia e la giustizia tendono allo stesso fine: la riconciliazione e la comunione. La verità a cui accenna Gesù è il fatto che Dio ci ama per primo e per sempre. La verità fa male se è ridotta ad un solo aspetto, quello meno piacevole; Infatti, è un fatto anche che l’uomo è insufficiente, mancante, peccatore, ma se ci si fermasse solo all’aspetto negativo, anche se realistico, la paura prenderebbe il sopravvento.
Invece, c’è una verità più profonda che non contraddice o cancella quella più evidente: abbiamo un Dio che ci è padre e ci ama fino a dare la sua vita, suo Figlio, per noi. Tutta la verità è racchiusa in Gesù crocifisso e risorto. Il più piccolo tra gli uomini rivela sulla croce lo splendore della gloria dell’amore di Dio. Non c’è più nulla di nascosto perché Dio si è messo a nudo davanti agli uomini. Senza la fede, luce e voce dello Spirito Santo che illumina la mente e parla nel cuore, non potremmo mai cogliere nella verità storica della morte di Gesù quella più interiore dell’amore di Dio. Potremmo approcciare gli eventi della Pasqua con la ragione e verificarne la storicità senza però gioire per il fatto di gustare l’amore di Dio. Lo Spirito Santo ci porta nel cuore della verità per lasciarci avvolgere dall’amore di Dio e coinvolgere nella gioia che si respira nella famiglia divina. Gesù Cristo, crocifisso e risorto, ci parla offrendoci la chiave di lettura di tutta la storia dell’uomo che, dal punto di vista di Dio è storia della salvezza.
La morte e la risurrezione di Gesù ha la forza del fuoco, del terremoto, del vento, dell’acqua. Agli occhi degli uomini primitivi le forze della natura apparivano come l’espressione delle divinità che esercitavano la loro autorità su di essi. La loro religiosità intrisa di paura e timore reverenziale li induceva a compiere riti cultuali per placare la loro ira e ingraziarsi il loro favore. Israele fa un’esperienza sconvolgente allorquando incontra il Signore che gli va incontro e si fa conoscere come l’unico Dio. Il suo volto non ha nulla dei tratti delle divinità pagane spesso rappresentati con fattezze animalesche. Si inizia a comprendere che è possibile rintracciare un riflesso della personalità di Dio più negli aspetti umani di sé piuttosto che in quelli animaleschi. Ciò avviene a partire dalla riflessione suscitata dall’esperienza storica del primo e del secondo esodo, quello nel quale fu liberato dalla schiavitù egiziana e il ritorno dall’esilio.
La sapienza dell’uomo non cresce solamente di pari passo alle sue capacità tecniche che sfruttano le risorse della natura ma soprattutto proporzionalmente all’elaborazione del pensiero che coglie un senso negli eventi della storia. I sapienti d’Israele, partendo dalla rivelazione che Dio fa di sé negli eventi storici riconosce la Sua gloria che si manifesta nell’opera della creazione e della redenzione e che ha la sua scaturigine nel suo amore misericordioso. La pagina del Libro dei Proverbi, proclamata come prima lettura, sottolinea che la Sapienza, ovvero l’amore, è sorgiva ed efficace. La creazione è un atto di amore gratuito, perché originario, e fedele in quanto rimane per sempre e non è condizionato da nulla, né dalle attese né dalle delusioni. L’amore di Dio anima la sua volontà che si concretizza in azioni prodigiose che sono compiute con gioia e perché essa sia condivisa. Descrivere la creazione come un gioco vuol dire comunicare la gioia di fare qualcosa solamente per amore.
Con la Pasqua Gesù ha aperto all’uomo la via della pace sulla quale lo Spirito Santo ci guida affinché anche noi possiamo percorrerla. Questa via attraversa le difficoltà e le tribolazioni. Esse non sono punizioni divine ma le condizioni ordinarie nelle quali lo Spirito Santo ci aiuta ad avanzare nella pazienza e ad alimentare la speranza che è il motore che ci permette di progredire tra desolazioni e consolazioni. Quando Paolo dice che per fede siamo giustificati vuole affermare che siamo giusti non virtù delle nostre opere ma per la forza dell’amore di Dio che si è manifestato ed è stato donato mediante Gesù. È sempre tramite Gesù che entriamo in possesso di questo dono di grazia.
Egli riversa nel nostro cuore lo Spirito Santo che fa crescere la speranza la quale, da una parte tiene accesa la luce della fede e dall’altra alimenta il fuoco della carità. Con il Battesimo (sacramento amministrato nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, cf. Mt 28, 19) siamo introdotti da Dio nella sua “famiglia”. Lo Spirito Santo conducendo alla verità tutta intera, introduce gradualmente i credenti alla conoscenza di Dio. Egli è la guida alla scoperta dell’amore di Dio. Non si tratta di comprendere e possedere tutto lo scibile, ma di inoltrarsi sempre più avvicinandosi al cuore di Dio. Questo cammino di scoperta avviene nella vita quotidiana quando sperimentiamo la nostra umana precarietà e insufficienza ma al contempo l’amore paziente, premuroso e misericordioso di Dio.
Gesù non è “l’unico” Figlio di Dio
Questa espressione, detta così, potrebbe apparire un’eresia e contraddire la verità di fede della Santissima Trinità che celebriamo questa domenica, la prima dopo il tempo di Pasqua. Eppure, mi sembra il messaggio fondamentale che ci offre questa festa liturgica, quasi che fosse un modo con il quale la Chiesa voglia rileggere sé stessa alla luce dell’evento pasquale e del messaggio d’amore che da esso proviene. Tornando al tempo liturgico ordinario, dopo quello quaresimale e pasquale, la Chiesa vuole ripartire nella sua missione feriale ancorandola alla verità più profonda di sé stessa. Infatti, essa è come una goccia d’acqua nella quale si riflette l’immensità del cielo.
La Chiesa, intesa come comunità di uomini e di donne piuttosto che una grande istituzione umana, trova la sua identità nella foto di famiglia scattata nel cenacolo, lì dove Gesù riunisce attorno a sé i suoi discepoli. Soprattutto nelle parole riportate dall’evangelista Giovanni nel contesto dell’ultima cena, Gesù istruisce i suoi discepoli sul fatto che essi non sono abbandonati da lui ma che, mediante la sua morte, saranno introdotti nella grande famiglia di Dio. A tal proposito mi piace rileggere le parole di Gesù alla luce della parabola del “padre misericordioso”, non semplicemente nella forma con la quale ce la consegna l’evangelista Luca, ma riscritta, per così dire, da Gesù che veste i panni del fratello maggiore. La parabola del “padre misericordioso”, infatti è incentrata sulla relazione che intercorre tra il genitore e i suoi due figli. Un ruolo importante lo gioca l’eredità. Il minore esige la sua parte prima che il padre muoia.
Gli viene concessa ma la dissipa riducendosi in miseria fino quasi a lambire la soglia della morte. Quando decide di ritornare, mosso dalla speranza, scopre che il Padre lo attende non per punirlo ma per accoglierlo di nuovo in casa e restituirgli la sua dignità di figlio, a cui lui stesso aveva rinunciato. Il figlio peccatore e problematico fa esperienza dell’amore vero, quello che non viene mai meno. L’amore del Padre supera le aspettative e la preghiera del figliol prodigo. La speranza del figlio che motiva il suo ritorno alla casa paterna è ben poca cosa rispetto a quella che riversa nel suo cuore la gioia del padre. Nel racconto, quando sembra che si sia risolta una crisi, se ne apre un’altra. L’altro figlio, che era rimasto in casa e si era dimostrato fedele al padre, difronte all’accoglienza festosa riservata al fratello s’indigna denunciando quello che a suo parere è una vera ingiustizia, una disparità di trattamento. In cuor suo egli sperava di essere ricompensato con un capretto per fare festa con gli amici. Non gli rimaneva altro che aspettare pazientemente la morte del padre per potersi concedere ciò che gli sembrava essergli negato.
Il padre gli ricorda che in realtà essi hanno tutto in comune e nessuna gioia gli è mai stata negata. La festa, come quella organizzata dal padre, infatti non è un’occasione per ostentare quanto si possiede o per fare sfoggio del proprio potere ma è un’opportunità di condividere la gioia della riconciliazione e della comunione. La festa è il tripudio della gioia per la speranza compiuta. Il Padre porta nel cuore una speranza che non viene spenta dal peccato, il rifiuto oppostogli dai suoi figli. Questa speranza guida il figlio a tornare dal padre e quando giunge a casa scopre che la vera eredità non sono i beni materiali ma l’amore del Padre. Quando accogliamo l’amore di Dio abbiamo tutto. Gesù è il nostro fratello maggiore, inviato dal Padre per venirci a cercare e riportarci a casa; egli è il servo che è incaricato dal Padre di rivestirci della nostra dignità filiale e di organizzare il banchetto nel quale Lui stesso si offre come agnello. Gesù, mediante lo Spirito Santo, quale nostro fratello maggiore, non ci permette tanto di comprendere chi è Dio ma di lasciarci abbracciare da Lui che c’ introduce nella sua festosa familiarità.
La missione della Chiesa, similmente, non si riduce ad una catechesi che fornisce verità estranee alla vita concreta. Dio la vuole come profezia per far scoprire ad ogni uomo di essere figlio amato e via per condurlo alla comunione intima con Lui. La Chiesa, comunità di fratelli e sorelle di Gesù Cristo, è l’icona storica della Trinità che racconta con la sua storia l’infinito amore di Dio. Quanto più la Chiesa vive la sua vocazione alla comunione fraterna, sostenuta e guidata dallo Spirito Santo, tanto più diventa nel mondo speranza per gli uomini e le donne che portano sulla propria pelle le cicatrici della discordia, del peccato e della morte. Uno è l’amore ma molteplici sono i servizi nei quali si manifesta, una è la Chiesa ma molti i suoi figli. Tutto nasce dall’Amore unico di Dio e tutto si compie nell’unica comunione tra noi suoi figli e fratelli.
Signore Gesù, Luce di verità che ci insegni a guardare la creazione e la storia per scoprire l’infinita grandezza dell’amore di Dio che si fa incontrare nella infinita piccolezza della nostra umanità, grazie perché sei sceso dal cielo per farti nostro fratello maggiore. Tu, Sapienza di Dio, ci fai contemplare la bellezza soprannaturale custodita nei dettagli della creazione e ci sveli il senso profondo degli enigmi della storia umana ferita dalla guerra e dalla discordia. Riversa nel nostro cuore, spesso mortificato dalle delusioni e amareggiato dalle umiliazioni, la speranza che sostiene la nostra fede nelle tribolazioni e motiva l’impegno quotidiano perché prevalga la carità su ogni forma di ingiustizia.
La tua Chiesa sia nel mondo segno che ricorda ad ogni uomo che la sua origine è nel cuore di Dio e che è stato creato per essere custode del creato e della fraternità. Donaci il tuo Spirito perché, vinta ogni resistenza del peccato che ci contrappone e ci divide, possiamo esprimere con la vita una sfumatura dell’unico Amore che riconcilia i contendenti, armonizza le differenze, riunisce in un unico abbraccio i figli dispersi.